La sfida di Uber a taxi e governi: “Siamo fottutamente illegali”


di Raffaella Vitulano

Uber ha infranto leggi, ingannato la polizia e segretamente esercitato pressioni sui governi, rivela la fuga di notizie diffusa da una collaborazione tra l’International Consortium of Investigative Journalists (Icij) e il The Guardian. Ed ecco servita nell’estate bollente la storia segreta di come il gigante della tecnologia abbia ottenuto l’accesso ai leader mondiali, si sia avvicinato agli oligarchi e abbia evitato le tasse in mezzo alla caotica espansione globale. La raccolta di file riservati ha rivelato anche di come il gigante della tecnologia Uber abbia sfruttato la violenza contro i conducenti durante la sua aggressiva espansione globale. La Confederazione europea dei sindacati, con membri in 39 paesi, accusa Uber di esercitare pressioni aggressive per “cercare di annacquare la legislazione dell'Ue sui diritti dei lavoratori delle piattaforme” e ha chiesto di sospendere l’accreditamento per i lobbisti di Uber nella Ue, in attesa di un’indagine. I legislatori dell’Ue stanno intanto attualmente valutando un progetto di legge per richiedere alle società di gig-economy di pagare salario minimo, ferie e giorni di malattia ai propri dipendenti.

Direttiva sui lavoratori

Secondo il sindacato europeo, le informazioni divulgate su Macron dall’inchiesta contribuiscono a spiegare anche perché la Presidenza francese non sembrasse intenzionata a portare avanti questo dossier. Alla luce delle rivelazioni, la Ces ha chiesto agli eurodeputati di rinviare il voto della Commissione sulla direttiva sui lavoratori delle piattaforme fino a quando non ci sarà un’audizione parlamentare sui file di Uber. Secondo Euractiv, è improbabile che ciò avvenga. La Repubblica Ceca ha appena preso in mano il dossier in Consiglio europeo e i legislatori hanno iniziato i negoziati tecnici la scorsa settimana. Ma le rivelazioni dell’inchiesta “Uber Files” sono destinate a influenzare le discussioni. La battaglia è in corso al Parlamento europeo, dove l’industria ha trovato ascolto tra legislatori conservatori e liberali. I deputati della commissione per l’occupazione hanno discusso la possibilità di ascoltare Uber nell’ambito del loro lavoro e di aprire un’indagine interna sulle campagne di lobbying delle piattaforme. Da parte sua, l’azienda americana non sembra vederci nulla di male. “Non abbiamo trovato e non troveremo scuse per comportamenti passati che non sono chiaramente in linea con i nostri valori attuali. Chiediamo invece al pubblico di giudicarci in base a ciò che abbiamo fatto negli ultimi cinque anni e cosa faremo negli anni a venire” ha dichiarato Uber in un comunicato lo scorso 10 luglio. Ma cosa sono gli Uber files? Sono un'indagine globale basata su una raccolta di 124.000 documenti trapelati al Guardian da Mark MacGann, l’ex capo lobbista di Uber in Europa, Medio Oriente e Africa, fattosi avanti perché “moralmente, non avevo scelta in merito” . I dati consistono in e-mail, iMessage e scambi di WhatsApp tra i dirigenti più anziani del gigante della Silicon Valley, oltre a promemoria, presentazioni, quaderni, documentiinformativi e fatture.

