I cocci di Davos nella confusione di un mondo che non c’è più

 di Raffaella Vitulano


La ripresa globale è deragliata a causa del ritorno della guerra, delle epidemie e della crisi climatica. Pur concordando sull’analisi di Klaus Schwab, fondatore del World economic forum in corso a Davos, nutriamo parecchi dubbi sulla sintesi che gli oltre 50 i capi di Stato e di governo partecipanti potranno fare di fronte all’arre tramento della globalizzazione. Il quadro è caotico e confuso. E contraddittorio. Più in generale, ha scritto il New York Times, molti dei princìpi di cui Davos è stato per anni il simbolo, come “globalizzazione, liberalismo, capitalismo di mercato, democrazia rappresentativa, sembrano essere sotto attacco”. Come ha notato l’Econo mist, inoltre, la pandemia è coincisa con una crisi gravissima della democrazia globale, con molti paesi che sono diventati autoritari e altri in cui le libertà si sono ristrette. La guerra in Ucraina ha amplificato tutti questi fenomeni e li ha resi più evidenti e complicati. Fattori che rendono il Forum di Davos in corso differente dalle edizioni degli anni passati. Lo conferma il norvegese ex primo ministro Børge Brende, oggi presidente del World Economic Forum, in un video pubblicato dall’organizzazione, che ha spiegato che è da decenni che non assistiamo a così tanti “ri volgimenti geopolitici e geoeconomici”. Si torna a Davos, dunque. Ma è la Cnbc a mettere in chiaro che “questo non vuol dire che tutti siano contenti di vedere il ritorno dell’élite politica e imprenditoriale mondiale nelle Alpi svizzere. L’evento è stato aspramente criticato negli ultimi anni per essere estraneo, inefficace e irrilevante”.

I paradossi delle élites

Facciamo un esempio. Tre anni fa, lo storico olandese Rutger Bregman è diventato virale in un panel di Davos mentre discuteva coi miliardari di elusione fiscale. In una clip vista quasi 11 milioni di volte, Bregman ha affermato che un fallimento globale nell’affrontare efficacemente l’elusione fiscale è stata la causa principale della disuguaglianza. Ma ha chiarito il concetto in modo estremamente semplice: “Sembra di essere a una conferenza dei vigili del fuoco in cui a nessuno sia permesso parlare di acqua. Potete continuare ad invitare Bono, e poi? Questa non è scienza missilistica. Dobbiamo parlare di tasse. Questo è tutto. Tasse, tasse, tasse” ha chiesto rivolgendosi ai Paperoni. Inutile poi lamentarsi del fatto che le forze che si oppongono alla visione dell’ordine economico globale promossa dal Forum stiano guadagnando terreno. Che sia l’inizio della fine del Wef come lo conosciamo oggi? L’ana lisi è pubblicata sul quotidiano online del paese che ospita l’evento: Swissinfo.ch. Quest’anno l’atmosfera al Wef è ben diversa dal solito. Il presidente ucraino Volodomyr Zelensky ha tenuto un discorso virtuale e ha inviato a Davos una massiccia delegazione. “Oggi viviamo in un mondo completamente diverso” sostiene David Bach, esperto di politiche economiche della Idm Business School. Se alla nascita del Forum economico mondiale, negli anni Settanta, l’appunta mento annuale a Davos divenne uno degli unici forum capaci di combinare visioni del mondo molto diverse tra loro, con l’af fermarsi del liberismo economico, il Forum è divenuto sinonimo del libero commercio e dell’efficienza finanziaria che hanno definito la globalizzazione degli anni Ottanta e Novanta. Di fronte all’aumento del divario tra ricchi e poveri, sono cresciuti rabbia e risentimento. Una volta scemato il contrappeso del World Social Forum, le cui edizioni storiche si sono tenute a Porto Alegre e a Mumbay e che tanto richiamavano folle di sindacati e ong, il Wef ha negli anni infiammato le polemiche e le proteste, cercando di riformulare la retorica capitalista per renderla più inclusiva. Lo strapotere indiscutibile delle multinazionali e delle lobbies ha poi fiaccato i governi, derubricando i cittadini a meri consumatori globali, come avevano profetizzato il politologo Samuel Huntington e la Commissione Trilaterale nel saggio La crisi della Democrazia. Daniel Warner, politologo svizzero- americano ed ex vicedirettore del Graduate Institute di Ginevra, sostiene che la sensazione diffusa sia “che a comandare sia l’élite cosmopolita, parte di Wall Street e di Hollywood. Quella a cui stiamo assistendo è una globalizzazione inversa”, spiega Warner. “La gente si sente sempre più tagliata fuori, senza alcun legame emotivo con la globalizzazione”. La geopolitica divide il mondo in blocchi commerciali sempre più definiti. Ma molti esponenti politici e leader d’impresa prendono le parti della deglobalizzazione solo perché la trovano economicamente o politicamente vantaggiosa.

