Derivati e dintorni, la dolce mannaia di Reykjavík

 di Raffaella Vitulano

“Il consumatore è un lavoratore che non sa di esserlo”: un concetto piuttosto di moda, soprattutto alla luce della minuziosa quanto stancante attività svolta durante il Black Friday e il Cyber Monday, ennesime ricorrenze commerciali importate dagli Usa dopo Halloween. ll sociologo francese Baudrillard, con questa affermazione, aveva visto giusto con largo anticipo, soprattutto se si pensa ai click isterici su Amazon, la multinazionale americana con sede a Seattle e che - secondo uno studio di Mediobanca - nel 2014 ha registrato nell’ultimo anno una crescita di fatturato di circa il 20%, raggiungendo gli oltre 73 miliardi di euro. La filiale italiana del colosso delle vendite on line ha sbancato, segnando il suo record storico: in un solo giorno ha registrato 1,1 milioni di prodotti venduti, con una media di 12 vendite al secondo. I consumatori hanno acquistato una quantità tale di aspirapolveri che, se impilate, creerebbero un monte alto 2500 metri. E il forte richiamo all’igiene avrebbe segnato anche le vendite di un quantitativo record di spazzolini elettronici. Diverse le istantanee di crisi scattate invece in Grecia, dove sono aumentano i poveri che rovistano tra i rifiutie i fondi-avvoltoio che aleggiano su case acquistate con mutuo. C’è chi, guardando allo spettrale scenario greco, trattiene il fiato pensando a quello che potrebbe accadere in Italia. Steve Eisman, grande esperto e protagonista di speculazioni internazionali, proprietario di uno dei maggiori hedge fund, in un’intervista al Guardian dice con chiarezza ciò che finora veniva solo intuito o sussurrato: è in corso un attacco alle banche italiane, da parte degli speculatori internazionali, tramite vendite allo scoperto. Una notizia, più che un sospetto. Gli istituti di credito tremano, attendendo un terremoto imminente di cui, almeno qui in patria, probabilmente a fare le spese saranno i soliti noti, quegli stessi consumatori/clienti che qualche giorno prima si affannavano su Amazon. Così invece non sembra essere accaduto in Islanda, dove ben nove banchieri sono stati ritenuti colpevoli e condannati a decenni di carcere per reati legati al crollo economico del 2008. Kaupthing Bank era la più grande banca islandese (davanti alla Landsbanki) e la settima banca dei paesi nordici, con oltre 58 miliardi di euro di asset. In seguito alla grave crisi finanziaria che ha colpito l’economia mondiale e anche l’Islanda, nel corso dell’ottobre 2008 il governo di Reykjavík ha preso il controllo della banca. La banca è in seguito tornata privata, e il 20 novembre 2009 ha cambiato nome in Arion Banki. Giovedì scorso la Corte Suprema islandese ha restituito un verdetto di colpevolezza per tutti e nove gli imputati di manipolazione del mercato nella Kaupthing, dopo un lungo processo, tra cui l’ex direttore Hreiðar Már Sigurðsson. La crisi della Kaupthing , crollata nel 2008 sotto enormi debiti, ha paralizzato l’economia della piccola nazione, che nei primi anni Duemila aveva conosciuto un periodo di grande espansione, fino a far vantare ai suoi abitanti uno dei redditi pro-capite più alti del pianeta. Questo grazie non tanto alle poche attività manifatturiere ed agricole presenti, ma al suo sistema finanziario, praticamente da piazza offshore, incentrato proprio su tre banche private: Kaupthing, Landsbanki e Glitnir, che negli anni dell’euforia finanziaria crescono raccogliendo depositi da tutt’Europa, specie dal Regno Unito. Poi salta in aria la Lehman Brothers, tutti si spaventano e tanti begli investimenti che si pensava fossero sicurissimi diventano carta straccia, soprattutto quando inizia una vera e propria corsa a vendere qualsiasi cosa sia denominata in corone islandesi, dai titoli di stato agli speculativi Glacier Bond. Chiedendo che i banchieri siano soggetti alle stesse leggi come il resto della società, l’Islanda ha optato per una strategia molto diversa sul piano delle responsabilità rispetto al resto d’Europa e agli Stati Uniti, dove le banche hanno ricevuto multe in importi nominali, e amministratori e dirigenti sono sfuggiti ad ogni punizione. Restano le conseguenze del crollo sulle aziende controllate dalla Kaupthing, che ora sta cercando di vendere Oasis, Warehouse and Coast che impiegano 5422 persone. Oggi questi marchi , acquisiti nel 2009 da Mosaic Fashion - in amministrazione controllata dopo che l’azionista Baugur era crollato sulla scia della crisi - tornano sul mercato per un valore inferiore a 100 milioni di sterline.

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