124.000 files in 40 paesi

I files coprono 40 paesi e vanno dal 2013 al 2017, periodo di cinque anni in cui Uber era gestita dal suo co-fondatore Travis Kalanick corteggiando con discrezione primi ministri, presidenti, miliardari, oligarchi e baroni dei media. La fuga di notizie contiene anche messaggi tra Kalanick ed Emmanuel Macron, che avrebbe aiutato segretamente l’azienda in Francia quando era ministro dell'Economia, consentendo a Uber un accesso frequente e diretto a lui e al suo staff: “Abbia mo creato migliaia di posti di lavoro. Lo rifarei domani”ha ribattuto Macron, aggiungendo un’e spressione volgare francese riferendosi ai testicoli di un uomo per spiegare che non era affatto turbato dall’inchiesta. Di tutt’al tro avviso il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, che all’epoca era sindaco di Amburgo e respinse i lobbisti di Uber insistendo per pagare ai conducenti un salario minimo. Un dirigente Uber lo liquidò come “un vero comico”. Quando l’allora vicepresidente degli Stati Uniti, Joe Biden, all’epoca sostenitore di Uber, arrivò in ritardo a un incontro con l’azienda al World Economic Forum di Davos, Kalanick mandò un messaggio a un collega: “Ho fatto sapere alla mia gente che ogni minuto in ritardo è un minuto in meno che avrà con me”. Toni spicci, insomma. I messaggi trapelati suggeriscono che i dirigenti di Uber allo stesso tempo non si facevano illusioni sulla violazione delle leggi, con un dirigente che scherzava sul fatto che erano diventati “pirati”. Nairi Hourdajian, responsabile delle comunicazioni globali di Uber, lo ha espresso in modo ancora più schietto in un messaggio a un collega nel 2014, tra gli sforzi per chiudere l’azien da in Thailandia e in India: “A volte abbiamo problemi perché, beh, siamo solo fottutamente illegali”. Uber è oggi un’azienda da 43 miliardi di dollari (36 miliardi di sterline), che effettua circa 19 milioni di viaggi al giorno. Nel tentativo di reprimere la feroce reazione contro l’azienda e ottenere modifiche alle leggi sui taxi e sul lavoro, Uber ha pianificato di spendere 90 milioni di dollari, suggerisce un documento. La sua strategia prevedeva spesso di scavalcare i sindaci delle città e le autorità dei trasporti e arrivare direttamente alla sede del potere. Oltre a incontrare Biden a Davos, i dirigenti di Uber si sono incontrati faccia a faccia con Macron, il primo ministro irlandese, Enda Kenny, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e George Osborne, all’epoca cancelliere del Regno Unito. Nonostante un'operazione di lobbying ben finanziata e tenace, gli sforzi di Uber hanno avuto risultati contrastanti. In alcuni luoghi Uber è riuscita a convincere i governi a riscrivere le leggi, con effetti duraturi. Ma altrove, la compagnia si è trovata bloccata. Tra scioperi dei taxi e rivolte a Parigi, Kalanick ha ordinato ai dirigenti francesi di vendicarsi incoraggiando i conducenti di Uber a organizzare una controprotesta.

Raffaella Vitulano


Così le lobby delle multinazionali premono sulle istituzioni 

The Good Lobby - organizzazione non profit - e il suo fondatore, il professor Alberto Alemanno, hanno fornito un’ana lisi legale al Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi nell’ambito della loro indagine sugli “Uber Files”. Dal dossier di Uber sarebbe emersa non solo la vicinanza sistemica tra potere aziendale e politico, ma anche l’imbarazzante inadeguatezza del nostro sistema giuridico e della nostra cultura politica nell’affrontare la pressione delle multinazionali. Sebbene esistano regole etiche a livello europeo, la loro applicazione è affidata all’autorità politica dell’istituzione competente Ue, sia essa il Presidente della Commissione o il Presidente del Parlamento. Le implicazioni di questa fuga di notizie vanno oltre Uber e sottolineano ancora una volta l’ur genza della proposta di un organismo etico dell’Ue, come richiesto dal Parlamento e dal Consiglio dell’UE nel 2021. The Good Lobby ha contribuito alla progettazione di tale organismo etico dell’UE, presentando uno studio al Parlamento europeo. L’inchiesta, infatti, ha evidenziato le pressioni aggressive che le aziende come Uber esercitano sui legislatori.

Ra.Vi.

Il whistleblower: “Avevamo venduto una bugia alle persone” 

Il lobbista di nazionalità irlandese Mark MacGann ha rivelato di essere lui la fonte che ha diffuso gli Uber Files, la serie di 124 mila documenti che stanno mostrando i rapporti tra l’azienda e i governi europei. L’inchiesta è stata pubblicata sul The Guardian, lo stesso giornale su cui ora MacGann ha deciso di uscire allo scoperto con un’intervista. L’uomo, 52 anni, ha lavorato per Uber tra il 2014 e il 2016 e ha ricoperto l’incarico di capo lobbista per Europa, Medio Oriente e Africa. Con l’intervista ha spiegato perché ha scelto di diffondere i file: “Non ci sono scuse per il modo in cui l’azienda ha giocato con la vita delle persone. Sono disgustato e mi vergogno. Avevamo effettivamente venduto alle persone una bugia”. Nello specifico MacGann ammette che la strategia dell’azienda era quella di convincere i governi che le regole create a favore di Uber si sarebbero tradotte in benefici economici.

Ra.Vi.

Commenti

Post più popolari