L'Europa insegue le lucciole

di Raffaella Vitulano

Dopo il risultato delle urne, l’Europa dovrebbe avviarsi ad un cambiamento di rotta. Persino l’integralista presidente dell’Unione Herman Van Rompuy sosteneva oggi quanto fosse "urgente" ed ”essenziale” che la Ue sia ”anche protettiva”,”non solo degli affaristi, ma anche degli impiegati” e ”dei lavoratori”, ”non solo quelli con i diplomi e che sanno le lingue ma di tutti i cittadini”. Forse è per questo che tutti i Paesi Ue, Italia inclusa, inseriranno ”una stima nei conti (e quindi nel Pil)” delle attività illegali. La notizia è di qualche giorno fa: in pratica, ”traffico di sostanze stupefacenti, servizi della prostituzione e contrabbando (di sigarette o alcol)” saranno inseriti a partire dal 2014 nei conti, in coerenza con le linee Eurostat. Insomma, dal ”piano B” per l’Europa al ”lato B”.
Nonostante gli appelli all’ottimismo, la crisi che dal 2008 ha determinato l’esplosione dei debiti sovrani pressoché in quasi tutti i Paesi dell’eurozona (difficilmente ripagabili con gli interessi maturati) spinge i governi a diluirli misurandoli in rapporto al singolo pil, inserendo parametri di difficile calcolo dato che sono riferiti ad attività criminali. Ora, non entro sull’opportunità di tali norme, ma bisogna ammettere che la novità è quantomeno singolare e non spinge l’Europa esattamente verso quel muro di trasparenza tanto auspicato.
Nei documenti burocratici, il 2014 segna il passaggio ”ad una nuova versione delle regole di contabilità”. E se le spese per ricerca e sviluppo saranno considerate investimenti e non più costi (cambiamento che potrebbe portare per l’Italia ad una revisione al rialzo del livello del Pil tra l’1% e il 2%), Bruxelles ammette con candore che tra le riserve trasversali avanzate, il calcolo di proventi derivanti da marchette e scatoloni di contrabbando - che farebbero scolorire quelli nei film della Loren e di De Niro - può aiutare i conti pubblici. Le attività illegali aiutano i bilanci legali? Ma da quando? Già il precedente sistema dei conti nazionali, datato 1995, prevedeva di comprendere ”tutte le attività che producono reddito, indipendentemente dal loro status giuridico”.
Che l’Italia andasse a puttane (pardon) sembrava cosa nota, ma mettere a punto una stima del peso di quest’area nel range pare cosa difficile, anche se, ricordiamolo, l’Istat già inserisce nel pil il sommerso economico derivante dall’attività di produzione di beni e servizi che, pur essendo legale, sfugge all’osservazione diretta in quanto connessa al fenomeno della frode fiscale e contributiva. I governi dell’eurozona, anche in applicazione del Fiscal Compact, dovendo restringere il rapporto debito-pil e non “potendo” agire sul primo parametro, hanno ben pensato di agire sul secondo. Resta il dubbio, più o meno fondato, che i governi, verosimilmente, diverranno via via sempre più tolleranti verso quelle attività criminali considerate nel calcolo delle performances economiche, poiché produrranno pil aggiuntivo appagando, è il caso di dire, solo apparentemente i conti pubblici.
L’Italia, su questo versante, potrebbe ben sfidare gli altri paesi. Così, mentre Eurasia avanza grazie all’accordo tra Cina e Russia e il gas allontana ulteriormente Bruxelles e Mosca proprio mentre le due parti  rinegoziano le forniture, l’Europa ”protettrice” di Van Rompuy insegue le lucciole. E il nostro paese, stavolta, potrebbe agguantare la maglia rosa.

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