Nelle incertezze geopolitiche e sociali crolla anche il mercato del lusso
Ci si aspettava che i rivenditori di moda di lusso e premium rimanessero resilienti contro i venti contrari economici dopo aver prosperato durante la pandemia. Ma il 2024 ha decretato il crollo del settore, soprattutto per coloro che operano prevalentemente online. La società di consulenza globale Bain & Company prevede che il rallentamento del settore del lusso continuerà per tutto il resto dell’anno.
Sidney Toledano, presidente della Chambre Syndicale de la Haute Couture, ha espresso tuttavia ottimismo sullo stato attuale dell’Haute Couture: la vera sfida, ha detto, è il reclutamento di manodopera qualificata. E qui veniamo al punto. La domanda c’è, l’offerta c’è, ma qualcuno deve cucire e creare fisicamente tutti i diversi capi poiché la regola fondamentale dell’Haute Couture è che tutto deve essere fatto a mano. Lo studio condotto dalla Bain conferma che la crescita delle vendite di borse, scarpe e abbigliamento di lusso a livello globale dovrebbe arrestarsi quest’anno anche a causa della crisi di creatività e dell’aumento dei prezzi mentre i marchi si concentrano su clienti super ricchi. Qualcosa si è rotto nel meccanismo del lusso, e a farne le spese rischiano di essere soprattutto i lavoratori del settore, con 50 milioni di clienti persi e volumi in calo del -25% in due anni. La crisi ha diversi fattori. Gli analisti prevedono che fino al 50% degli attuali marchi di lusso scompariranno entro il 2030 a causa della scarsa rappresentazione del marchio, e che il futuro appartiene a coloro che sanno articolare una storia avvincente, connettersi profondamente con i consumatori e creare valore straordinario. Il lusso tuttavia è il settore accusato di qualcosa di meschino, se non vergognoso: il consumismo. L’ammi razione per i milionari è scomparsa, così come l’invidia. Forse perché ormai ci governano senza voler condividere quel successo con la comunità in cui vivono. Eppure quelli che hanno portato il lusso in crisi sono proprio coloro che lo ostentano sui social. Ma in questa fase storica molte abitudini devono cambiare, e i milionari dovrebbero essere i primi a insegnarlo. Possedere troppe cose ostentandole non è più, se mai lo è stato, un segno di buona educazione. Prima di acquistare, occorre chiedersi da dove proviene l’articolo, chi ci ha lavorato, dove e come: una volta, poi, il lusso incoraggiava la sperimentazione e l’assunzione di rischi, mentre oggi cerca solo di aumentare le vendite e gonfiare grafici finanziari. Il lusso, nel suo senso positivo, può esistere e prosperare se porta con sé un messaggio sociale e civico. Oggi, il lusso può essere prodotto solo da un’imprenditoria etica che non ponga più il profitto come obiettivo primario, ma la condivisione del reddito. Questo concetto di lusso non ha nulla a che fare con le arroganti esibizioni prodotte dalla miseria umana che vediamo dietro l’appariscenza, vera colpevole di qualsiasi crisi del lusso. Bisogna insomma lavorare non solo per guadagnare, ma per creare valore oggettivo e comunitario. Questa è la definizione di lusso, oggi. Il richiamo ispirazionale può andare ad un imprenditore come Brunello Cucinelli. Ma il resto rischia il vuoto pneumatico. Il lusso che non si allinea con questa definizione continuerà ad affrontare crisi e ulteriori contrazioni finanziarie. Daniel Langer, ceo di Équité, un’a zienda globale di strategia di lusso e attivazione di marchi, professore esecutivo di strategia e prezzi del lusso alla Pepperdine University di Malibu e professore di lusso alla New York University, conferma che “analizzando i dettagli, diventa chiaro che il settore del lusso sta affrontando una crisi da lui stesso provocata, non solo una flessione del mercato”. Certo i clienti hanno ora meno potere d’acquisto. Ma