Avvoltoi e combattenti. Nella guerra come nella finanza

di Raffaella Vitulano

Debiti, debiti, debiti. Privati, sovrani. Chi più ne ha più ne metta. Durante la ricorrenza dell’11 settembre il web si riempie di notizie, bufale, indiscrezioni e predizioni provenienti dagli Usa. Tutta da verificare magari quella che preallerta su un attacco Nato alla Russia tra il 15 e il 26 settembre, durante l’esercitazione Rapid Trident. Assolutamente vera, invece, quella che riguarda il voto all’Onu, due giorni fa, di una bozza di risoluzione che riguarda la ristrutturazione del debito sovrano che, secondo la bozza stessa, “stabilisce la struttura multilaterale per i paesi affinché emergano dai loro impegni finanziari”. A New York, nel corso della riunione preparatoria della 69esima Assemblea generale delle Nazioni Unite, è stata approvata una mozione quadro legale proposta dall’Argentina sull’istituzione delle regole per la ristrutturazione del debito sovrano. Era ora. Tale risoluzione, tramite le consultazioni fra i governi dei vari paesi, mira ad istituire un quadro legale per risolvere le divergenze nella ristrutturazione del debito sovrano, elevando così l’efficienza, la stabilità e la prevedibilità del sistema finanziario internazionale. Bisogna poi vederne le difficoltà pratiche.
Tutto era partito dai fondi avvoltoio (tra cui il famigerato hedge fund Elliott Management, guidato dal miliardario Paul E. Singer) che hanno stritolato Buenos Aires, ma l’esigenza di tutelarsi dalla finanza rapace e dalle speculazioni riguarda l’intero pianeta. Gli speculatori videro nei travagli del paese un’opportunità per realizzare enormi profitti a spese del popolo argentino. Fu un attimo: acquistarono le vecchie obbligazioni a una frazione del loro valore nominale, quindi ricorsero al contenzioso per cercare di costringere l’Argentina a pagare cento centesimi per dollaro. Un vero disastro. Il resto, è storia.
Si anima così ora la danza macabra attorno ai debiti sovrani scricchiolanti. Perchè non sono solo gli “avvoltoi” argentini, ma anche gli operatori di mercato e i paesi emergenti a chiedere regole per le ristrutturazioni. Oltre la lodevole iniziativa di fissare delle regole alle arbitrarietà degli avvoltoi, è tuttavia interessante guardare il risultato del voto all’Onu. Favorevoli: 124. Contrari: 11. Astenuti: 41. Tra i favorevoli, la Cina e la Federazione Russa. Tra i contrari: Usa, Australia, Canada, Giappone, Germania, Israele, Regno Unito, Finlandia. Contrari, sì, perchè diversi ambasciatori sostengono che molti paesi con missioni diplomatiche presso le Nazioni Unite non sono formate da team di economisti specializzati in finanza. Pertanto, credono sia meglio trasferire il dibattito al G20, all’Fmi o alla Banca Mondiale. Con quali risultati, facile da predire. L’Italia, la Grecia, Cipro si sono però astenute. E perchè mai? Eppure la richiesta a New York seguiva di pochi giorni una lettera inviata a Ban Ki Moon da parte di due premi Nobel per l’Economia (Joseph Stiglitz e Robert Solow), dell’ex primo ministro canadese e padre fondatore del G20 (Paul Martin), e di due ex sottosegretari generali delle stesse Nazioni Unite (Kemal Dervis e José Antonio Ocampo). Una posizione più netta a favore o contro sarebbe stata decisamente più coraggiosa.

Commenti

Post più popolari