Retribuzioni a piacere. Il nuovo trend delle multinazionali
Discriminazione salariale algoritmica” è il termine che Veena Dubal, professoressa di legge presso l’Univer sità della California, Irvinet, usa per descrivere il modo in cui aziende come Uber e sempre più aziende stabiliscono i salari e controllano i lavoratori. Il termine allude anche alla sua argomentazione per vietarne la pratica. “Discriminazio ne salariale algoritmica” si riferisce a una pratica in cui ai singoli lavoratori vengono pagati salari orari diversi, calcolati con formule in continua evoluzione utilizzando dati granulari su posizione, comportamento individuale, domanda, offerta o altri fattori, per lavori sostanzialmente simili. Come tecnica di determinazione del prezzo dei salari, la discriminazione salariale algoritmica comprende non solo il pagamento digitalizzato per il lavoro completato ma, in modo critico, decisioni digitalizzate per l’assegnazione del lavoro, che sono determinanti dei salari orari ma soprattutto leve di controllo aziendale. Questi metodi di discriminazione salariale sono stati resi possibili attraverso cambiamenti radicali nelle tecnologie di cloud computing e apprendimento automatico nell’ultimo decennio. Questi sistemi automatizzati registrano e quantificano i movimenti e le attività dei lavoratori, le loro abitudini e caratteristiche personali e persino informazioni biometriche sensibili sui loro livelli di stress e salute. Come funziona? I datori di lavoro inseriscono set di dati raccolti sulle vite dei dipendenti in sistemi di apprendimento automatico per prendere decisioni in materia di assunzioni, influenzare il comportamento, aumentare la produttività dei lavoratori, intuire potenziali problemi sul posto di lavoro (inclusa l’organizzazione dei lavoratori e l’iscrizione al sindacato). Il problema sussiste eccome, per un dipendente. Il Dipartimento di Giustizia americano ha appena ottenuto una vittoria storica contro Google per il suo comportamento monopolistico. È una medaglia appuntata alla divisione antitrust del Doj e della Federal Trade Commission (Ftc) di Lina Khan, che hanno avuto quattro anni piuttosto incredibili. Ma le aziende si rivolgono sempre più alle aziende di dati che offrono software che scambiano informazioni alla velocità della luce con i concorrenti per mantenere bassi i salari e alti i prezzi, creando di fatto cartelli nazionali. In un discorso del 2023 che annunciava il suo ritiro, il Procuratore generale aggiunto principale Doha Mekki ha spiegato che lo sviluppo di strumenti tecnologici come l’ag gregazione dei dati, l’appren dimento automatico e gli algoritmi di determinazione dei prezzi hanno aumentato il valore competitivo delle informazioni storiche. Abbiamo visto gli sforzi e alcune importantivittorie in materia di antitrust e tutela dei consumatori. Ma cosa accade per quanto riguarda i salari? Negli ultimi anni, il Dipartimento di Giustizia ha perseguito accordi sui salari con scarso successo, archiviando uno degli ultimi casi penali di sfruttamento delle risorse umane dopo non essere riuscito a ottenere una condanna. I commenti rilasciati negli ultimi mesi daifunzionari della Ftc e del Dipartimento di Giustizia lasciano dal canto lorointendere che stanno ancora valutando la possibilità di perseguire i cartelliche fissano i salari, nonché le singole aziende che utilizzano algoritmi per sfruttare i lavoratori. La situazione, dunque, è ancora in alto mare. I funzionari della Ftc stanno parlando di aprire le “scatole nere” algoritmiche - diventate famose per le aziende 'gig' come Uber ma ora sono utilizzate da aziende in tutti i settori dell’economia - che controllano sempre di più i salari dei lavoratori e tutti gli altri aspetti del loro lavoro, ma la soluzione è lontana. Il punto è riconoscere l’aspetto discriminatorio di questi algoritmi da parte dei datori di lavoro,riportando la questione sotto l’ombrello legale delle leggi esistenti. Finora l’attenzione principale dei tribunali e degli enti di regolamentazione è stata rivolta alla trasparenza, in particolare per quanto riguarda potenziali errori degli algoritmi o violazioni della legge da parte degli algoritmi. Ma in realtà non è, principalmente, la segretezza o la mancanza di consenso a causare salari bassi e imprevedibili; sono le logiche di aziende ben finanziate in queste pratiche digitalizzate a causare danni alla forza lavoro; qualsiasi approccio di riforma della trasparenza dei dati non può da solo affrontare i danni sociali ed economici. La segretezza deve essere superata, ma le informazioni raccolte devono essere utilizzate per ottenerne un divieto totale, perché la discriminazione salariale algoritmica viola sia i precedenti di lunga data sull’equità nella determinazione dei salari sia lo spirito delle leggi sulla parità di retribuzione per parità di lavoro. Tuttavia i tentativi dei lavoratori di perseguire aziende come Uber per violazioni sono stati difficili anche a causa della mancanza di conoscenza di cosa esattamente facciano i loro algoritmi. Poiché tale sorveglianza è condotta interamente in segreto, non c’è praticamente modo di ottenere prove. Aziende come Uber hanno spesso sostenuto con successo che “la sicurezza e la protezione della loro piattaforma potrebbero essere compromesse se la logica di tale elaborazione dei dati venisse divulgata ai loro lavoratori”. In che cosa si differenzia quella algoritmica dalle forme tradizionali di retribuzione variabile? La discriminazione salariale algoritmica, praticata tramite i “bonus” e le scorecard di Amazon o tramite i sistemi di allocazione del lavoro, i prezzi dinamici e gli incentivi salariali di Uber, nasce (e può funzionare in modo simile) dalla pratica della “di scriminazione dei prezzi”, in cui ai singoli consumatori viene addebitato un importo pari a quello che un’azienda determina in tutta arbitrarietà dunque, non supportata dai costi effettivi. Come pratica di gestione del lavoro, la discriminazione salariale algoritmica consente alle aziende di personalizzare e differenziare i salari dei lavoratori in modi a loro sconosciuti, pagandoli per comportarsi nel modo desiderato dall’azienda, magari per una cifra pari a quella che il sistema ritiene che i lavoratori siano disposti ad accettare. Data l’asimmetria informativa tra lavoratori e aziende, le aziende possono calcolare con esattezza i salari necessari per incentivare i comportamenti desiderati, mentre i lavoratori possono solo ipotizzare in che modo le aziende determinano i loro salari. Qualcosa che sembra davvero illegale.
Raffaella Vitulano
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