i marchi non sembrano però volersi adattare alle aspettative in rapida evoluzione dei clienti del lusso. Langer individua tre problemi che quasi sempre fanno crollare i marchi: il problema numero uno è la scarsa narrazione del marchio. Quelli che ancora si definiscono attraverso “qualità, artigianalità e competenza” nel mondo odierno falliranno completamente. In secondo luogo, la maggior parte dei marchi sono ciò che lui chiama “lusso solo nell’ambizione” ma in realtà sono versioni ben confezionate dell’ordinario. In terzo luogo, è fondamentale la formazione nel settore del lusso volta a identificare la chiave emozionale dei clienti più esigenti al mondo. I consumatori mettono inoltre sempre più in discussione la giustificazione di prezzi gonfiati, poiché molti marchi non sono riusciti a migliorare le loro offerte o esperienze di conseguenza, e questo mette molti marchi in una discrepanza tra il valore percepito fornito e i prezzi richiesti, soprattutto tra i consumatori benestanti della Gen Z, persi in un “mare di monotonia”. Tale discrepanza spiegherebbe anche l’aumento spropositato dell’ac quisto di repliche in contraffazioni di qualità eccezionale ormai indistinguibili quasi dall’originale, per le quali gli acquirenti ricchi non sono più disponibili a spendere cifre folli, tanto più che molti paesi le tollerano, proponendo addirittura veri e propri store legali. Se esclusività deve essere, i marchi la propongano. C’è chi cerca la sua strada: Chanel ha ospitato la sua prima sfilata a Hong Kong in 18 anni, mentre raddoppia la crescita del suo business in Cina in un mercato difficile. La sfilata del marchio è stata un segnale della sua ferma quanto rschiosa convinzione nel futuro della Cina come motore di crescita. Tuttavia, a pochi giorni dall’annuncio dei demoralizzanti risultati di fatturato del gruppo Lvmh, Pambianco riporta che in preparazione di un possibile calo delle vendite in Cina, Chanel starebbe pianificando una massiccia riduzione del personale, che secondo indiscrezioni potrebbe arrivare fino al 50% in alcune divisioni. Oltre al personale addetto alle vendite nelle boutique cinesi di Chanel, la riduzione riguarderebbe principalmente personale amministrativo e dirigenziale. La festa del lusso è finita. Pubblicazioni come Bloomberg e il Financial Times hanno rivelato che da mesi i beni di lusso sono scontati a livelli senza precedenti in Cina, praticamente implorando i clienti di acquistare qualcosa. Anche il settore della gioielleria di lusso, tradizionalmente considerato più piccolo ma inaffondabile per il suo affidabile rapporto prezzo/valore, è in difficoltà poiché Richemont, proprietario di marchi come Cartier e Van Cleef & Arpels, ha segnalato un forte rallentamento delle performance rispetto all’anno precedente. Federica Lovato, partner di Bain a Milano, ha evidenziato un diffuso sentimento di “vergogna del lusso”, simile a quello sperimentato dai consumatori americani ed europei dopo la crisi finanziaria del 2008. I clienti ora preferiscono non essere visti con prodotti di lusso ostentati. Purtroppo, nessun dirigente o magnate di spicco ha ancora imparato che la moda ha un grande bisogno della classe media e non è saggio alienarla. Ad aumentare le difficoltà per i marchi si aggiungono anche gli alti tassi di reso sulle vendite online: praticamente un suicidio finanziario poiché molti ordinano grandi quantità per ottenere sconti, solo per restituire la merce, creando un incubo logistico e un buco di profitto che confermerebbe la solidità della filosofia di mercato che ha portato Cucinelli al successo nell’ulti mo anno fiscale, ovvero una minore attenzione alle vendite in Oriente e una maggiore dedizione ai principali clienti a chilometro zero del brand.
Raffaella Vitulano
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