Ingenui e burattinai

di Raffaella Vitulano

Il 2015 - ce lo ha dimostrato già il primo mese - promette incertezza e della volatilità oltre ogni peggiore previsione e difficili soluzioni all’instabilità mondiale sia sul piano geopolitico che su quello economico-finanziario.
Si pensi da un lato alla strage di Parigi, dall’altra alla mossa a sorpresa della Banca nazionale svizzera sul franco e a quelle di Draghi in Bce. In qualche modo, i due piani dell'instabilità sembrano compenetrarsi in alcuni elementi, comuni al mondo finanziario e a quello geopolitico: la frantumazione di un sistema economico internazionale, e in particolare monetario; l’identificazione di ruolo e luogo di identità collettive, nazionali, religiose, perfino tribali, calpestate senza riguardo alcuno da una politica scellerata asservita al capitalismo finanziario; la conciliazione tra crescita e sviluppo, ovvero tra esigenze materiali delle società umane e la sostenibilità ambientale della civiltà tecnologica. Sul fronte più strettamente europeo, incideranno nei prossimi mesi senza dubbio la decisione della Banca Centrale Europea, prevista per domani, e le elezioni in Grecia, fissate per il prossimo fine settimana, dove i grandi istituti di credito si stanno preparando a gestire le bank runs, corse agli sportelli per ritirare il contante. La Grecia potrebbe diventare un esperimento monetario non convenzionale con l’introduzione di una valuta nazionale (la ”currency country”) ma sbaglia chi pensa che Tsipras potrebbe, una volta eletto, mettere in atto sul serio una politica di abbandono dell’Euro. Uno scenario simile è altamente improbabile: se questo rischio vi fosse si sarebbero levate ben altre difese e muri all’ascesa di Syriza. Al più, Tsipras tenterà una complessa rinegoziazione del debito.
Quanto all’acquisto dei titoli di Stato da parte della Bce, potrà magari contenere gli spread dei Paesi in crisi stretti nelle tenaglie dell’austerità, ma non certo rilanciarne l’economia e la crescita. In quest’ottica, diciamocelo, la misura della Bce sembra semmai preventiva di scenari futuri, non correttiva degli squilibri attuali. Di idealismo retorico non ha certo bisogno quest’Europa, ma di verità. Se poi si obietta che la verità è sempre di parte, allora si pretenda almeno un’informazione che tenga conto di tutte le variabili e non si occultino notizie e possibilità sotto i tappeti comunitari e nazionali, a meno di non rinunciare a sfilate di rito per la libertà di espressione.
Lo stesso vale per le questioni geopolitiche, sulle quali sovrasta cupo un intricato groviglio di banalità, ipocrisie, menzogne e occultamenti, per coprire la realtà di una grandiosa contesa che ha come posta in palio il dominio sul mondo. I fatti impongono realismo, non disinformazione come arma di guerra, perché siamo in guerra. Solo ingenui e burattinai negherebbero e negheranno l’evidenza di una crisi senza precedenti. Lo sa bene l’ex segretario al Tesoro di Obama, Timothy F. Geithner, che nel suo libro Stress Test racconta con estrema sincerità di come l’amministrazione Obama sia riuscita a salvare l’economia, ma abbia perso il popolo americano.

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