Roma si schiera. Sulla diga di Mosul

di Raffaella Vitulano

Sembra ieri che prendevamo lezioni dalla maestrina Merkel, che ci consigliava un rigore destinato in realtà solo a far fallire i paesi periferici a vantaggio tedesco. E prima di lei pendevamo dagli oracoli ortodossi sulla tenuta dei conti pubblici, che nemmeno una colla Millechiodi poteva far di meglio.
E ora leggiamo invece delle tensioni tra Matteo Renzi e Angela Merkel sul tema dell'Unione monetaria. 'Non potete raccontarci che state donando il sangue all'Europa, cara Angela', ha detto il presidente del Consiglio rivolto alla cancelliera, non prima di aver ricordato che ’purtroppo in passato i governi italiani duravano meno di un gatto in autostrada’ e che invece ora il suo governo ci mette la faccia per rispettare gli impegni europei.
Ma come? Eravamo uno scendiletto e ora siamo un tappeto elastico per salti in alto? Qui gatta ci cova. La Germania non vuole lo schema europeo della comunitarizzazione dei depositi bancari e avrebbe cassato la proposta della creazione progressiva e graduale di un fondo di garanzia europeo sulle banche, con una motivazione logica, nell’ottica tedesca: se esistesse un fondo di garanzia le banche non cercherebbero di limitare i rischi, ma sarebbero spinte a prendere rischi eccessivi. Con la stessa logica potremmo smontare airbag e cinture di sicurezza dalle automobili, per avere guidatori più prudenti. O abolire il casco per invitare i motociclisti a moderare la velocità.
Quello che sta capitando, tuttavia, è incredibile: finalmente, dopo aver attaccato tutti quelli che andavano contro l’Europa tedesca, perfino il Corriere online si sveglia e sostiene che la protervia di Berlino va combattuta dagli italiani, dato che la Germania vuole far morire l’Italia. La Germania, infatti, non vuole autorizzare la garanzia europea sui risparmi dei correntisti fino a 100 mila euro ed intende vietare alla banche italiane di comprare i titoli del debito pubblico nazionale. Si dice che la Merkel non abbia mai perdonato a Renzi lo sgarbo di non cedere il nostro colosso elettrico a Berlino, ma questo basta a risvegliare il patriottismo del premier? Berlino ci vuole al tappeto, ma le due cose - la garanzia sul bail in e l’impedimento per le banche di comprare Btp - non hanno nessun legame se non quello di voler attaccare l’Italia, forse oggi l’alleato Usa di maggior peso nell’Europa continentale. La guerra tra Berlino e Washington segna il passo e trascina ormai i paesi Ue allo schieramento. Ce lo chiede l’Europa. Ce lo chiede Obama.
E così durano poco le posizioni autonome sull’allentamento delle sanzioni a Mosca da parte di Roma , che si schiera decisa: sanzioni alla Russia e Italia in Iraq. Di mezzo c’è il fatto descritto dal Deutsche Wirtschaft Nachrichtetn: gli Stati Uniti insistono che la Russia attui pienamente gli accordi di Minsk lasciando il controllo delle regioni separatiste dell’Ucraina sotto il controllo del governo. Solo allora le sanzioni contro la Russia saranno allentate o rimosse. E poco importa che Kiev, ufficialmente in default, non ripagherà il debito con la Russia in scadenza il 20 dicembre, e che l’associazione di imprenditori italiani operanti in Russia, oltre al danno economico quantificabile in circa 100 miliardi di euro di diminuzione dell’interscambio, registri una significativa perdita di fiducia da parte russa nei confronti dei nostri paesi e delle istituzioni europee.
Quanto al secondo punto, quello dell’Italia in Iraq, la società Trevi ha vinto l'appalto per la ristrutturazione della grande diga sull'Eufrate. Nessun crollo o crisi, smentisce lo stesso direttore dell'impianto che ha dichiarato che l'impianto opera in assoluta normalità. L'investimento di miliardi di euro serve semmai ad un potenziamento dell'opera e la vittoria all'asta dell'azienda nostrana rientra nel normale business. All'interno dei quali rientrano però anche le spese sulla sicurezza, in genere affidate ormai ai ”contractors”, contemporanea versione degli storici mercenari, oggi organizzati in società ipertecnologiche . In questo caso, sembrerebbe invece che Trevi possa risparmiare su tali spese - fatto che le malelingue dicono abbia influito anche nel suo successo nel conseguire l'appalto - dato che sarebbero a carico dello stato italiano che invierà le proprie truppe. E c’è già chi polemizza: dopo la privatizzazione della guerra ora abbiamo l'uso privato delle truppe pubbliche, e i nostri soldati vengono inviati in Iraq solo per tutelare un grande affare? La questione non è di poco conto, se si pensa che l'obiettivo dichiarato della missione italiana a protezione della diga è impedire che i terroristi possano minare la sicurezza della zona. Il premier Matteo Renzi aveva affermato che i militari italiani da inviare in Iraq non combatteranno, ma dalle brigate sciite irachene di Hezbollah è giunta ieri una minaccia che non si può ignorare: qualsiasi forza straniera in Iraq sarà considerata come una forza occupante, compresi gli italiani.

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