Intervista a Guido Brera: "La redistribuzione della ricchezza? Sta tutto nel trilemma di Rodrik"

di Raffaella Vitulano

Diavoli.com è un progetto culturale, editoriale e di informazione specializzato in tematiche finanziarie, economiche e sociali. Guido Maria Brera è cofondatore e Cio di Kairos, società italiana di gestione del risparmio. Finanziere e scrittore, ha pubblicato un romanzo intitolato “I Diavoli, la finanza raccontata dalla sua scatola nera”. Lo incontriamo a Milano in sede per un'intervista.

Chi sono i Diavoli e cos’è la finanza?
I Diavoli, la finanza, rappresentano un concetto molto ampio, quasi sistemico. Per analogia cito sempre Foster Wallace e la sua idea dell’acqua in un racconto sui pesci: qualcosa che ci circonda senza che noi abbiamo la consapevolezza di starci dentro. La finanza è qualcosa di sistemico, nata come strumento progressista (portare i soldi a chi aveva idee) e finita per diventare strumento di controllo biopolitico. E’ questo il concetto che mi interessa di piu quando racconto di finanza.

Chi ha la responsabilità di averla trasformata in controllo biopolitico?
La politica.
Nel mio romanzo, i Diavoli sono coloro che cercano di manovrare le leve di controllo biopolitico della finanza. Comunque, ciò che a me interessa non è stabilire chi abbia torto e chi ragione. Probabilmente il Derek Morgan del mio libro, capo di un fantomatico Tredicesimo Piano, non ambisce al denaro. Anzi. Porta il peso di dover decidere le sorti dell’umanità.

La finanza non è soltanto un vertiginoso gioco di prestigio. Il livello dello scontro si è alzato oltre i limiti, e quello per cui si lotta non è più un profitto con molti zeri. È la sopravvivenza stessa dell’Occidente così come lo conosciamo, minacciato dall’unico vero potere del nostro tempo, quello della tecno-finanza. In quali sedi alberga questo potere? Proprio al Tredicesimo Piano in un grattacielo di Midtown Manhattan con vista sul mondo dove alcuni uomini che non conosciamo decidono il nostro destino?
Probabilmente al Tredicesimo Piano, sì, ma quel potere non glielo ha dato nessuno. Il tredicesimo e' un non luogo e lo si capisce dal nome. E quel potere di cui parliamo deriva da un vuoto di ordine politico. Ne I Diavoli ad esempio, c’è un dibattito tra l’allievo (Massimo) e Derek Morgan (il suo mentore) che dice: “Abbiamo evitato le guerre. Quattrocento milioni di contadini cinesi sono stati urbanizzati."
Ecco la finanza che riempie i vuoti della politica e ha canalizzato forze importanti proprio in una fase in cui questa era assente. Il vero problema e' che il tutto e' avvenuto in un ambito dove c'e' stata la massima polarizzazione della ricchezza. E’ lì la grave pecca.

E oggi è possibile redistribuire la ricchezza?
Cito il sito I Diavoli.com che è il vero esperimento innovativo che abbiamo portato al pubblico negli ultimi due anni, è uno spin-off narrativo dove i personaggi dialogano tra loro riguardo temi di attualità politica e finanziaria. Ne “La Maratona di New York” all’interno del sito, Derek Morgan vede la gente correre e con grande amarezza (come Il Grande Inquisitore di Fëdor Dostoevskij), paragonandola  alle classi piu deboli, pensa : “Le politiche monetarie, i Qe sono stati farmaci potenti. Ma in greco “farmaco” significa anche “veleno”. E il veleno dev’essere metabolizzato altrimenti uccide. Per questo la liquidità immessa doveva depositarsi da qualche parte, nell’organismo. E noi abbiamo scelto i ricchi, quell’1%. Perchè li non avrebbe fatto danni. L’accumulazione di ricchezza è “innocua”: non produce inflazione, non sposta equilibri, stimola una crescita “sana”. E questo è l’unico, vero sviluppo possibile, quello che tiene in scacco le masse, conservando un equilibrio miracoloso.”

