L’ultima samurai. Nissan si schianta nel tramonto dei consumatori
Circa un anno fa, il v e c c h i o 'buff-book' statunitense Motor Trend pubblicò un articolo in cui spiegava dettagliatamente come, dopo aver calcolato il costo di acquisizione, gli interessi, la manutenzione e il deprezzamento e l'assicurazione, solo il 37,5% delle famiglie statunitensi potesse permettersi di acquistare un’auto nuova. L’autore dell’articolo si chiedeva anche perché qualcuno volesse spendere più di oltre 2 mila $ al mese per un elettrodomestico opaco che avrebbe perso valore quasi immediatamente. econdo il Detroit News, il prezzo medio di transazione di un’auto nuova è di 47.870 $ (dagli oltre 50 mila grazie agli incentivi), ma questo prezzo si scontra con un reddito familiare medio statunitense di 57.617 $ di mesia. Questi numeri semplicemente non tornano se si considerano l’inflazione e la precarietà del lavoro. “Non posso che assumere che la direttiva 2035 della Commissione Ursula 1 sia stata concepita senza fare neppure uno straccio di studio di marketing per capire cos’è effettivamente l’auto per il cittadino comune (cliente)”, scrive nel suo minicamero Riccardo Ruggeri, ex operaio ed ex dirigente, riferendosi anche alle recenti iniziative europee. “Quando ero un giovane operaio Fiat ci volevano 8 stipendi per comprare l’ultima nata, la 600, mentre oggi per un operaio Fiat ce ne vogliono 18 per un’auto elettrica equivalente. La Baronessa Von der Leyen di certo non sa che per un cliente l’auto non è né un prodotto di largo consumo (da gestire con le tecniche del marketing e della pubblicità) né un farmaco (ove la paura fa accettare al cliente qualsiasi forma di intermediazione finto colta). Per il cittadino comune l’auto era, ed è, un’estensio ne del suo tinello. Comprare un’auto è come comprare l’al loggio. Ancora oggi, per i non Ztl, l’auto è rimasta un membro- robot della famiglia, con cui si vive, si lavora, ci si svaga, in piena di libertà”. Ma questo concetto lineare sembre sconosciuto ai grandi big dell’automoti ve. Nissan ha costruito il suo marchio negli ’tati Uniti e in Europa su auto familiari poco glamour ma accessibili con margini di profitto ridotti, compensati da volume e agevolazioni tariffarie derivanti dalla produzione e dall’assemblaggio locale. Questo segmento di mercato si è semplicemente prosciugato. Ecco perché dovremmo chiederci oggi perché le aziende siano sorprese che il capitalismo funzioni davvero. Dopo decenni di qualità ridotta, aumento delle funzionalità e aumento dei prezzi, i clienti hanno finalmente smesso di acquistare. Questo è accaduto in altri mercati, perfino in quelli del lusso, figuriamoci se anche le auto non potessero conoscere la crisi. I prezzi dei veicoli hanno superato di gran lunga l’inflazione negli ultimi anni. Nel frattempo i produttori continuano a risparmiare sull’affida bilità e rendono sempre più difficile riparare la propria auto. Se qualche produttore di auto si decidesse a vendere un’auto affidabile con funzionalità minime e un prezzo equo, probabilmente il mercato riprenderebbe. Ma non è così, e ora leggiamo che anche Nissan è in crisi e le restano 12 o 14 mesi per sopravvivere. Tutta l’industria automobilistica, esclusa la Cina, è in difficoltà - scrive Naked Capitalism - tra i produttori di auto convenzionali che hanno difficoltà ad adattarsi al mondo elettrico ed ibrido. I produttori europei sono colpiti dai prezzi dell’energia molto più alti e dai dazi di Trump che interrompono le catene di fornitura per volgerle al mercato statunitense. La caduta della Nissan non ha una genesi semplice, a differenza della Boeing (“Una grande azienda di ingegneria si fonde con un appaltatore della difesa gestito da contabili e finanzieri, mettendo al comando gli uomini di denaro, che procedono a tagliare i costi e a disinvestire in prodotti e prestazioni scadenti”). Dopo le inaudite chiusure di fabbriche da parte della Volkswagen in Germania, vittima diretta della decisione di tagliare fuori l’Ue dall’energia russa, ora tocca all’auto giapponese, dopo il crollo delle vendite che ha attraversato anche Stellantis, proprietaria dei marchi Peugeot, Fiat e Jeep. Nissan ha lanciato un piano di rilancio d’e mergenza che prevede la perdita di 9.000 posti di lavoro e un taglio volontario del 50% dello stipendio per l'amministratore delegato Makoto Uchida, dopo aver annunciato di aver registrato una perdita trimestrale. La terza casa automobilistica giapponese ha dichiarato che taglierà la capacità produttiva globale del 20% e taglierà i costi di 400 miliardi di yen (2,6 miliardi di $). Ha rivisto al ribasso le sue previsioni di profitto per l’intero anno per la seconda volta quest’anno, questa volta del 70%. La crisi della Nissan è scoppiata perché l’azienda non è riuscita a contrastare il rallentamento delle vendite globali di veicoli elettrici con un’offerta ibrida forte, che ha aiutato i rivali Toyota e Honda. Un articolo del Financial Times del 26 novembre segnalava la situazione di difficoltà. Nissan cerca un investitore di riferimento che la aiuti a superare i prossimi 12 mesi decisivi. La nuova fonte di guai è che l’alleanza Nissan-Renault si sta muovendo verso una rottura. Naturalmente, è possibile che il governo giapponese possa fare pressione su Honda affinché effettui un salvataggio. Ciò potrebbe non essere così folle se Nissan ottenesse alcune garanzie di finanziamento obbligazionario, come ha fatto Chrysler nel suo salvataggio. Un’altra possibilità è che le compagnie assicurative giapponesi siano costrette a contribuire a un accordo, riducendo il carico su una Honda. Bisogna pensare che in ultima analisi Nissan è troppo grande per fallire (too big too fail) da una prospettiva giapponese, come lo sono state le Big Three degli Stati Uniti dopo la crisi finanziaria globale. Ricordiamo che ciò che è a rischio non è solo l’occupazione diretta di Nissan, ma anche quella dei suoi numerosi subappaltatori. Il responsabile della produzione della Nissan, Hideyuki Sakamoto, ha dichiarato in una conferenza stampa di voler modificare la velocità della linea e gli schemi dei turni, aumentando così l’efficienza del personale operativo, la cui manodopera diretta in fabbrica è solo una piccola parte dei costi totali dell’auto, stimati in genere al 3%. Altri argomenti utili a comprendere la crisi Nissan sono le conseguenze della mancanza di un modello ibrido da parte della Nissan per il mercato statunitense, i danni causati da un notevole eccesso di inventario a fine anno 2023 e la Cina che sta mangiando il pranzo della Nissan nel Sud-est asiatico, con la Thailandia come esempio lampante. E non dimentichiamo che i dazi di Trump sono in agguato. Anche in Europa. “Per regolamentare prodotti diversi dai cetrioli bisogna studiare, sperimentare, studiare … e poi lasciar decidere al mercato. È curioso - conclude Ruggeri - che siano proprio i figli intelligenti e colti della casta patrizia neoliberista, di cui la Commissione è zuppa e zeppa, ad avere un approccio così dirigista per raggiungere gli obiettivi di una politica spesso velleitaria, fino al ridicolo della filosofia woke”.
Raffaella Vitulano
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