Il Mes, opportunità o pistola alla tempia?


 di Raffaella Vitulano

Per l’Italia sembra più che una trappola. Una vera e propria dichiarazione di guerra che garantirebbe perdite astronomiche a risparmiatori e investitori sui titoli di Stato, ed un guadagno certo e sicuro agli speculatori. Stiamo parlando della riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes): mentre erano tutti distratti, il 7 novembre a Bruxelles l’Eurogruppo ha concluso l’esame del pacchetto di riforme che sarà portato alla approvazione del Consiglio europeo del prossimo 5 dicembre. Un passaggio essenziale di questa riforma punta sullo spostamento dell’asse del potere in materia economica dalla Commissione Europea, considerata troppo politicizzata, ad un organismo intergovernativo e teoricamente più tecnico quale il Mes. Non è la prima volta che le grandi decisioni di politica economica, come il divorzio del 1981 tra Tesoro e Bankitalia, tentino di bypassare il parlamento, ma questa volta per l’Italia è pronta una bordata micidiale. Il Mes è regolato da un Trattato ad hoc, richiamato nel Trattato del Fiscal Compact. I suoi documenti sono secretati. I governatori degli stati membri sono tenuti al segreto professionale nel momento in cui operano all’interno del Mes, tanto durante quanto dopo l’esercizio delle loro funzioni. Il Mes, dunque, è un soggetto finanziario internazionale con sede in Lussemburgo, che esercita attività bancaria avvalendosi, però, dello statuto e delle garanzie di un soggetto sovrano. Quindi può rifinanziare singoli Stati o singoli sistemi bancari, sotto “stretta condizionalità”. Conquiste ne ha scritto da anni: nato come un Fondo Salvastati, il Mes è finanziato da tutti gli aderenti al fine di concedere aiuti finanziari ai Membri in difficoltà . E questo offre garanzie di stabilità al sistema. La sua riforma preoccupa però tra i tanti anche due economisti di provata fede europeista: Giampaolo Galli, docente alla Luiss ed ex direttore generale di Confindustria; e il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. Soprattutto se la ristrutturazione dovesse diventare una precondizione, pressoché automatica, per ottenere i finanziamenti. In realtà, solamente una minima parte dei fondi stanziati dal vecchio Mes finì in aiuti al popolo greco, quando larga parte di essi invece furono usati per risanare le esposizioni finanziare delle banche francesi e tedesche. Sostanzialmente, la ristrutturazione di un debito pubblico comporta la sua automatica riduzione e la perdita del valore nominale dei titoli del debito pubblico per i suoi detentori. Non solo dunque si lasciano gli Stati senza alcuna protezione contro la speculazione finanziaria, ma nel caso di specie dell’Italia per evitare la procedura di infrazione le si punterebbe la pistola alla tempia in modo da costringerla a cedere la sua politica economica nelle mani del direttivo Mes. A voler pensar male si potrebbe far bene: analisti esperti collegano la gravissima esposizione di Deutsche Bank, vicina al fallimento e con la quotazione delle azioni prossima allo zero, alla nuova disponibilità dei tedeschi nei confronti del completamento dell’Unione bancaria a patto di condizioni capestro che costringerebbero l’Italia a una “ristrutturazione preventiva” del debito pubblico, una “calamità immane, un colpo di pistola alla tempia”(cit. Giampaolo Galli). L’improvvisa accettazione tedesca ad accettare l’assicurazione europea sui depositi, a cui Berlino s’è sempre opposta per “non pagare i default delle banche meridionali” sarebbe chiaro indizio della rapida e semi-segreta riforma del Mes. Se poi pensiamo che dietro al salvataggio di Deutsche Bank potrebbe esserci la Fed, che da un mese inietta a botte di 120 miliardi a notte nel mercato dei finanziamenti interbancari a brevissimo termine, o la stessa Jp Morgan, l’Italia sembra stretta all’angolo. Il mondo della finanza globale dove Usa e Cina hanno accumulato debito su debito in accelerazione senza precedenti nell’ultimo anno è pieno di entità prossime a fallire, diffondendo il disastro al resto dell’economia globalizzata intercomunicante. Il nostro paese rischia di farne le spese, considerando che il 70% del debito è detenuto da operatori residenti, tramite le banche e i fondi di investimento. In queste condizioni, una ristrutturazione genererebbe distruzione di risparmio, fallimenti di banche e imprese, disoccupazione di massa e impoverimento della popolazione senza precedenti. Una sorta di bail-in applicato a milioni di persone che hanno dato fiducia allo Stato comprando titoli del debito pubblico. Sarebbe un evento di gran lunga peggiore di ciò che l’Italia ha già vissuto negli ultimi anni a causa dei fallimenti di alcune banche.


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