Quelle molestie contro le giornaliste


di Raffaella Vitulano

 C’è chi sceglie la via dello sguardo sornione, c’è poi chi - invece - del linguaggio pecoreccio proprio non riesce a fare a meno, incapace di trattenersi in gradasse flatulenze verbali ricolme di boria. Le molestie sessuali riguardano anche le giornaliste: due su dieci hanno subìto richieste di prestazioni sessuali in cambio di assunzioni o avanzamenti di carriera. La forma di molestia più diffusa, subìta dall’80,7% delle intervistate, è quella verbale a sfondo sessuale. Per non parlare di quel 6% che ha subìto esibizione di parti del corpo e gesti osceni mentre magari parlava di questioni serie. Va così: la donna inizia un ragionamento di lavoro evidentemente poco gradito all’uomo dall’altra parte della scrivania, che piuttosto che prestare ascolto inizia a sbottonarsi i pantaloni cercando di cambiare discorso, ebbro di abuso di potere. Succede, succede eccome. Lo conferma l’indagine CPO (Commissione Pari Opportunità) della Fnsi (Federazione Nazionale Stampa Italiana), promossa insieme agli organismi di categoria, sulle molestie sessuali nelle redazioni. Una fotografia sconcertante con due aspetti che richiedono maggiore approfondimento: solo il 2% delle colleghe ha dichiarato di aver denunciato l’accaduto; in un terzo dei casi le situazioni di molestie si sono verificate con testimoni. Quello che emerge dall’indagine è la presenza all’interno delle redazioni di veri e propri casi di abuso di potere, a volte striscianti, a volte palesi, ma mai accettabili. Il fatto che il 35% delle donne ha dovuto sopportare battute pesanti, allusioni, commenti sgradevoli in mezzo ad altri colleghi “indica che c’è un clima diffuso di ‘accettazione’ o scarsa consapevolezza della gravità delle molestie, siano anche solo battute che mettono a disagio chi ne è oggetto”. Ancora più grave il fatto che nell’81,6% dei casi nessuno abbia reagito. Il 98% non denuncia “per paura di essere giudicata, non creduta, trattata male”, soprattutto quando l’autore di molestie ti ribadisce che se lo può permettere perché ha il tuo consenso, magari da lui estorto e registrato col cellulare, dato che tu taci impietrita dalle conseguenze del tuo racconto, a cui nessuno crederebbe. Quel solo 2,2% di denunce evidenzia inoltre che questi comportamenti si accompagnano alla quasi totale assenza di solidarietà formale e pubblica con chi vive episodi di molestie, creando così un clima di complicità e di connivenza con chi opera nella stanza dei bottoni, e contestualmente una condizione di isolamento per le vittime. Pensare che solo un anno fa oltre 200 giornaliste italiane di carta stampata, agenzie di stampa, tv e web si erano schierate al fianco delle lavoratrici del cinema e dello spettacolo che avevano varato il manifesto ‘Dissenso Comune’ contro le molestie sessuali. E poi, quando tocca a loro parlare, scrivere, denunciare, tacciono. Anche per l’indifferenza constatata tra gli editori. Ridotti, ma comunque presenti, anche casi di vera e propria violenza sessuale (2,9%) e tentata violenza sessuale (8%) o minacce di violenza sessuale (1,9%) e di altri tipi di ricatti (11,7%).
Il questionario anonimo, nel rigoroso rispetto della privacy, sottoposto a un campione casuale di giornaliste, costituisce la prima ricognizione su giornaliste dei quotidiani, delle agenzie, delle radio e delle televisioni, che verrà allargata successivamente anche a periodici, online e alle giornaliste non contrattualizzate. L’indagine, condotta con la collaborazione della statistica sociale Linda Laura Sabbadini, fa capire perché la Federazione Nazionale Stampa Italiana abbia descritto come ”pervasivo” il problema delle molestie sessuali contro le giornaliste italiane. Quello di donne e media, del resto, non è mai stato un binomio pacifico e non solo nel nostro Paese. L’indagine condotta da Kairos Ricerche rileva infatti insulti e offese gratuite e legate semplicemente all’essere donna e quindi ”emotiva” (tipologia di molestie che avrebbe colpito il 43,6% del campione) e un continuo veder sminuito, per la stessa ragione, il proprio lavoro (41,6%). In qualche caso si arriva anche a ricatti sessuali: il 19,3% del campione ha ammesso, nel questionario anonimo somministrato, di aver ricevuto richieste di prestazioni sessuali di vario tipo in cambio di un nuovo lavoro, percentuale a cui andrebbe sommato il 13,8% a cui la stessa richiesta è stata effettuata in vista di un proseguimento nella carriera. Un clima contro il quale è necessario un cambio di mentalità.


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