Ma davvero il Ttip sarà la "Nato economica"?

di Raffaella Vitulano
Finalmente se ne parla un po’ di più, anche in Italia. E in Europa.
Alti funzionari della Commissione europea dubitano che gli Stati Uniti finiranno per firmare il Ttip, scrive il giornale tedesco ' Süddeutsche Zeitung '. Secondo gli esperti europei, la firma dell'accordo potrebbe essere ritardata fino alla fine del 2017 e quindi sarà difficile per riprendere i negoziati, mette in evidenza la fonte. Ma le recenti affermazioni di Obama messe nero su bianco in un articolo scritto di suo pugno per il “The Washington Post” sembrerebbero smentire tale ipotesi: “Gli Usa devono definire le regole e devono prendere le decisioni (….) gli altri paesi devono seguire le regole stabilite dagli Usa e dai suoi soci, e non al contrario”. Con molta chiarezza e senza giri di parole, il presidente sostiene che sono gli Usa a stabilire le regole dei contratti di interscambio mondiale, escludendo (dalle decisioni sulle regole) altri paesi come la Cina o l’Europa. Alla base dell’utilità di questi accordi, Obama segnala che questi rafforzano la sicurezza degli Stati Uniti. Un consolidamento, insomma, economico ma anche geostrategico. Questo fa scrivere all’analista Manlio Dinucci che il Ttip può dunque essere inteso come un progetto molto più ampio, una sorta di “Nato economica” . E ciò sarebbe confermato dall’ambasciatore Usa presso la Ue, Anthony Gardner, quando insiste che ”vi sono essenziali ragioni geostrategiche per concludere l’accordo”. Quali siano lo dice lo U.S. National Intelligence Council: ”In seguito al declino dell’Occidente e l’ascesa dell’Asia, entro il 2030 gli Stati in via di sviluppo sorpasseranno quelli sviluppati”. Il giornalista ricorda poi come Hillary Clinton definisca il partenariato Usa-Ue ”maggiore scopo strategico della nostra alleanza transatlantica”, prospettando appunto una ”Nato economica” che integri quella politica e militare. Il progetto di Washington sarebbe chiaro: creare un blocco politico, economico e militare Usa-Ue, sempre sotto comando statunitense, che - con Israele, monarchie del Golfo e altri - si contrapponga all’area eurasiatica in ascesa, basata sulla cooperazione tra Russia e Cina, ai Brics, all’Iran.
Guardando ai Brics, stiamo osservando come gli oligarchi brasiliani potrebbero riuscire a rimuovere dal potere un governo moderatamente di centro sinistra che ha vinto quattro elezioni nel nome della rappresentanza dei più poveri, per consegnare - anche qui - il controllo dell’economia brasiliana (la settima più grande al mondo) a Goldman Sachs e alla lobby del settore bancario. Guardando all’Europa, invece, il blocco commerciale in costruzione deve puntare le fiches sulla frattura tra Unione europea e Russia. Al tempo stesso, non devono meravigliare i tentativi degli Usa, fatti da Obama, di impedire la separazione del Regno Unito dalla Ue, visto che l’integrazione europea sarebbe sempre stata un progetto nord americano, come dimostrano alcuni documenti della Cia citati stavolta dal giornale Telegraph. Londra racconta fatti non del tutto oscuri: l’intelligence degli Stati Uniti avrebbe finanziato segretamente la creazione dalla Ue dalla metà del secolo XX, nel corso della presidenza Truman, Eisenhower, Kennedy, Johnson e Nixon, afferma il giornale facendo riferimento a centinaia di documenti che risalgono ai primi anni ’50, oggi desecretati. Per quanto, dunque, spesso irritata dai suoi atteggiamenti, ”Washington ha sempre appoggiato la Ue come un’ancora dei suoi interessi in Europa, a partire dalla Nato”.
Dodici round di contrattazione business-oriented, la cui maggiore preoccupazione messa sul tavolo dal team di Dan Mullaney (rappresentante della parte americana), riguarda la rimozione di tutti gli ostacoli normativi che possano andare ad intaccare i profitti delle multinazionali. Già prodigata per la ratifica - già avvenuta - di un omologo trattato di libero scambio sulla West Coast, il Tpp (che vede coinvolti i principali partner commerciali americani dell’area del Pacifico, Australia e Giappone in primis), Washington tenta di arginare le principali potenze concorrenti in ambito politico e commerciale, cioè Russia e Cina, che spingono per la creazione di una vasta area economico finanziaria in seno all’heartland europeo, l’Unione Economica Eurasiatica, arenatasi non a caso dopo gli attriti tra Bruxelles e Mosca in territorio ucraino, innescando il meccanismo di sanzioni (contro cui in settimana l’Assemblea nazionale francese ha votato) tuttora in vigore. 
L'analisi di Manlio Dinucci, dunque, sembra particolarmente azzeccata.

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