La cultura autocratica del calcio in un’epoca piena di insidie politiche


Bruxelles può vantarsi in modo credibile dei propri valori ignorando la cattura autocratica del suo sport più popolare da parte di una cabala di stati violenti? È quanto si chiede “Polìtico”, suggerendo che l’Europa dovrebbe unire i puntini tra Qatargate e Manchester United. Parliamo di tifoserie violente, ma dovremmo anche fare il punto su alcune questioni che riguardano le proprietà delle squadre. Non abbiamo certo dimenticato il Qatargate, e il pezzo di David Goldblatt e Nicholas McGeehan ci racconta di come, in caso di successo, l’of ferta guidata dallo sceicco Jassim Al-Thani vedrebbe due dei migliori club europei cadere sotto il controllo dello stato del Qatar. Andiamo per ordine. L’idea che la politica debba essere tenuta fuori dallo sport è, a prima vista, allettante. Lo sport è la nostra pausa dalla routine quotidiana, un’evasione che ci aiuta a ignorare le cattive notizie. E non dovremmo tenerlo il più lontano possibile dall’inge renza dei politici? Ma lo sport non è mai stato apolitico: quell’errore è stato smascherato molto tempo fa, quando gli imperatori romani nutrivano cristiani impenitenti con leoni denutriti. “Eppure, oltre due millenni dopo, i politici di ogni genere - polemizzano i due giornalisti - ora si ritraggono dall’idea che lo sport dovrebbe essere regolamentato quasi con la stessa rapidità con cui si affrettano a sedersi nei palchi dei dirigenti in una finale di Coppa del mondo di calcio o di Champions League. Inoltre, non esiste sport più politico del calcio, lo sport più popolare al mondo”. Gli Stati del Golfo lo sanno bene, anche se i politici europei fanno finta di niente. Questo intreccio tra calcio e politica dovrebbe interessare i tifosi, con la stessa energia con cui piuttosto si spingono a devastare i centri storici delle città. I politici europei devono preoccuparsi di importanti istituzioni sociali e culturali che cadono sotto il controllo degli autocrati, poiché questo “lavaggio dello sport” non limita solo la nostra capacità di ritenerli responsabili delle loro azioni a casa, ma consente loro anche politiche indebite e pericolose influenza all’interno dell’Europa.

Prendiamo, ad esempio, la proposta di acquisto da parte del Qatar della squadra di calcio britannica del Manchester United nel silenzio assordante dei nostri politici. “Naturalmente, il Qatar afferma che l’offerta è in qualche modo separata dallo stato, ma si dovrebbe essere tanto scettici su tale affermazione quanto sulle garanzie legali vincolanti che il Fondo per gli investimenti pubblici dell’Arabia Saudita ha dato alla Premier League inglese quando hanno acquistato il Newcastle United nel 2021. Oppure, quando gli Emirati Arabi Uniti hanno utilizzato la loro ricchezza sovrana per acquistare il Manchester City nel 2008, trasformando le fortune del club nello stesso modo in cui i soldi del Qatar hanno rifuso il Paris Saint-Germain”. I giornalisti sono serissimi: la proprietà statale del calcio è un problema serio e questi accordi possono e devono essere contrastati, proprio per la popolarità dello sport: “Gli stati che possono utilizzare la ricchezza sovrana sui calciatori sono cleptocratici e autocratici: nessun governo democratico rimarrebbe al potere a lungo se spendesse 489 milioni di euro per Neymar”. E un motivo chiave per questi acquisti sono i vantaggi in termini di reputazione che derivano dal possedere una squadra di calcio di alto livello. “Questo sta dicendo molto al mondo su come siamo veramente. Sta mostrando al mondo la vera essenza di cosa tratta Abu Dhabi”, ha dichiarato nel 2009 il presidente del Manchester City, Khaldoon Al-Mubarak, che certo “non si riferiva al triste record di Abu Dhabi sui diritti umani, né prevedeva la sua rapida discesa in una distopia orwelliana in cui il dissenso è stato quasi sradicato attraverso una combinazione di tecnologia new age e brutalità antiquata”.

