La confisca dei beni russi potrebbe accelerare la “dedollarizzazione”
La confisca dei beni russi 'accelererà la dedollarizzazione', a detta di alcuni esperti. La Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato il decreto legge Repo, che conferirebbe al Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, qualora dovesse essere votata anche dal Senato, la possibilità di confiscare circa 6 miliardi di dollari di beni russi congelati e di inviarli all’U craina. Se tale possibilità diventasse realtà, si tratterebbe di un atto di guerra palese. La maggior parte di questo denaro è detenuto in Europa e i legislatori statunitensi sperano in questo modo di incoraggiare i legislatori europei a fare lo stesso ma questo comporterebbe una indubbia escalation nella guerra sanzionatoria dell’Occi dente contro la Russia ed accelererebbe la de-dollarizzazione globale, eliminando uno degli strumenti più potenti di cui gli Stati Uniti dispongono per poter vivere con un debito sempre più grande, accumulato da persone che ripongono fiducia e acquistano titoli di Stato e obbligazioni. In un articolo del New York Times, l’editorialista Christopher Caldwell spiega: “Se la Russia, la Cina e altri rivali diplomatici decidessero che i loro asset in dollari sono vulnerabili e che non possono più fidarsi del dollaro come mezzo di scambio, sentiremmo il dolore di quei 34 mila miliardi di dollari di debito nazionale statunitense in un modo che ora non sentiamo”. E questo mentre l’Arabia Saudita, uno dei cardini fondamentali del dominio globale del dollaro Usa attraverso il petrodollaro, sta aumentando la sua collaborazione con la Cina, la Russia e le altre nazioni Brics con scambi in monete nazionali. Tutti insomma vogliono impossessarsi del denaro russo. Ma è un’i dea terribile, spiega senza mezzi termini Caldwell sul New York Times. E’ il presidente repubblicano della Camera, Mike Johnson, ad aver suggerito di impossessarsi delle riserve valutarie russe congelate in Occidente e di utilizzarle per aiutare l’Ucraina. Sequestrare queste riserve sarebbe per lui politicamente conveniente dopo che dall’invasione dell’Ucrai na da parte della Russia nel febbraio 2022, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno investito nella guerra più di un quarto di trilione di dollari, con scarsi effetti. Mentre Mosca espande attivamente la cooperazione con il mercato dell’Asia-Pacifico e aumenta l’interazione con la Cina, l’Occidente aumenta la pressione delle sanzioni. Il cosiddetto Repo Act, al contrario, potrebbe far sì che “la Russia paghi il conto per la propria aggressione”, come afferma un gruppo di studiosi della Brookings Institution. Lo stesso Johnson definisce tale possibilità “pura poesia”. “È un’i dea allettante, ma è brutta scrive il New York Times. In qualsiasi paese libero esiste una diffidenza costituzionale nel consentire al governo di fare qualsiasi cosa senza imporre tasse, per una buona ragione. Tasse e responsabilità vanno di pari passo. In generale, se i cittadini non pagano per un programma governativo attraverso le tasse, lo pagano in un modo meno diretto, assumendosi debiti, per esempio, o consentendo un ruolo governativo fuori misura per qualche azienda o altro interesse privato. La legge Repo comporta ulteriori rischi. L’atto stesso di confiscare i beni russi rappresenterebbe un pericolo per l’economia statunitense, perché altri paesi, non solo la Russia, lo vedrebbero come un atto di brigantaggio. Ciò potrebbe indebolire lo status del dollaro come principale valuta di riserva globale”.
