I miliardari della Silicon Valley spingono i loro progetti a Washington
Sono ringalluzziti dall’elezione di Trump e non fanno nulla per nasconderlo. Anzi, preparano i loro trolley supertecnologici e sbarcano a Washington per dare il loro contributo al governo. Sono i ceo e miliardari della Silicon Valley che stanno arrivando alla spicciolata nella capitale, con idee ampiamente pubblicizzate su come migliorare ogni cosa. Parlano, dichiarano, analizzano: il mondo è per loro un confuso ma semplicissimo cubo di Rubik da risolvere il più in fretta possibile con mosse rapide. Derek Robertson li racconta su Polìtico, snocciolando i segreti della cricca di outsider della politica: i miliardari della tecnologia, gli investitori e le celebrità della Silicon Valley come Elon Musk e Marc Andreessen, le cui idee sono improvvisamente diventate centrali nella transizione di Trump. “A volte - scrive - gli outsider sono dei veri e propri sconosciuti, e per la capitale è un enigma capire cosa vogliono dalla politica, come intendono affrontarla e cosa li ha spinti a impegnarsi in primo luogo. Non questa volta.
Le nuove generazioni
A differenza dei ricchi potenti di un’altra generazione, le cui idee e la cui influenza erano spesso nascoste ed esercitate attraverso accordi segreti, questi magnati della tecnologia tendono a parlare delle loro preferenze politiche in pubblico, e molto”. Che si tratti di podcast, lunghi post su X e Substack o di influenti manifesti auto-pubblicati, i personaggi della tecnologia ora fortemente coinvolti nella transizione del presidente eletto Donald Trump hanno una chiara storia di richieste, aspettative e idee, tutte presentate con la classica sicurezza della Silicon Valley di poter gestire il governo meglio del governo stesso. Il quadro che emerge è quello di un vasto programma di deregolamentazione che tocca tutto, dalle criptovalute all’intelligenza artificiale, fino a settori come l’industria della difesa e la tecnologia sanitaria.
Obiettivi contrastanti
Ora, si obietterà, i loro obiettivi potrebbero non essere uniformi, ma nel complesso vedono le loro innovazioni come un modo per trascinare un’America moribonda verso il futuro, senza troppi preamboli. E forse non hanno neppure troppi torti. Andreessen, fondatore della società di venture capital Andreesen Horowitz, è noto nei circoli della politica tecnologica per il suo 'manifesto tecno- ottimista' di oltre 5.000 parole (con citazioni di un pantheon eclettico di eroi tra cui l’economista del libero mercato Friedrich Hayek, il teorico transumanista Ray Kurzweil e il futurista italiano Filippo Tommaso Marinetti) che sostiene con forza che “i regolatori decisi a soffocare l’industria stanno uccidendo lo spirito imprenditoriale americano”.“Quando abbiamo sostenuto Trump - sostiene Horowitz - lo abbiamo fatto solo sulla base della politica tecnologica”. Quanto alla guerra delle criptovalute, “siamo stati i suoi destinatari per quattro anni ed è stata incredibilmente brutale, incredibilmente distruttiva; ne siamo usciti fondamentalmente decidendo che dovevamo sostenere Trump”. Il suo articolo, apparso per la prima volta su Digital Future Daily, spiega come la tecnologia e il potere stanno plasmando il nostro mondo, dopo che l’amministrazione americana “ha lavorato con aziende di tutte le dimensioni per rafforzare la leadership degli Stati Uniti nell’intelligenza artificiale”.
Il ruolo delle Big Tech
Le “Big Tech”, i giganti affermati come Google e Microsoft, hanno tradizionalmente cercato di rimanere politicamente neutrali ma hanno molto da guadagnare da un programma di deregolamentazione. La regolamentazione dovrebbe essere implementata solo se i suoi benefici superano i costi, è il fulcro del dibattito sponsorizzato delle Tech: nella contabilizzazione dei costi, i decisori politici dovrebbero includere una valutazione dei possibili costi associati a inutili oneri burocratici per le startup. Questo approccio ben si sposa con la missione di Musk di ridimensionare il governo federale.
