Piccole imprese (non) crescono
di Raffaella Vitulano
I numeri li conosciamo già:
l’evasione fiscale costa all’Italia oltre 180 miliardi di euro all’anno. Una
cifra che pone il nostro paese al primo posto in assoluto nella Ue, che può
invece contare su un ”bottino” di circa mille miliardi annui di euro annui in
evasione ed elusione. Va da sè che Bruxelles, accusata di scarsa attenzione
verso il fenomeno, in vista delle imminenti elezioni abbia poco più di un mese
fa formalmente adottato la decisione sulla revisione della direttiva risparmi,
con la quale gli Stati membri raccolgono dati sui risparmi dei non residenti e
automaticamente li forniscono alle autorità del Paese in cui la persona
risiede.
Sulla scia dell’entusiasmo
elettorale, la Commissione europea ha inoltre presentato una proposta di
direttiva sulla società a responsabilità limitata ad un unico partner (unipersonale
la Societas unius personae - Sup),
che i sindacati europei bollano come ”un modo per evitare le tasse e aggirare
le leggi nazionali del lavoro”. Un modello costitutivo unico, disponibile in
tutte le lingue Ue, permetterà di limitare la presenza di notai o legali. Tempi
tagliati all’osso: le società dovranno essere costituite entro 3 giorni, con un
requisito patrimoniale minimo di un euro e la possibilità di riserve su base
volontaria. Gli Stati membri sarebbero obbligati a consentire la registrazione
diretta e online delle Sup, in modo che il fondatore non debba recarsi a tal
fine nel paese in cui intende registrare la società.
Con queste premesse la
Commissione europea ha in realtà presentato la direttiva come un modo per
aiutare le piccole imprese ad attività in tutto il mercato interno, ma i
sindacati osservano che nulla impedisce alle grandi aziende di creare filiali
per eludere la normativa fiscale e del lavoro. A leggerla bene, la direttiva
presenta in effetti due grossi difetti: non definisce la dimensione della
società cui si applica la direttiva e consente ad una società una registrazione
amministrativa in un luogo diverso da quello in cui opera realmente. Da questo
punto di vista, la direttiva consentirebbe alle aziende di maggiori dimensioni
di abusare della legge scegliendo un quartier generale in un paese dove le
tasse sono più basse e dove la tutela dei lavoratori è inferiore. E
consentirebbe alle imprese degli Stati membri dell’Ue in cui la rappresentanza
dei lavoratori nei consigli di amministrazione è un requisito legale di eludere
le norme nazionali registrando le loro attività in un altro paese in cui tali
norme non entrano in vigore. Basta questo a far nutrire qualche perplessità
sull’utilizzo pratico finale di questa direttiva? Probabilmente sì, proprio in
un momento in cui la lotta all’evasione fiscale dovrebbe registrare segnali
concreti. I sindacati vogliono promuovere le piccole imprese, ma la direttiva
sembra in effetti contenere elementi che incoraggerebbero l’evasione fiscale e
l’aggiramento delle norme nazionali del lavoro. Resta il fatto che attualmente
troppi ostacoli intralciano l’attività economica delle pmi all’interno del
mercato unico. Solo una piccola percentuale di pmi (2%) investe e costituisce
controllate all’estero, mentre le grandi multinazionali spadroneggiano.
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