Il mondo è a un bivio

di Raffaella Vitulano

Frau Merkel non cambia idea e richiama tutti gli Stati membri a rispettare in pieno le regole del patto di stabilità e crescita, proprio nel giorno in cui inizia il processo alla Corte di giustizia di Strasburgo contro il ”Whatever it takes” (pronti a tutto per salvare l’euro) pronunciato da Mario Draghi a luglio del 2012. Processo all’Omt (Outright monetary transactions), dunque, il programma di acquisto illimitato di titoli di stato in cambio di pesanti condizionalità ai governi, mai attivato. Con il capo delle finanze tedesche, Schäuble, il presidente della Bundesbank Weidmann si affanna a ripetere che la politica monetaria da sola non può risolvere nulla e utilizza perfino l’iperbole del ”Faust” di Goethe, nella cui seconda parte Mefistofele risolve ogni problema di debito stampando moneta. Ieri la Bce è corsa in aiuto delle banche greche, condizionato anch’esso alle amorevoli cure della troika (Ue, Bce, Fmi). Ma alcuni, tra cui l’economista Richard Koo, rimproverano a Draghi proprio la sua eccessiva insistenza sulle riforme strutturali. Koo insiste: sono piuttosto i recenti contesti normativi e regolamentari comunitari a sfavorire gli investimenti negli ultimi tempi, in Giappone come in Europa. E’ lì che bisogna intervenire. Alla politica monetaria lui oppone il ruolo dello Stato: il solo modo per affrontare le pressioni deflattive è che il governo prenda in prestito con garanzie i risparmi del settore privato. Venti asiatici, di cui tener conto. La Cina sta del resto diventando la più grande economia del mondo sorpassando ufficialmente gli Stati Uniti, con un peso economico ufficiale di 17,61 miliardi (contro i 17,40 degli Usa). Un evento storico da associare all’annuncio che Pechino adotterà un nuovo metodo di calcolo per il Pil, che comprenderà altri parametri oltre alla crescita, e che rublo e yuan sostituiranno il dollaro in molte transazioni. Questo attivismo tra Europa, Russia e Cina raggiunge il suo picco in questi giorni, con lo svolgimento del vertice Asem a Milano. L’evidente emersione cinese a sostegno di Mosca è stata affrettata dalla crisi ucraina e Pechino starebbe preparando un vero e proprio Piano Marshall per la ricostruzione dell’economia europea e di quella russa, parzialmente distrutte dalla guerra. Le mosse Usa, in nome delle armi, evidenziano falle. Il New York Times accusa: “L’America diede armi segrete e gas a Saddam. Ora sono nelle mani dei jihadisti dell’Isis”. E mentre Washington s’interroga, la Cina si frega le mani: ha già salvato la City di Londra dal fallimento (facendone il principale centro finanziario, fuori dalla Cina, abilitato ad emettere obbligazioni in yuan) e comprato gran parte del debito Usa. La stessa Bce ora considera l’aggiunta dello yuan fra le sue riserve internazionali. E il presidente russo Putin, dal canto suo, approfitta di un consesso in cui gli Stati Uniti sono assenti per cercare di indebolire l’asse transatlantico sulla crisi ucraina. Apre alla possibilità di un accordo con la Serbia sull’export in Russia di determinate quote di auto prodotte nello stabilimento Fiat di Kragujevac (Serbia centrale). Gazprom potrebbe inoltre riaprire in direzione di Kiev i rubinetti chiusi a giugno se il capo del Cremlino rafforzasse il dialogo col premier ucraino. Il mondo è a un bivio. E non solo economico.

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