Questa è l’opinione di chi detiene il potere…
Sì, però è un’opinione sofferta. Lui sostiene che se lasciassimo che trilioni e trilioni di soldi stampati per salvare le banche e gli Stati andassero nelle mani dei più deboli, faremmo salire l’inflazione a livelli vertiginosi, la moneta si svaluterebbe, ci sarebbe iperinflazione e caos. Lo dice sopportando il peso tragico del Grande Inquisitore di Dostoevskij, che non crede all'uomo e al suo libero arbitrio.

Ma è aberrante!
Questa è una visione quasi filosofica, non politica. Morgan lo dice con tragicità e tristezza. Con tutti i soldi stampati si potrebbero fare politiche di crescita ma il rischio e' che l'inflazione andrebbe fuori controllo.

Ma l’inflazione oggi è solo uno spettro, tirato fuori già ai tempi del The Crisis of democracy. Oggi semmai lo spettro è la deflazione. E poi, tornando alle guerre di cui parlavamo, spesso la finanza e le multinazionali - soprattutto quelle legate agli armamenti - ci guadagnano. Altro che evitarle!
Io faccio un discorso più filosofico. Nel Duemila la Cina è entrata nella Wto ed è stato questo il vero disastro per i lavoratori e le classi più deboli, perché ha offerto un arbitraggio iniquo del lavoro. Tarantelli, che io ammiro e su cui mi sono formato, l’avrebbe definito uno scambio politico masochista. La Cina produce a basso costo e così le classi deboli possono comprare le magliette a 3 euro, avere tecnologia quasi gratis e mangiare fast food per una manciata di danaro. Però stanno perdendo i diritti più importanti, come quello all’istruzione, il diritto all'assistenza sanitaria ed alla casa. Sono questi i veri diritti per i quali oggi mi batterei. Questo scambio iniquo parte dall’entrata della Cina nella Wto senza regole e dalla conseguente delocalizzazione. E poi c'e' l'euro, le fiscalita' differenti ed altre concause che hanno consentito la nascita di vere e proprie platform companies. Multinazionali fiscalmente efficienti che ottimizzano le oppurtunita' della globalizzazione.

L’euro non ha alcuna responsabilità?
Gli antieuro dovrebbero storicizzare: la Cina è entrata con un sistema bancario inefficiente, senza un sistema sindacale, calpestando i diritti sui marchi, i diritti dei lavoratori. Tutto questo si è riflesso sulle classi più deboli, comprimendone i salari. Ci siamo messi a competere con i cinesi, ed è impensabile. Anche avessimo potuto svalutare la nostra moneta sarebbe stata una folle corsa al ribasso. Quello è stato l’errore. Derek Morgan direbbe che è stato il più grande processo di urbanizzazione pacifica di 400 milioni di persone.

Qualcuno le decide, però, queste guerre e quindi spinge le migrazioni…
Io non ho l’ambizione di dire cosa sarebbe accaduto se la Cina non fosse entrata nella Wto. Ma so cos’è successo da quando è entrata. Il fenomeno cinese ha causato un’asimmetria immensa di ricchezza ed è stata gestita malissimo. Abbiamo perso noi, la nostra manifattura, le nostre imprese, i distretti industriali. I vincitori sono stati quelle poche aziende che hanno delocalizzato. Oggi il reddito medio di una famiglia americana è pari a quello del 1995 e la produttività è aumentata enormemente. Un grafico tra produttività e reddito medio spiega come il reddito sia sempre cresciuto con la produttività. Da quando la Cina è nella Wto, la produttività è cresciuta ma il reddito medio delle famiglie si è fermato. Questo è dovuto proprio all’arbitraggio sul costo del lavoro. I profitti non sono stati più condivisi coi lavoratori come avvenuto dal Dopoguerra fino a fine anni ‘90. Questo profitto (spiega disegnando un grafico, ndr.) si spiega col “pil cinese”.

