Multinazionali e miliardari, il lato oscuro del capitalismo della sorveglianza
I dati sono preziosi. Possono indicare il prezzo che un particolare consumatore è disposto a pagare per un prodotto o un servizio. I set di dati includono, ad esempio, cronologia di navigazione, software o dispositivi utilizzati, rating creditizi, acquisti o ordini precedenti, modelli di movimento e molto altro. Fornitori come Accenture, McKinsey e Mastercard hanno combinato raccolte di dati e algoritmi corrispondenti e offrono prezzi di sorveglianza come servizio. La Federal Trade Commission (Ftc) degli Stati Uniti sembra essersi svegliata dal torpore estivo temendo effetti negativi sulla concorrenza e sta aprendo un’indagine. Ma la questione del controllo dei dati, o meglio quella del capitalismo della sorveglianza, viene da lontano. Affacciatasi senza pudore ai tempi del covid-19, è stata analizzata prima di tutti da Shoshana Zuboff, professoressa emerita alla Harvard Business School, che nel suo libro “The Age of Surveillance Capitalism: The Fight for a Human Future at the New Frontier of Power” mostrava già quattro anni fa come la nostra economia, politica e società siano sempre più plasmate dalle tecnologie digitali. Secondo lei, il capitalismo della sorveglianza, concetto da lei coniato, definisce l’era attuale in cui abbiamo tutti optato per la mercificazione delle nostre informazioni personali. Nel libro - che Naomi Klein esorta tutti a leggere ’come atto di autodifesa digitale’ - delinea il costo dell’attribu zione di un prezzo ai dati privati e ci esorta tutti a prestare attenzione, a resistere all’abitudine e a trovare nuove risposte a una nuova era. I capitalisti della sorveglianza hanno molte strategie per proteggersi dalla legge: lobbying, cattura politica, altri metodi economici che associamo alla cartellizzazione. Le persone parlano di privacy; distopia; controllo; monopolio; manipolazione; intrusione; sfruttamento; democrazia; disinformazione; paura; libertà; potere; ribellione; schiavitù; resistenza. Ma ovunque le parole restano sterili. L’unica cosa che temono le big tech è la regolamentazione. Era il 28 aprile 2020 quando anche lo storico israeliano Yuval Noah Harari, guru del Wef, sosteneva che “il covid-19 con la sua pandemia di coronavirus potrebbe rivelarsi un evento spartiacque in termini di maggiore sorveglianza della società”. Parlando con Stephen Sackur di Hardtalk spiegava senza nessun freno che “tra 100 anni, guardando indietro, le persone potrebbero identificare l’epidemia di coronavirus come il momento in cui ha preso il sopravvento un nuovo regime di sorveglianza, in particolare la sorveglianza sottocutanea che, secondo me, è forse lo sviluppo più importante del XXI secolo: la capacità di hackerare gli esseri umani. I dati biometrici creerebbero un sistema che conoscerebbe gli esseri umani meglio di quanto loro stessi conoscano”, aveva aggiunto. La sorveglianza ci sta entrando sotto pelle e questo dovrebbe in qualche modo allarmarci dato che la sorveglianza non si limita più a ciò che facciamo, ma a come ci sentiamo. In una opinione ospitata da Al Jazeera, Harari scrisse qualche giorno dopo, il 31 maggio, che “la sorveglianza si sta diffondendo ovunque con la malattia. E in secondo luogo, stiamo assistendo a un cambiamento nella natura della sorveglianza da sorveglianza sopracutanea a sorveglianza sottocutanea. La sorveglianza sulla pelle riguarda le cose che facciamo, dove andiamo, chi incontriamo, cosa guardiamo in televisione. Sappiamo che, per anni, le aziende e i governi hanno sviluppato le capacità, gli strumenti tecnologici, per monitorare ciò che facciamo. E questo dà loro un sacco di informazioni sulle nostre opinioni politiche, le nostre preferenze, persino le nostre personalità.Ma ciò che sta accadendo ora è che la sorveglianza sta iniziando a penetrarenel profondo, rivelando non