Foxconn, lavoratori in fuga dal virus


Quasi 5 milioni di persone nella città della Cina meridionale sono confinate a causa della politica cinese zero-Covid, aumentando lo spettro di ulteriori interruzioni della catena di approvvigionamento. Una politica che rischia di mettere in ginocchio l’economia cinese. India e Vietnam si fregano le mani. Basterà spostare la produzione altrove per mantenere numeri e qualità del prodotto? Andiamo con ordine. Oltre 100 mila persone hanno aderito ad una massiccia campagna di assunzioni da parte di Foxconn, fornitore di Apple per la più grande fabbrica di iPhone in Cina, a causa di una significativa crisi della catena di approvvigionamento presso l’impianto di assemblaggio situato nella città cinese di Zhengzhou. La notizia arriva dopo che un’epidemia di Covid il mese scorso aveva costretto il sito a chiudere, mettendo in fuga alcuni operai. I racconti di alcuni lavoratori presso l’azienda criticano tuttavia aspramente le politiche attuate internamente per far fronte alla diffusione del virus. Tra i lavoratori si era insinuata l’idea che in realtà la rigidità del protocollo Covid venisse sfruttata dall’azienda a suo favore per trattenere i dipendenti e farli lavorare ancor più intensamente al fine di garantire un livello adeguato di produzione. Foxconn ha adottato strategie confusionarie, trattenendo i dipendenti all’interno dei dormitori per rispettare le regole governative che impongono tolleranza zero verso il coronavirus. Il complesso produttivo di Foxconn a Zhengzhou è come una città, tranne per il fatto che i suoi abitanti vivono in una densità estremamente elevata e devono obbedire a rigidissime regole nella loro routine quotidiana. Nelle ore di punta, quasi 350 mila persone lavorano e vivono su una fascia di terra di 10 chilometri quadrati (la dimensione di circa 1.400 campi da calcio standard). Il Wall Street Journal racconta alcuni episodi di dipendenti cui veniva impedito di lasciare lo stabilimento, emarginati in dormitori e costretti a muoversi a compartimenti stagni, senza mai incrociare nessun altro. I video di molte persone che lasciavano a piedi Zhengzhou, capitale della provincia centrale dell’Henan, erano diventati virali sui social media cinesi all’inizio di novembre. Per cercare di limitare le ricadute, la società ha affermato di aver quadruplicato i bonus giornalieri per i lavoratori dello stabilimento. Negli ultimi giorni, le autorità cinesi hanno anche compiuto l’insolito passo di invitare alcuni funzionari della comunità e veterani militari a intervenire per lavorare presso la struttura Foxconn. La politica cinese zero-Covid sta causando rischi di un’eccessiva concentrazione delle catene di approvvigionamento. Ma qualsiasi paese è al momento pronto davvero per sostituire realisticamente la Cina? I mercati dei capitali hanno mostrato il loro pessimismo. Ci vogliono anni, persino decenni, per raggiungere il livello richiesto per tradurre progetti complessi in produzione di massa con precisione ingegneristica e a un costo competitivo. Da questo punto di vista, Foxconn rappresenta la trasformazione della Cina da “fabbrica del mondo” a “officina del mondo” dato che dietro il successo di Foxconn in Cina c’è la mega rete della catena di piccoli produttori e fornitori cinesi nel settore elettrico ed elettronico. La divisione del lavoro nella manifattura è quindi per fasi di produzione piuttosto che per prodotti finali. Questa nuova organizzazione della produzione ha cambiato il commercio globale da beni finali a beni intermedi. Tuttavia c’è un paradosso intrinseco: una rete di produzione competitiva, per la sua stessa efficienza, porta spesso una vulnerabilità endogena a causa delle sue reti di fornitori globali ampiamente distribuite, complesse e interdipendenti. Ad esempio, Foxconn ha una rete di oltre 300 fornitori elettrici ed elettronici, raggruppati nello Zhengzhou Science Park di Foxconn, che ha attratto anche altri produttori di smartphone.