E la finanza non ha responsabilità?
Fa comodo addossare alla finanza tutte le responsabilità. Il Finanzcapitalismo (la mega-macchina cui si riferiva Gallino, quando imputava alla politica la colpa di aver identificato i propri fini con quelli dell’economia finanziaria, adoperandosi con ogni mezzo per favorire la sua ascesa, ndr.) ha solo gestito un periodo di transizione, è mancata la politica a fare da ammortizzatore. Ci hanno guadagnato Wall Street, le multinazionali. Noi convergiamo sulle opinioni ma poi divergiamo sulle colpe. Ecco perché noi cerchiamo di destrutturare un dispositivo molto complesso spiegando I Diavoli: la finanza non facilita il dispositivo di accumulo; è semmai uno strumento dei tanti di questo dispositivo.

Non crede che l’impoverimento del ceto medio e dell’Europa sia stato in qualche modo pianificato?
Dalla Cina nella Wto ci hanno guadagnato molte fette produttive. Tutti quelli che potevano delocalizzare. Il ceto medio ne ha solo pagato le conseguenze, che rischiano di rivelarsi tragiche.

Trade war, guerre commerciali e accordi che consentiranno alle multinazionali di denunciare i governi che ostacoleranno i loro profitti. Trattati che riscrivono le regole del commercio e modificano le costituzioni, regolano il copyright sui prodotti farmaceutici, tutelano le corporation da ogni variazione politica interna ai Paesi, dollarizzano ancora di più la finanza mondiale. Che ne pensa del Ttip: potrebbe davvero essere considerata la Nato economica? E come potrebbe fare l’Europa a sottrarsi dalla firma capestro?
Multinazionali, sì, io le chiamo Platform Companies. Tuttavia ho molta fiducia nel negoziatore italiano del Ttip, persona di indubbia qualità morale e professionale, e mi sono sempre sentito tutelato da lui. Ad oggi il Ttip non si è chiuso perché non convenivano all’Europa alcuni termini in cui è stato proposto. Penso all’Isds ma anche a tanti altri punti che non conosciamo. La politica dovrebbe calmare il capitalismo, che diventa rapace per sua natura. Nelle clausole in cui le multinazionali possono far causa ai governi la forza del capitalismo rapace viene esaltata, ed è senz’altro un grave errore. Ma il problema non è solo il Ttip. Prendi il fast fashion. Poco più di un mese fa ricorreva l’anniversario del Rana Plaza, ma ancora oggi la produzione per il fast fashion a basso costo è una piaga. Poi le grandi multinazionali dell’abbigliamento possono mascherarlo con campagne di marketing, però quello é.

Sì, nelle campagne di marketing magari usano termini come “conscious” – consapevoli, responsabili - ma sono capi fatti comunque a volte sfruttando manodopera.
Ci vorrebbe una campagna che spiegasse agli italiani il reale costo di una maglietta a 3 euro, il true cost. Se compro una maglietta a 3 euro ma poi faccio chiudere le fabbriche made in Italy in cui il mio parente viene licenziato, devo esserne consapevole. Così come accaduto con i distretti a Prato. Bisogna riformulare le coscienze. Il fast fashion ha distrutto il made in Italy nel tessile. Il prossimo potrebbe essere l’agroalimentare. Quando noi ci svegliamo facciamo tre cose: ci vestiamo, facciamo colazione e accendiamo il cellulare. Queste tre cose sono più o meno gratis e fanno parte di quello scambio politico di cui ti dicevo. Ma questi capi a basso prezzo quanto hanno distrutto in termini di istruzione e stato sociale?

