11/9-9/11. Trump #cambiaverso

di Raffaella Vitulano

Crollino le borse, svengano i futures, si fermino gli orologi, si offuschi il sole, tremi lo yen, fremano le pannocchie, il cambio al vertice del governo Usa è arrivato. Inutile ora ricordare quel Coefficiente di Gini secondo il quale una iniquità estrema diminuisce il potenziale di crescita distruggendo la coesione sociale, aumentando il malcontento pubblico e alimentando il conflitto sociale. E lì cominciano i guai e le radicalizzazioni.Certo, una vittoria di tale misura non é probabilmente spiegabile solo con il carisma del candidato repubblicano, appoggiato semmai da una poderosa quota di establishment sulla base - sussurrano i ben informati - di un preciso piano su due punti: la rinascita industriale degli Usa e il patto con la Russia di Putin per il rialzo del prezzo del petrolio, che converrebbe a entrambi e ai loro alleati, a cominciare dai sauditi. Lontano dalle piazze e dal circo mediatico, insomma, altrettanti potenti interessi economici avrebbero supportato con discrezione Trump puntando su punti nodali come anche il crollo dei salari e il credito bancario che ”non dovrebbe essere utilizzato per facilitare la manipolazione dei valori delle Borse”. Così come ”non dovrebbe esserci credito per la speculazione e assolutamente per gli hedge fund”. Trump spinge per la cancellazione di questi mezzi speculativi alzando le tasse sugli introiti a breve termine dati dal trading, interrompendo i vantaggi fiscali sui prestiti e bloccando il credito a favore della speculazione. Quanto basta per aver suscitato l’avversione di Wall Street e attirato l’attenzione che chi chiede che i vari Carl Icahan e i vari George Soros si vedano ultratassati i loro profitti derivanti da speculazione. Il nuovo inquilino della Casa Bianca dunque punta sugli Henry Ford per ricostruire tutte le Detroit che stanno andando allo sfascio, e scarica i saccheggiatori di Wall Street . E stop anche alla “guerra del petrolio”, venduto finora a prezzi stracciati per colpire la Russia. Come dicono i sostenitori di Trump, ”è un obiettivo nazionale degli Usa, perché un valore di mercato più alto renderebbe gli Stati Uniti stessi indipendenti dal punto di vista energetico. Ciò è parte significativa della rivoluzione di Trump”. Sauditi e russi avrebbero già avviato un pre-negoziato sulla crescita del prezzo del greggio fino ai 100 dollari al barile. Il Pentagono non potrebbe opporsi, perché, dice un sostenitore di Trump, ”è negli interessi del complesso militare-industriale raggiungere l’obiettivo di una totale indipendenza energetica e rimpatriare tutte le industrie belliche sul territorio nazionale”. Non é un caso che Michael Flynn, ex capo della Dia (servizi segreti militari), abbia sostenuto Trump. Il generale Flynn ha anche raccontato al giornalista Seymour Hersh come, da quella poltrona, abbia sabotato gli sforzi della Cia per rifornire di armi libiche i terroristi scatenati dai sauditi e dai turchi in Siria. Insomma, lui è parte di quello “stato profondo patriottico” che proprio non voleva la famiglia Clinton alla Casa Bianca . Quale convenienza possano trovare in questo piano invece gli strateghi di Jp Morgan sarà tutta da verificare. Aspettiamoci ora con molte probabilità la svalutazione del dollaro, uno scossone all’euro, il ridimensionamento definitivo della Germania, un riorientamento delle priorità della Nato verso il Mediterraneo, la restituzione agli europei di quote di autonomia effettiva. E proprio in quest’ambito l’elezione di Trump proprio il 9 novembre, anniversario del crollo del Muro di Berlino, spinge a riflettere anche sull’esaltazione acritica della globalizzazione e del multiculturalismo senza valutarne gli impatti. E ammesso che sia davvero solido il suo programma geopolitico, bisogna capire se e quanto potrà attuarlo, dato che nel suo staff si è insinuato un super-falco come Michael Ledeen, uno specialista della strategia della tensione, come anche il neo-vicepresidente, Mike Pence, l’uomo che avrebbe gestito la questione antrace come per poter invadere l’Iraq di Saddam. L’exploit di Trump punta comunque dal 9 novembre a rovesciare l’impostazione della Casa Bianca dall’11 settembre 2001 e a mettere in discussione i pilastri della governance globale degli ultimi 70 anni. Ma significa anche un ritorno al Medioriente degli anni 70: divisione di zone d’influenza tra Usa e Russia, stabilizzazione dei conflitti di grande ampiezza. Tuttavia non dobbiamo pensare che l’elezione di Mr. Trump significhi un semplice ritorno all’isolazionismo del periodo tra le due guerre: gli Stati Uniti continueranno a intervenire diplomaticamente e militarmente nel mondo, ma in un modo più pragmatico e probabilmente più efficace. Meno interventi ma più decisivi. In questo nuovo contesto l’India - legata energeticamente alla Russia e geopoliticamente gli Stati Uniti - potrebbe svolgere un ruolo di arbitro tra le due potenze in Ucraina. Per quanto riguarda la Cina, non sembra che Trump la veda come un reale avversario geopolitico. Il riavvicinamento con la Russia sarà certamente arbitrato da parte di Israele, paesi deluso da Obama e che ha stabilito contatti militari con la Russia.Criticando l’accordo nucleare con l’Iran, Trump avrà l’appoggio dell’Arabia Saudita, terrorizzato dalla crescita di Teheran nella regione, e a cui gli Stati Uniti potrebbero fornire un aiuto finanziario per sostenere la sua transizione al post-petrolio.

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