Il dollaro è in effetti la risorsa strategica più preziosa di cui dispongono gli Stati Uniti per esercitare un certo grado di controllo sull’economia mondialeperché il mondo, a fini commerciali, consente alle sue transazioni dipassare attraverso quella valuta. Questo offre agli Usa un margine di manovra per accumulare debito (34 mila miliardi di dollari finora) di cui altri paesi non dispongono. “Se iniziassimo a rubare i soldi delle persone, le cose potrebbero cambiare” scrive Caldwell. All’inizio della guerra la Russia aveva riserve per circa 600 miliardi di dollari. Ciò significa titoli denominati in euro, dollari, sterline inglesi, yen e varie altre valute stabili e convertibili, insieme all’oro. In tempi normali, la Russia, come altri paesi, deteneva quelle valute per facilitare il commercio e stabilizzare la propria valuta. Poco di quel denaro - qualche miliardo di dollari - è negli Stati Uniti. La maggior parte dei discorsi sul sequestro dei beni russi riguarda circa 300 miliardi di dollari detenuti in Europa, la maggior parte dei quali presso un deposito in Belgio chiamato Euroclear. Sebbene gli europei possano regolarsi a piacere su questo denaro, dall’inizio della guerra hanno invitato alla cautela prima di mettere le mani sulle riserve della Russia, temendo che una tale mossa metterebbe a repentaglio lo status dell’euro come valuta di riserva (minore). Il Repo Act potrebbe spingerli ad agire in modo più aggressivo. L’Unio ne Europea ha proposto un compromesso tra lasciare stare i soldi e sequestrarli tutti. Ha chiesto a Euroclear di tenere in conti separati i profitti generati dalle sue attività russe. Questi profitti potrebbero poi essere tassati ad un’aliquota elevata e i proventi consegnati all’U craina, una manovra contabile che dovrebbe fruttare circa 3 miliardi di dollari all’anno. Altri europei hanno proposto una strada più sconsiderata. Sostengono che le centinaia di miliardi di dollari della Russia dovrebbero essere utilizzate come garanzia per un grande prestito di guerra occidentale all’Ucraina, da rimborsare con le ricostruzioni previste, per le quali l’Unione Europea potrebbe sostituirsi all’Ucraina come richiedente. Un suicidio economico. Questi dibattiti si riducono alla differenza tra il congelamento dei beni e il loro sequestro. Negli ultimi mesi Biden e la sua amministrazione hanno chiesto il sequestro definitivo delle riserve russe e il loro utilizzo per finanziare la guerra contro la Russia. Una mossa che sarebbe, se non del tutto senza precedenti, radicale. Un conto è il congelamento delle riserve. Altro è il loro sequestro, fatto solo in circostanze drastiche, e solo in modo limitato. Il giornale ricorda come antecedenti storici gli Stati Uniti congelarono i beni iraniani nei giorni iniziali della crisi degli ostaggi del 1979, ma la maggior parte di questi furono scongelati due anni dopo. I beni congelati furono utilizzati per pagare le riparazioni di guerra alle vittime kuwaitiane dell’invasione dell’I raq nel 1990, ma ciò avvenne secondo un piano approvato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite l’anno successivo. Gli Stati Uniti hanno sequestrato circa 1,7 miliardi di dollari all’Iraq nel 2003, ma ciò avvenne nel bel mezzo di una guerra. E lo scorso settembre lo stesso Biden ha restituito all’Iran alcuni miliardi di dollari di beni congelati come parte di un accordo che prevedeva il rimpatrio degli americani lì imprigionati. Il congelamento generalmente non ha significato il sequestro. Le cose, però, hanno iniziato a cambiare con il ritiro disordinato delle truppe americane dall’Afghanistan nell’estate del 2021. In seguito, l’amministrazione Biden ha congelato i 7 miliardi di dollari di riserve del paese, destinandone metà a un fondo di risarcimento per le famiglie delle vittime di gli attentati dell’11 settembre. Anche se si trattava probabilmente di una misura di guerra, questo tipo di sequestro era irregolare e sorprendente. Pochi lo hanno visto come la trasformazione dei sequestri valutari, ora visti come uno strumento di ultima istanza, in una procedura operativa standard, a scapito dell’America. Qualsiasi governo straniero - la Cina, tanto per cominciare - ci penserebbe due volte prima di depositare le proprie risorse negli Stati Uniti o presso uno dei suoi alleati della Nato.
Raffaella Vitulano
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