Ridimensionare il governo
Il suo obiettivo, dicono , è quello di “liberare in modo aggressivo individui e aziende da regolamentazioni illecite mai approvate dal Congresso e stimolare l’economia statunitense”. Come riportato dal New York Times, con gli alleati di Musk che intervistano i candidati per posizioni in dipartimenti diversi come quello di Stato e quello della Difesa, i magnati della tecnologia potrebbero avere alleati sul posto, indipendentemente da dove i loro strumenti sempre più potenti si sovrappongano alla politica. Un esempio degli obiettivi dell’a genda della deregulation è l’energia. Molti pensatori tecnologici di destra vedono l’aumento della produzione energetica americana come un imperativo per ridurre il costo della vita, alimentare lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e competere con la Cina, e hanno fatto causa comune con i repubblicani tradizionali per aumentare la crescita massimizzando la produzione energetica.
Il ruolo dell’energia
David Friedberg, un capitalista di rischio e co-conduttore del podcast 'All In', ha detto in una puntata che “Più elettricità significa più automazione, significa più intelligenza artificiale, significa che più cose vengono fatte nelle fabbriche, più ne vengono fatte dalle macchine. Ma la struttura normativa proibisce la nostra capacità di espandere effettivamente la capacità di produzione di elettricità”. Big Tech, insomma, sta abbracciando Trump. Quanto durerà? Frena il New York Times che cita tre libri in uscita in materia: la luna di miele potrebbe non durare. “La digitalizzazione ha rafforzato i regimi autoritari”, scrive l’editoria lista del Financial Times Marietje Schaake, “mentre le società democratiche continuano erroneamente a credere che i mercati liberi porteranno a società libere”. Come dimostrano tre libri recenti, il rapporto di Trump con le aziende tecnologiche è stato volatile e potrebbe esserlo di nuovo se percepisse slealtà dai suoi nuovi alleati.
Polìtico riassume i concetti in poche righe: “I nemici delle criptovalute come il presidente della Securities and Exchange Commission Gary Gensler sono fuori; podcaster/VC/alleati di Trump come il capitalista di rischio e amico di Musk, David Sacks, sono dentro. Le normative ambientali di Biden percepite come un blocco della produzione energetica americana sono fuori; una maggiore produzione di combustibili fossili e nuove fonti energetiche come il nucleare e la geotermia sono dentro. Le normative sull’intelligenza artificiale che mette la sicurezza al primo posto sono fuori; la competizione tra le startup di intelligenza artificiale è dentro”. Tuttavia, per quanto ambiziosi siano gli obiettivi della destra tecnologica, potrebbero incontrare una certa resistenza anche all’inter no. Il quotidiano online ne spiega bene le dinamiche: uno dei grandi argomenti starebbe emergendo in tema di antitrust. Il vicepresidente eletto JD Vance, un protetto di Peter Thiel, ha sostenuto la crociata antitrust condotta contro Big Tech dalla presidente della Federal Trade Commission di Joe Biden, Lina Khan. Molti nel mondo della tecnologia restano perplessi sui nuovi potenziali sviluppi, considerando i giganti della tecnologia in realtà come meri dinosauri compiacenti, eccessivamente orientati alla giustizia sociale, che devono invece essere messi sotto controllo. E questo potrebbe frenarne le ambizioni. Trump ha già incaricato Gail Slater (alleata di Vance e nemica delle Big Tech) di supervisionare le iniziative antitrust del Dipartimento di Giustizia, iniziativa vista come un cenno a favore dell’applica zione delle norme antitrust e che potrebbe creare potenziali conflitti all’interno dell’amministrazione. Non sono dunque tutte rose quelle all’interno del giardino tech di Trump e di Musk, che chiedono un’economia più dinamica e che non congeli fusioni e acquisizioni. Infine, anche la questione immigrazione potrebbe rappresentare un punto di tensione tra la destra tecnologica e la destra Maga, con il mondo tecnologico che sostiene ampiamente un aumento dell’immigrazione per i lavoratori altamente qualificati. Si pensi a quelli indiani, soprattutto. Ma questa visione si scontra con la richiesta Maga di una repressione diffusa di tutta l’immigrazione.
Raffaella Vitulano
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