Scontro di civiltà: 25 anni dal "Desert Storm"

di Raffaella Vitulano

Il terrorismo trova la sua radice nell’odio. Ma soprattutto nel denaro. E chi più ne ha, più ne mette a disposizione del potere, non certo dell’integrazione. Nella sua ultima invettiva (“Verso un riallineamento globale”) il politologo Zbigniew Brzezinski lanciava l’allerta: nei riequilibri mondiali gli Usa potrebbero presto perdere la loro posizione di predominio e uscire sconfitti da un conflitto armato contro i “rivali” Russia e Cina. Unica soluzione, a questo punto, consisterebbe nel separare la Cina dalla Russia e convincere una delle due ad unirsi a Washington contro la terza. Come ha scritto tempo fa Thomas L. Friedman, giornalista del New York Times, è arrivato il momento per Washington di accantonare la causa della democrazia, come mezzo di persuasione verso amici e concorrenti, e passare a sistemi più determinati per conservare il potere. E queste faglie planetarie si avvertono ovunque. Eppure, se la piantassimo di giocare a Risiko e allo stato di guerriglia economico, finanziario, militare e psicologico scatenato contro Mosca, invocando lo schieramento di “nuovi sistemi di armamenti”, riusciremmo a ragionare almeno per un po’. L’espressione “Risveglio politico globale” (come l’espressione “Grande scacchiera” che riguarda il piano di isolare e destabilizzare la Russia e l’intera Eurasia), è stata inventata dallo stesso Brzezinski. E la creazione e manipolazione delle tensioni sociali ne fanno parte. Lo conferma il generale Wesley Clark, già capo della Nato durante l’intervento in Kosovo: il giorno dopo l’11 Settembre, andò al Pentagono e un ufficiale suo amico, che aveva appena parlato col ministro (Donald Rumsfeld), lo chiamò nell’ufficio, chiuse la porta e gli sussurrò, incredulo: “Andiamo ad attaccare 7 paesi in 5 anni. Adesso cominciamo con l’Iraq, poi Siria, Libano, Libia, Somalia, Sudan, e per finire, Iran”. L’intervista di Clark è facilmente reperibile su youtube. Ovvio che gli anni a venire non sarebbero stati di facile gestione, neppure sul fronte dei ”moderati ribelli”. Sempre il generale Wesley Clark disse alla Cnn il 21 febbraio 2015: “Abbiamo creato “un Frankenstein”; in quell’intervista spiegò anche: “L’Isis è stato creato dai nostri alleati per battere fino alla morte Hezbollah”. Un’ammissione abbastanza esplicita. Il portale di notizie nordamericano ,VeteransToday, citando fonti vicine ai servizi di intelligence del Kosovo, riferisce di campi di addestramento del Daesh vicino al confine del Kosovo con l'Albania e la Macedonia, nei pressi del campo più grande del mondo di fuori del territorio degli Stati Uniti. E ancora, era il maggio del 2014, tre mesi dopo il colpo di stato di Kiev, e il miliardario americano George Soros ha spiegato a Fareed Zakaria della Cnn di essere responsabile della creazione di una fondazione in Ucraina che ha contribuito al golpe contro il presidente Viktor Ianukovitch e all’insediamento di una giunta sostenuta dagli Stati Uniti. Così, i riflettori si spostano sempre più ad Est. Oggi il posizionamento delle forze aeree e terrestri della Nato vicino alla frontiera russa nell’Europa dell’est e il viaggio di Barack Obama sono destinati a rinforzare l’influenza americana in Asia, con l’obiettivo - scriveva il giornalista Wayne Madsen all’inizio di luglio - di schiacciare i Brics, il blocco finanziario che raggruppa Brasile, Russia, India, Cina e sud Africa. Il denaro: é sempre e solo questione di soldi, tutto qui. Ma come si dice? Chi semina vento, raccoglie tempesta. Una tempesta forse pianificata, come quell’Operazione ”Desert Storm”(tempesta, appunto) che - il 16 gennaio 1991 - lanciò la prima Guerra del Golfo, spartiacque degli equilibri geopolitici. Da allora sono passati 25 anni. Non pochi. tempo per riflettere ce n’era.
Samuel Huntington scrisse nel 1996 un saggio, “Scontro di Civiltà e Nuovo Ordine Mondiale”, in cui profetizzò: “La principale fonte di conflitti nel mondo post-Guerra fredda diverranno le identità culturali e religiose”; non ci saranno più guerre fra Stati, ma tra “civiltà”. Oggi é scontro di civiltà come scrisse Huntington. È strategia della tensione; è il potere corporativo delle aziende che ci vuole soprattutto consumatori. Multinazionali, soprattutto degli armamenti. Il rapporto “Border Wars: The Arms Dealers profiting from Europe’s Refugee Tragedy” (Frontiera di guerra. Come i produttori di armamenti traggono profitto dalla tragedia dei rifugiati in Europa) promosso dalla Ong olandese Stop Wapenhandel e pubblicato dal Transnational Institute con rilancio italiano da parte della Rete Italiana per il Disarmo, analizza il fiorente mercato della sicurezza delle frontiere che ha saputo sfruttare gli annunci del programma di “contrasto all’immigrazione clandestina”. Annunci che sono andati crescendo con l’arrivo di migliaia di profughi dalla Siria dilaniata dalla guerra. Stimato in circa 15 miliardi di euro nel 2015, questo mercato si prevede supererà i 29 miliardi di euro nel 2022.

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