A proposito di cellulari, parlando di redistribuzione della ricchezza ricordiamo che uno degli elementi essenziali nella loro produzione  il coltan, che tante guerre ha scatenato in Africa per la sua estrazione. Lo sfruttamento delle risorse e delle materie prime è all’origine di molti conflitti armati. Poi esistono guerre mediatiche, finanziarie, ma il dominio resta altrove. In un passaggio dei Diavoli raccontate che esistono tanti tipi di guerra, non ce n’è uno solo. Cosa intendete però per “nessun proiettile può colpire i mercati”?
Ci riferivamo agli attentati di Parigi, e ancor prima a quelli di New York. Quando un attentato fa crollare i mercati, in sostanza esorta a farne altri. L’interesse è quello di fare più rumore possibile. Nel nuovo status quo, tuttavia, l’attentato non fa più crollare i mercati. Quella del proiettile era una metafora per spiegare come gli attentati abbiano efficacia gravissima in termini di costo di vite umane, ma nessuna efficacia economica. E questo è un deterrente.

E questo è giusto?....
Questo sì, concedimelo.

Crescita e controllo, crescita controllata: il segreto del potere è tutto qui?
Credo di sì. Lo vediamo proprio in quel Tredicesimo Piano, lobby ispirata al Grande inquisitore di Dostoevskij. E’ lì che che I Diavoli.com si fanno carico di spiegarla.

Il rapporto con i temi finanziari è complicato e pieno di vuoti informativi: secondo la ricerca
«Le competenze economiche degli italiani», pubblicata recentemente da Bancaria Editrice,
il 47,5% degli italiani afferma di capire poco di economia e finanza e un altro 32,9% afferma di non capirne nulla. In che misura capirne di più può aiutare i cittadini se le decisioni vengono comunque prese altrove?
Non correre, non chiedermi a che serve spiegarla…Intanto facciamolo, in modo da evitare il grande equivoco come i falsi nemici, la finanza cattiva di per sé. Non chiediamoci chi siano i buoni e i cattivi, non compete neppure a noi Diavoli. Quello che ci compete è spiegare, educare a leggere dietro una notizia.

Concorda dunque sul fatto che l’informazione mainstream non racconta sempre la verità?
Certo, anche per come è strutturata. Si guarda l’audience piuttosto che costringere la gente a pensare. E’ tutto molto veloce, superficiale. E poi costa fatica spiegare, capire. Tu il sito l’hai letto e ti piace perché ci hai perso tempo. Ma in questa società la lettura e la riflessione sembrano un lusso. I giovani si formano su video di due-tre minuti, e noi stiamo provando a realizzarli ma chiediamo attenzione a chi ci legge. Puntiamo su quello e abbiamo avuto enormi riscontri. Informare è una missione, ma dare una soluzione non è compito nostro.

E a chi spetta? Alla politica?
Certamente sì.

 Mi ha colpito un titolo nel sito dei Diavoli, che si rifà all’articolo 1 della Costituzione: l’Italia è un paese fondato sulle crisi finanziarie. Può spiegare perché?
Le crisi finanziarie in Italia sono sempre state un fenomeno di estrazione - e non di creazione - di valore.

Lo diceva anche Monti…
Ma lui lo diceva in senso positivo, non in senso negativo. Crei valore quando investi in tempo e risorse, quando rischi. Questo non accade quando ti limiti ad estrarlo. Dire che l’Italia è fondata sulle crisi finanziarie è una forma di protesta civile nei confronti di fondi speculativi internazionali che stavano comprando pezzi di bilanci, di banche dietro cui c’erano le prime case dei cittadini, i crediti deteriorati. Noi invece invitavamo lo Stato a sobbarcarsi il ruolo di ammortizzatore, ad aiutare le banche e nel contempo a rilevare i crediti non pagati. Lo stato si è trovato con le mani legate dall’Europa e non ha potuto intervenire e la soluzione Atlante è stata la migliore si potesse trovare, questo va riconosciuto.