E nel caso dell’Arabia Saudita, “il suo acquisto del Newcastle United era in gran parte per dire al mondo qualcosa, qualsiasi cosa, a parte il fatto che il suo onnipotente sovrano, Mohammed bin Salman, aveva approvato il massacro di un fastidioso giornalista in missione diplomatica a Istanbul nel 2018”. Parole e accuse durissime. Ma gli stati del Golfo non sono gli unici a riconoscere l’utilità politica del calcio europeo. Pensiamo al primo ministro ungherese Viktor Orbán che ha legato il suo personaggio pubblico al gioco e ha investito denaro pubblico negli stadi, o al presidente turco Recep Tayyip Erdogan: “Sono entrambi desiderosi di sfruttare la politica del calcio, legando le loro personalità pubbliche al gioco e investendo denaro pubblico negli stadi a beneficio degli alleati nel settore delle costruzioni”. Per non parlare del gigante statale russo degli idrocarburi Gazprom, che “ha utilizzato la sua vasta rete di sponsorizzazioni calcistiche europee sia per indorare la reputazione della Russia sia per influenzare gli affari”. Ad esempio, quando ha salvato dalla bancarotta la Stella Rossa di Belgrado mentre gli era stato permesso di acquistare una fetta della compagnia petrolifera nazionale serba. Ma sono gli Stati del Golfo che hanno alzato la posta, portando il governo britannico a pubblicare un libro bianco sul calcio, osservando che il suo scopo era quello di “proteggere una parte amata del nostro tessuto nazionale”. Eppure, nonostante tutto ciò che è impressionante di questi piani, il Regno Unito non ha proposto nulla per impedire agli stati abusivi di acquistare le sue squadre di calcio. L’Europa non dovrebbe commettere lo stesso errore. I membri del Parlamento europeo e della Commissione europea devono invitare la Uefa a prendere sul serio le proprie regole. L'Europa può davvero parlare in modo credibile dell’importan za dei valori e della sua “autono mia strategica” ignorando la cattura autocratica del suo sport più popolare da parte di una cabala di stati abusivi, uno dei quali è attualmente accusato di cercare di corrompere le istituzioni democratiche europee? “I punti tra il Qatargate e il calcio europeo sono abbastanza facili da unire e abbiamo bisogno dei politici giusti per tenere la politica sbagliata fuori dal nostro sport”.

Raffaella Vitulano


Il genocidio in Ruanda citato nella rielezione del presidente Fifa 

La Unione delle federazioni calcistiche europee (Uefa) ha attualmente un chiaro mandato per impedire al Qatar di possedere due club: i suoi statuti vietano alle federazioni affiliate di consentire a persone fisiche o giuridiche di “esercitare controllo o influenza su più di uno dei loro club” sulla base del fatto che ciò pregiudicherebbe l’integrità delle competizioni. Il suo mancato rispetto - come nel caso della proprietà della Red Bull di club separati in Germania e Austria - non annulla la regola, e l’acquisto del Qatar sarebbe di un ordine di gravità diverso, conconseguenze benpiù gravi perla reputazione del bel gioco. Ma i soldi sono soldi: “Si parla dellaFifa che è ricca, ma la Fifa si occupadi calcio eabbiamobisogno disoldi per farcrescereil calcio in tutto il mondo” tagliato corto il presidente della Fifa, Gianni Infantino, in conferenza stampa dopo la rielezione a numero uno della Federcalcio mondiale (211 voti su 211 come unico candidato a Kigali, in Ruanda). Aspro il commento di Ivan Zazzaroni: “Criticato per il mondiale dei suoi amici Qatarini...è riuscito a dire di peggio, paragonando la sua rielezione al genocidio ruandese”. E il Telegraph scrive di peggio: “Infantino dimostra di non essere adatto a ricoprire alcun ruolo, figuriamoci a governare l’unico sport veramente globale”.

Ra.Vi.


Infantino, messia di nuovi scenari E i sauditi applaudono e ringraziano 

La rielezione di Infantino ha scatenato la stampa internazionale. Perfino Aldo Grasso scende in campo per scrivere che Gianni Infantino non è solo il presidente della Fifa, è anche un guru, il messia di nuovi scenari, l’a teo sacerdote di una religione senza atei. “Infantino ha trasformato la Fifa in un organismo politico, in un centro di potere. È un mediatore ideale tra i fondi sovrani delle monarchie del Golfo e il loro desiderio di ’sport washing’, di usare cioè il calcio che conta per rendere moderna la propria immagine e distogliere lo sguardo dalla situazione dei diritti umani nel proprio Paese. Alla Fifa è affidata una strategia ancora più sottile, quella del ’soft power’: la capacità di creare consenso attraverso la persuasione”. Il calcio, diceva il vercellese Guido Ara nel 1909, non è non è un gioco per signorine, frase che già nel 1909 nulla c’entrava con la discriminazione di genere, piuttosto urlo di battaglia sociale che poco ha a che vedere col gioco di Infantino. Ricordiamo ad esempio che il crollo di Credit Suisse l’ha deciso lo sceicco presidente della Saudi National Bank, che non ha voluto mettere altri soldi nell’istituto elvetico di cui è primo azionista. Abile mossa geopolitica per ricordare il valore dei petrodollari.

Ra.Vi.



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