Questo ecosistema di produzione è efficiente e resiliente in quanto presenta vantaggi sia in termini di portata che di scala. Zhengzhou è così diventata la più grande base produttiva mondiale di dispositivi elettrici ed elettronici, contribuendo per un quarto al Pil dell’Henan, la terza provincia più popolosa della Cina. Nel 2010, quando Shenzhen, dove Foxconn ha operato per oltre due decenni, ha iniziato a trasformarsi in un centro di innovazione, Foxconn ha deciso di spostare i suoi impianti di produzione nell’entroterra per beneficiare dei minori costi di manodopera e terra. In 10 anni, Foxconn a Zhengzhou è diventata il più grande esportatore cinese, contribuendo per l’80% ai volumi commerciali totali di Zhengzhou e per il 60% di Henan. Sfortunatamente, i vantaggi della Cina significano vulnerabilità per altri paesi, in particolare per gli Stati Uniti. Nel 2018, Foxconn ha costruito una catena di montaggio per gli smartphone Apple in India; dopo quattro anni, la produzione rappresenta circa il 5% della produzione totale. Nel 2021, Apple ha aperto una fabbrica in Vietnam per produrre i suoi laptop e tablet. La loro produzione, tuttavia, dipende ancora dalle catene di approvvigionamento cinesi. Ci vorrà molto tempo e costerà un sacco di soldi ad India e Vietnam costruire le proprie catene di approvvigionamento. Tuttavia, i costi economici della politica cinese zero Covid, soprattutto quelli a lungo termine, devono essere ricalcolati. Ripristinare la produzione - spiegano esperti cinesi piuttosto critici sulla gestione - non è come aprire un rubinetto quando è necessaria più acqua o guidare su un’au tostrada dove il conducente può prendere velocità accelerando. È più simile al viaggio di un aeroplano: dopo un duro atterraggio, il decollo richiede la pista giusta (catene di approvvigionamento) e lo slancio (forza lavoro addestrata), che richiedono tempo e denaro per essere costruiti. Nel frattempo, con la crisi, molte fabbriche in tutto il paese hanno dovuto entrare bruscamente in una modalità di “jing mo” - stare fermi in silenzio. Gli effetti a catena possono essere catastrofici: le persone riducono i propri consumi, che è la chiave della crescita economica della Cina. Anche se i piani di diversificazione geografica stanno accelerando, secondo alcuni analisti serviranno anni prima che Apple riesca a trasferire in India anche una piccola percentuale della sua catena di fornitura globale. Secondo una stima più ottimistica Apple costruirà in India il 25% degli iPhone e di tutti i suoi prodotti principali già entro il 2025. Una volta che i lavoratori e i fornitori avranno lasciato la Cina, non torneranno. Risolvere l’enigma cinese di contenere il COVID-19 e mantenere la crescita economica richiede saggezza politica ed economica. Il tempo e la marea - dice un proverbio cinese - non aspettano nessuno.

Raffaella Vitulano


L’azienda cinese produrrà il primo veicolo elettrico saudita 

Si chiama Ceer ed è il primo marchio saudita di veicoli elettrici. Lo annuncia il principe ereditario Mohammad bin Salman bin Abdulaziz, primo ministro dell’Arabia Saudita e presidente del Fondo per gli investimenti pubblici (Pif) che possiede già partecipazioni in McLaren, Aston Martin (il 16.7% del capitale) e in Lucid (il 61%). Ceer è una nuova joint venture tra Pif e Foxconn, il più grande fornitore conto terzi di elettronica del mondo ed utilizzerà nello sviluppo tecnologie Bmw. L’obiettivo è progettare, produrre e vendere - a partire dal 2025 - una gamma di veicoli elettrici per gli utenti dell’Arabia Saudita e di altri Paesi nella regione Mena (Middle East North Africa). Secondo quanto è stato detto, Foxconn svilupperà l’architettura elettrica dei veicoli, con un portafoglio di prodotti destinati alle aree di infotainment, connettività e tecnologie di guida autonoma. L’iniziativa attirerà oltre 150 milioni di dollari di investimenti esteri diretti e creerà fino a 30.000 posti di lavoro diretti e indiretti. La previsione è che Ceer possa contribuire con 8 miliardi di dollari al pil dell'Arabia Saudita entro il 2034.

Ra.Vi.


E ora arrivano le proteste contro gli alloggi separati dei dipendenti 

Dopo la fuga, le proteste. Manifestazioni su larga scala sono scoppiate nello stabilimento Foxconn di Zhengzhou, la cosiddetta “iPhone City”. I video e le foto postati hanno mostrato un folto gruppo di lavoratori che marciava su una strada, con alcuni di fronte a una fila di persone in tute ignifughe e poliziotti antisommossa. Non è ancora chiara la motivazione delle proteste, che potrebbe essere legata al bando della maxi-assunzione di 100 mila persone da parte di Foxconn allo scopo di soddisfare la domanda e le spedizioni di iPhone 14. Ai neo-assunti sarebbero stati assicurati alloggio e lavoro separati rispetto ai dipendenti già in attività presso l’impianto, al fine di scongiurare il rischio di contagi. Ma l’inizia tiva avrebbe fatto salire il malcontento, dando il via alle proteste. Un altro video in live streaming ha mostrato dozzine di lavoratori di notte che hanno affrontato una fila di agenti di polizia e un veicolo della polizia con luci lampeggianti, scandendo “Difendia mo i nostri diritti, difendiamo i nostri diritti”.

Ra.Vi.



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