I mercati vengono guidati quasi esclusivamente dalle dinamiche monetarie. I fattori esogeni possono mettere a rischio singoli titoli, al massimo un settore, ma non possono compromettere la stabilità complessiva. In Italia, tra il popolo, c’è chi invoca Mario Draghi come condottiero di una guerra contro la Germania cattiva. Lei non crede che QE, la gigantesca immissione di liquidità, abbia in realtà modificato il rapporto tra mercati e reale, costruendo un’autonomia organica dei mercati stessi? Ormai vivono di vita propria: da un lato immuni agli eventi, e dall’altro capaci di modellare la realtà.
Il Quantitative Easing è uno strumento di riequilibrio nell’asimmetria tra paesi debitori e creditori. Draghi ha fatto molto male alla Germania, che si finanziava a tassi molto bassi rispetto all’Italia. Per me Draghi resta l’unico politico europeo (anche se lui ne rifiuta l’accezione) che abbia davvero una visione europeista, perché il Qe compra i debiti pubblici degli Stati e combatte la frammentazione dell’Unione Europea. Draghi stesso, parlando dei crediti deteriorati, ha spiegato da statista che andavano trattati in modo granulare, caso per caso, in modo lento, citando l’esperienza virtuosa irlandese. Draghi è uno di quelli che ingiustamente viene assunto come nemico delle classi deboli e delle pari opportunità. Eppure ha avuto un approccio progressista ed é tra i meno regressivi nel panorama di politici e banchieri. Gioca con le carte che ha.

In un’architettura del genere, che ruolo hanno, potrebbero o dovrebbero avere i sindacati?
In un mondo in cui sembra esplosa una bomba termonucleare - il più grande arbitraggio sul costo del lavoro - il sindacato sembra perdere rilevanza. Di fronte all’apertura della libera circolazione delle merci e del lavoro, di fronte alle delocalizzazioni, cominciamo col chiederci cosa dovrebbe fare lo Stato: cominciare ad investire in welfare, pari opportunità, istruzione. Ecco, il sindacato deve inserirsi in questa partita con la tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori. Che poi la contrattazione debba essere nazionale o aziendale è ormai un problema superato di fronte alle delocalizzazioni delle aziende, che devono necessariamente essere messe in grado di competere.

Tarantelli avrebbe alzato le braccia?
Questo è un tema talmente complesso che oggi non abbiamo soluzioni uniche. Il welfare va comunque protetto. Sono sicuro che partirà dalla Silicon Valley la richiesta del reddito minimo per tutti. Già lo stanno facendo. Saranno proprio quelle élites le prime a rendersi conto che il loro business model così com’è non funzionerà senza una redistribuzione della ricchezza.

In Europa avevamo il miglior welfare state. Perché l’abbiamo distrutto per poi importarlo dalla Silicon Valley?
Secondo te l’abbiamo distrutto scientemente? Distruggere la classe media, sosterrebbe Derek Morgan, è il costo che abbiamo dovuto pagare. Io sostengo che è un costo troppo alto. Ma la mia opinione lascia il tempo che trova.

I governi nazionali adottano politiche di austerity per garantire la solvibilità del debito e varano continue  “riforme”. La sua lettura?
Il riformismo? Penso che tutto stia nel trilemma di Rodrik: solo due di tre elementi possono coesistere. Dobbiamo scegliere tra democrazia, globalizzazione dei mercati finanziari e Stato sovrano. Oggi abbiamo sospeso la democrazie perché i mercati ci chiedono qualcosa e lo Stato esegue. Possono convivere Stato e democrazia, ma allora mettiamo i dazi e alziamo i muri. Possono combaciare democrazia e globalizzazione, ma allora dobbiamo eliminare gli Stati e fare gli Stati Uniti d’Europa. Perfetto, ma questo non deve necessariamente richiedere austerity all’infinito, anzi. Dovrebbe richiedere investimenti produttivi all’infinito in Europa, come quello sull’inquinamento. Questa è la risposta. Oggi chiediamo democrazia, Stato e globalizzazione. Non è possibile. Dobbiamo fare una scelta.

Derek Morgan, il protagonista de “I diavoli”, come citato precedentemente, dichiara che "le politiche monetarie sono stati farmaci potenti... la liquidità immessa doveva depositarsi da qualche parte nell'organismo. E noi abbiamo scelto i ricchi. Quell'1% dove l'accumulo della ricchezza è "innocuo " non produce inflazione e non sposta equilibri. Non esistono altri mondi possibili”. Quindi, esclude una strada come quella dell’Helicopter Money?
Al momento sì. La liquidità immessa é enorme; l'unica vera alternativa sarebbe annullare i debiti acquistati dalle banche centrali e prepararsi ad un New Deal in stile Roosveltiano.

