Il modello postale contro il Coronavirus?

di Raffaella Vitulano

Un interessante articolo di Thomas Fazi ripreso ieri da diverse testate online fa il punto su un recente rapporto commissionato dall’europarlamentare della Linke, Martin Schirdewan, che ha spulciato tutte le raccomandazioni formulate dalla Commissione europea nell’ambito del Patto di stabilità e crescita e della Procedura per gli squilibri macroeconomici tra il 2011 e il 2018. Una mole di lavoro impressionante, ma necessaria a produrre uno studio i cui risultati mostrano come, oltre ad insistere ossessivamente sulla riduzione della spesa pubblica, la Commissione si sia concentrata in particolare sulla riduzione della spesa relativa alle pensioni, alle prestazioni sanitarie e all’indennità di disoccupazione, oltre a chiedere il contenimento della crescita salariale e la riduzione delle misure di garanzia della sicurezza sul lavoro, le tutele occupazionali contro il licenziamento e i diritti di contrattazione collettiva di lavoratori e sindacati.
Focalizzandoci sulla sanità - di cui tanto in questi giorni si discute a livello mondiale per il Covid19 - la spesa pubblica non andrebbe persa di vista soprattutto quando si affrontano minacce planetarie. ”Le reti di ricerca sono certamente importanti per i fondi che erogano, ma lo sviluppo e la ricerca farmaceutica dovrebbero essere completamente liberi dalle limitazioni imposte dall’amoralità del libero mercato e l’intero settore dovrebbe essere reso pubblico e utilizzare il modello postale, dove i servizi redditizi sovvenzionano quelli in perdita. In questo caso, la scoperta e la fabbricazione di farmaci non remunerativi verrebbero pagate dai prodotti con più successo di vendita”. Si ispira al modello postale non un vezzoso socialista democratico, bensì colui che viene definito addirittura ”lo zar inglese dei superbatteri,” Jim O’Neill, ex capo economista di Goldman Sachs. Da anni suggerisce - udite, udite - che la nazionalizzazione delle aziende farmaceutiche sia la migliore soluzione alla crisi di resistenza agli antibiotici, paragonando la situazione attuale con il crollo finanziario del 2008 che aveva costretto alla nazionalizzazione della Royal Bank of Scotland. E, proprio come nel caso di quella nazionalizzazione di emergenza nel settore finanziario di oltre un decennio fa, oggi non avremmo molto tempo da perdere nel settore farmaceutico, dato che stiamo già affrontando una crisi di resistenza antimicrobica. Capite quanto paradossalmente la Brexit vada in direzione opposta alla Ue? Sulla scia dell’epidemia di Sars e in seguito all’Ebola nell’Africa occidentale, si è costituita tutta una serie di nuove partnership globali, tra cui l’International Severe Acute Respiratory and Emerging Infection Consortium (Isaric), la Emerging Diseases Clinical Assessment and Response Network (Edcarn), la Global Research Collaboration for Infectious Disease Preparedness (Glopid-R) e il progetto R&S dell’Oms. Questi enti dovrebbero stare a cavallo tra pubblico e privato, un riconoscimento esplicito che il mercato, lasciato a se stesso, non è sufficiente a far fronte a queste nuove minacce. Un’epidemia non è un’attività di un singolo paese. Richiede una stretta cooperazione tra le nazioni in termini di salute pubblica. L’istituzione di queste reti, meccanismi e parternariati è stata a lungo una delle principali raccomandazioni dei funzionari della sanità pubblica. O’Neill spinge ad esempio per una campagna globale di sensibilizzazione urgente e massiccia sui rischi, l’istituzione un Global Innovation Fund da due miliardi di dollari per finanziare la ricerca in fase iniziale; l’aumento dell’accesso all’acqua pulita, ma anche ai servizi igienico-sanitari e all’igiene in ospedale per prevenire la diffusione delle infezioni. E ancora, il suo dossier chiede di  ridurre l’abuso di antibiotici in agricoltura, monitorare la diffusione della resistenza ai farmaci, finanziare con un miliardo di dollari le aziende per ogni nuovo antibiotico scoperto, ideare incentivi finanziari per sviluppare nuovi test , promuovere l’uso di vaccini e alternative a farmaci. Ma non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire. Inserendosi in un quadro di crescenti tensioni tra Usa e Cina, il coronavirus può essere considerato un classico esempio di guerra asimmetrica: Jennifer Bouey, ricercatrice senior presso la Rand Corporation, ha sostenuto nel corso di un'audizione del Comitato degli Affari Esteri della Camera dei rappresentanti Usa che l’attuale difficoltà a contenere il virus sia la riduzione della collaborazione tra Cina e Stati Uniti negli ultimi due o tre anni. Basterebbe davvero poco per salvare vite umane.

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