Un club esclusivo

“Il Wef ha ancora molto da offrire, ma se si ostina a rimanere un club esclusivo per persone facoltose che la gente normale non riesce a capire e a cui anzi tende ad attribuire la colpa di tanti problemi, non farà che perdere sostegni”, commenta Gretta Fenner, direttrice del Basel Institute on Governance.

Per sensibilizzare la gente comune ai temi del Wef forse bisognerebbe parlare in termini pratici di occupazione e non solo di farmaci dotati di microchip ingeribili, annunciati dal Ceo Pfizer a Davos. Un farmaco che segnalerebbe ai sistemi informatici di essere stato assunto dal cittadino. “Imagine the compliance”, spiega Bourla: immaginate l’obbedienza, lasciando ben intendere che il suo cliente non è certo il paziente quanto lo Stato, o un’impre sa. Non basterà l’eliminazione della plastica monouso o il lavoro stimolante di un gruppo di giovani changemakers chiamato Global Shapers Community a ridare ossigeno alle famiglie disoccupate e in crisi o la dignità del lavoro a chi è sfruttato.

Raffaella Vitulano




Il lavoro nero esiste anche in Svizzera meta ambita per le alte retribuzioni 

Il lavoro nero esiste anche in Svizzera. Dumping salariale, ore supplementari, attività professionali non autorizzate. Il film del regista Ulrich Grossenbacher “Schwarzarbeit” (lavoro nero) punta i riflettori su questo lato oscuro del mercato del lavoro svizzero. Per realizzare il documentario ha accompagnato dozzine di ispezioni nel Canton Berna e ha filmato per un totale di 68 giorni. Alla fine, il regista si è ritrovato con 300 ore di riprese che, a volte, testimoniano condizioni di lavoro raccapriccianti. Stando all’Organiz zazione internazionale del lavoro (Ilo), la percentuale di personale straniero in Svizzera è del 27,4%, un tasso molto più alto che in altri Paesi europei quali Francia (6,9%), Germania (12,7%) o nel Regno Unito (11,3%). La Svizzera è una meta ambita per le alte retribuzioni molto alti. Nella classifica dei salari minimi di 133 Stati, la Confederazione si trova in testa con i suoi 3800 dollari al mese, più del doppio di quanto si guadagna in Germania (1743 dollari) o in Francia (1702 dollari). In alcuni Paesi dell’Europa dell’Est, come Bulgaria (321 dollari) o Romania (491 dollari), le buste paga sono da sette a otto volte minori.

Ra.Vi.

La ricchezza aumentata in due anni più di quanto non lo abbia fatto in ventitré 

In un report pubblicato all'apertura di Davos, Oxfam sottolinea come il Covid abbia fatto schizzare la ricchezza dei miliardari al 13,9% del pil mondiale, una quota più che triplicata dal 4,4% del 2000. Non solo: è anche aumentato il numero dei miliardari. Se ne contano 573 in più negli ultimi due anni, uno ogni 30 ore. Mentre quest'anno, ogni 33 ore, un milione di persone rischia la povertà estrema, vale a dire 263 milioni. Oxfam sottolinea che, mentre aumentano vertiginosamente i prezzi al consumo dei prodotti alimentari e dei beni energetici, e la spirale della povertà estrema rischia di inghiottire 1 milione di persone ogni giorno e mezzo nel 2022 mentre cinque delle più grandi multinazionali energetiche (BP, Shell, Total Energies, Exxon e Chevron) fanno 2.600 dollari di profitto al secondo. Energia, farmaci e cibo sono i business in crescita.

Ra.Vi.

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