Che ne pensa dei tassi a zero? In un passaggio sul sito li considerate l’altra faccia della compressione salariale e dello smantellamento dei diritti e dite che chi si illude che sia un evento momentaneo, una congiuntura di breve periodo, sbaglia. E di grosso. Perché?
Perche tassi a zero vuol dire bassa crescita. E ahimé la bassa crescita é frutto di bassa domanda interna, di un mondo di consumatori spompato proprio dalla compressione salariale. E' un circolo vizioso dal quale non si esce.

Ad ogni modo, in una situazione simile non si rovescia il quadro con il semplice salvataggio del sistema bancario. Come procedere verso uno shock monetario di massa, che attivi uno tsunami di consumi?
La politica monetaria ha esaurito il suo compito. Secondo me l'unica soluzione è lo stimolo costante di investimenti pubblici virtuosi.

La fiscalità. La concorrenza spietata per attrarre capitali e investimenti spinge ogni Paese ad adottare sgravi fiscali per accaparrarsi fette di business. In cambio degli sgravi, c’è solo occupazione di basso livello. Come ne usciamo?
Intanto finendo la concorrenza fiscale sleale tra paesi, poi cercando una coperta bancaria e fiscale in Europa. In ultimo, stimolando appunto gli investimenti. Ma tutte queste sono ricette facili a dirsi ma meno a farsi. I vincoli europei da un lato e la globalizzazione dall'altro sono elementi che pesano su questo tipo di politiche.

Le vie della finanza sono infinite.  I pm di Trani contro Deutsche Bank: fu vero golpe nel 2011?
Ci fu un attacco all'euro. E nel libro “I Diavoli” lo racconto. Pur mascherandomi dietro il concetto di fiction. Ma escludo che questo attacco fosse rivolto verso rovesciamenti di governi non allineati. Piuttosto conveniva in quel momento un euro indebolito ed un dollaro visto come bene rifugio.

La borsa, madre di tutte le slot machines: uno studio della stessa Bce denuncia che "alcuni trader dispongono di informazioni riservate sui fondamentali macroeconomici”. Forse non è una novità…
Si riferisce a chi sa qualche minuto prima i dati americani? Ma sono secondo me dettagli, perché non fanno molta differenza. Certo, disturbano perché minano la credibilità del sistema.

Che fine ha fatto la democrazia? Esiste ancora e a cambiare sono i dispositivi di controllo, altrimenti sarebbe anarchia?
Democrazie, stati sovrani e globalizzazione dei flussi finanziari non possono esistere. E' il famoso trilemma spiegato molto bene da Rodrik, di cui parlavamo prima. I tre elementi assieme non convivono. Convivono solo due alla volta.

Si parla tanto di Siria, Medioriente, penisola arabica, Islam, mondo arabo. Eppure, gli Usa individuano sempre nel nemico la Russia. In ballo, dunque, più che la sopravvivenza dell’Occidente c’è la centralità del dollaro come valuta globale?
Beh, il dollaro deve rimanere un, anzi il, bene rifugio. Al momento lo é e credo anche a ragione. Basti guardare altrove e ci rendiamo conto che di fatto la valuta al momento più stabile a fronte di shock esogeni é il biglietto verde.

Alla fine della somma, comunque, sembra un gioco in cui tanti, troppi, rischiano di perdere tanto, troppo…
Si, si é creato un meccanismo di accumulo che non garantisce più pari opportunità. I governi, ovvero la politica, non sono più in grado di mitigarlo. Ma qui in crisi è il concetto di Stato nazione e la stessa democrazia di fronte alla globalizzazione rischia di essere un’arma spuntata. Democrazia vuol dire libertà. E libertà vuol dire concordia e fratellanza. Ma sopra ogni cosa, pari opportunità. Quelle che ogni giorno che passa rischiamo di perdere.

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