solo ciò che facciamo, ma anche ciò che proviamo. Naturalmente, al momento è focalizzato sulla malattia in sé. Per sapere se siamo malati, i sistemi di sorveglianza hanno bisogno di dati su ciò che accade all’interno dei nostri corpi: la temperatura corporea, forse la pressione sanguigna, forse la frequenza cardiaca. Tutte queste cose possono essere utilizzate per stabilire le nostre condizioni mediche. Ma una volta che la sorveglianza entra sottopelle, può essere utilizzata per molti altri scopi” scriveva Harari. Le implicazioni di questo sono estreme. Possono arrivare fino all’istituzione di nuovi regimi totalitari, peggiori di qualsiasi cosa abbiamo visto prima. Possono anche dare origine a enormi rivoluzioni nel mercato del lavoro, nell’economia, nelle relazioni personali. Harari ammetteva di non essere “contrario alla sorveglianza in sé. Penso che in questa pandemia dobbiamo usare qualsiasi tecnologia a nostra disposizione per combatterla e alleviare la crisi economica che la accompagna. La sorveglianza può aiutarci a farlo”. Non dimentichiamoci che oltre le belle parole Harari resta un leader del World Economic Forum e delle sue utopie tecnologiche transumaniste. Per lo storico dovrebbero essere istituite autorità o agenzie sanitarie indipendenti e incaricate esclusivamente di fermare le pandemie. I dati che raccolgono non dovrebbero essere condivisi con nessun altro: né con la polizia, né con i nostri capi, né con le nostre compagnie assicurative: “Se vuoi mettere qualcuno al comando, metti un’infermiera al comando, non un soldato o un generale”. E infatti Harari spinge perché sia solo l’Oms ad avere “più influenza e molti più soldi, in modo che non dipenda interamente dai capricci di politici egoisti. Non voglio dire che degli esperti non eletti debbano prendere decisioni politiche cruciali, queste dovrebbero rimanere appannaggio dei politici. Ma una sorta di autorità sanitaria globale indipendente sarebbe l’ideale per raccogliere dati medici, per monitorare potenziali pericoli, per lanciare allarmi e per stabilire la direzione della ricerca e dello sviluppo”. Poche idee e molte confuse. Ma se la responsabilità è dei politici, perché delegare tutto all’Oms? In realtà Harari mette sotto accusa i governi spingendosi a chiederne l’aumento del controllo: “I governi stanno prendendo decisioni estremamente importanti. Stanno distribuendo denaro come se fosse acqua: centinaia di miliardi di dollari o, nel caso degli Stati Uniti, trilioni di dollari. Questo dovrebbe essere monitorato”. Dall’Oms, certo, col suo Trattato pandemico su cui si sollevano problemi di democrazia. Ecco perché lo storico israeliano sosteneva già quattro anni fa che i cittadini devono quindi chiedere due cose: innanzitutto che la loro privacy sia tutelata il più possibile e, in secondo luogo, che ogni aumento del monitoraggio nei loro confronti sia accompagnato da un aumento del monitoraggio sui governi: “La tecnologia non è mai deterministica. Dipende sempre in una certa misura dalla politica e dalle nostre decisioni”. Harari teme le nuove tecnologie come i sistemi di sorveglianza solo quando sono applicate dai governi. E contro i totalitarismi nazionali (ma non contro quelli globali) spinge i cittadini a mettere in discussione le decisioni politiche. Il 19 marzo 2020, sul Financial Times, Harari scriveva ancora più esplicitamente che “le epidemie non sono più forze naturali incontrollabili. La scienza le ha trasformate in sfide gestibili. Perché, allora, ci sono stati tanti morti e tanta sofferenza? La colpa è di decisioni politiche sbagliate”. Nel 2020 il capitalismo della sorveglianza è stato sdoganato e la politica è stata messa sul banco degli imputati. Ma le organizzazioni sovranazionali non elette e gestite da miliardari pseudofilantropi chi le controlla?
Raffaella Vitulano
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