Viaggio nei biolaboratori. A tu per tu con virus mortali

di Raffaella Vitulano

Hanno fatto discutere nelle ultime ore le parole della professoressa Sarah Gilbert, che ha scoperto il vaccino AstraZeneca contro il coronavirus: “Non sarà l’ultima volta che un virus minaccia le nostre vite e il nostro mondo”. La verità, ha detto, è che la prossima potrebbe essere peggiore. “Potrebbe essere più contagioso o più letale, o entrambi”, ha detto. Dovremmo, probabilmente, aver paura della prossima “perdita di laboratorio”. Ma cosa significa esattamente questo termine e come e perché si verificano incidenti nelle strutture? Ha provato a spiegarlo il New York Times Magazine in un lungo ed interessante reportage di approfondimento realizzato da Jon Gertner dopo che Ronald Corley, microbiologo della Boston University e direttore del National Emerging Infectious Diseases Laboratories (Neidl) negli ultimi sette anni, gli ha mostrato la struttura a metà ottobre.

Ad oggi il Covid potrebbe non essere uscito da un laboratorio di ricerca medica, ma la questione solleva comunque alcune domande urgenti su come funzionano quelle strutture. La comunità scientifica internazionale si è preoccupata dei biolaboratori da quando hanno iniziato a proliferare due decenni fa. Ma in genere ha avuto difficoltà ad andare oltre le riunioni o le discussioni sugli incidenti caso per caso. Quindi questi laboratori non hanno una cura complessiva ma sono lasciati a singole esperienze e responsabilità. Ecco perché, nonostante la comunità scientifica abbia escluso l’ipotesi a inizio pandemia, oggi è necessario un passo avanti nella comprensione e nella regolamentazione di quanto accade al loro interno. I microbiologi e i virologi di tutto il mondo sperimentano virus e batteri ora più pericolosi che mai, e lo fanno con una frequenza molto maggiore di un tempo. In senso storico comparato, il lavoro viene svolto in modo più regolamentato e probabilmente più ponderato dei tempi di Louis Pasteur. Negli ultimi anni, tuttavia, il lavoro che un tempo era limitato a unnumero ristretto di strutture negli Stati Uniti e inEuropa si è espanso in tutto il mondo. E i timoriaumentano di pari passo. La scorsa estate, unostudio accademico sui laboratori di livello 4 (quello col rischio più alto) di biosicurezza in tutto il mondo, gestiti da governi, militari,istituzioni accademiche o società private, hacalcolato che ce ne sono almeno 59 in funzione,in costruzione o in fase di progettazione, di cuicirca due dozzina di istituiti nell’ultimo decennio.Il Neidl è una fortezza di cemento di sette pianinel South End di Boston in cui lavorano circa150 persone. Non contrassegnato da segni o loghi evidenti, Neidl è circondato da un vasto prato ben curato che sarebbe un eccellente punto di picnic, ma la recinzione in acciaio, la costante sorveglianza da parte di una forza di polizia e posti di blocco assicurano che i passanti se ne stiano alla larga. Tutto il laboratorio è al servizio di un imperativo: tenere dentro ben strette cose pericolose, e soprattutto molto mortali. Come spiegato dal Nyt, i rischi associati a questi laboratori possono essere suddivisi in tre categorie principali: Bioincolumità (assicurarsi, attraverso la formazione e le tecnologie di contenimento, che i lavoratori non siano esposti a patogeni pericolosi); Biosicurezza (assicurarsi che gli agenti patogeni pericolosi non vengano rubati o usati impropriamente per scopi nefasti); Cyberbiosecurity (assicurarsi che i dati, come i dati genomici virali, non vengano manomessi a distanza). Il fallimento in una o più di queste aree può avere conseguenze devastanti, e tali fallimenti possono verificarsi sia intenzionalmente che accidentalmente. Oltre a questi, c’è il pericolo più imprevedibile di tutti, cioè l’errore umano. Che sembrerebbe anche il più probabile. Nel 2015, una società di consulenza chiamata Gryphon Scientific é stata incaricata di eseguire una valutazione del rischio di alcuni tipi di ricerca presso i laboratori statunitensi. Il risultato, pubblicato nell’aprile 2016, è stato un rapporto di mille pagine che concludeva, tra le altre cose, che gli esperimenti per migliorare la trasmissibilità dei coronavirus in un laboratorio avrebbero potuto aumentare “significativamen te” la possibilità di una pandemia “a causa di un incidente di laboratorio”, per quanto raro. E la “perdita di contenimento” per i virus non significherebbe necessariamente un’epidemia.

Qualsiasi incidente, che coinvolga un “Ppp” (agente patogeno con potenziale pandemico) naturale o inventato in laboratorio, tra i più spaventosi - avrebbe comunque una bassa possibilità di portare a una crisi globale. Tuttavia, le conclusioni di Gryphon hanno dovuto fare affidamento su stime per colmare le lacune nelle prove disponibili. Quando il giornalista ha chiesto a Rocco Casagrande, autore principale dello studio ed ex ispettore delle armi delle Nazioni Unite, cosa non sappiamo sui rischi globali dei laboratori ad alto contenimento, ha spuntato una lunga lista. “Beh, è ancora quasi tutto”, ha ammesso. “Non sappiamo con quale frequenza accadano gli incidenti o con quale frequenza questi incidenti portino a esposizioni. Non sappiamo quali fattori stiano determinando tali esposizioni e incidenti. Non sappiamo qualicaratteristiche, come l’addestra mento o leapparecchiature di contenimento extra o i controlli tecnici, siano efficaci nel mitigare tali incidenti”. I biolab americani, insomma, non sarebbero necessariamente pericolosi. Ma poiché la trasparenza non è richiesta, rimangono “una grande scatola nera” in cui il relativo dibattito su rischi e miglioramenti supera le nostre attuali conoscenze. Per prevenire la prossima pandemia, potremmo magari far brillare un po’ di luce al loro interno. E per ragioni ovvie, potremmo volerlo fare presto. L’edificio ha una delle più grandi collezioni di laboratori di biosicurezza di livello 4 e di biosicurezza di livello 3 al mondo. Questo tipo di strutture è il luogo in cui si svolge la ricerca sui patogeni più pericolosi del pianeta. Virus Ebola, Lassa, Marburg. Un edificio biolab sicuro è pura architettura per il contenimento: scatole dentro scatole, ognuna delle quali fornisce un confine ermetico per impedire la fuoriuscita di qualcosa di rischioso all’interno. Non c’è dubbio che edifici come il Neidl siano tra i più sofisticati e sicuri al mondo. Ma se i laboratori biologici siano abbastanza sicuri, è più difficile da dire. Un rapporto 2015 pubblicato su Usa Today in merito alla sicurezza in laboratorio mostra che un laboratorio della Texas A& M University ha perso ripetutamente il suo sistema di aria a pressione negativa nel 2013. Un’altra struttura, presso i Centers for Disease Control and Prevention, ha subito guasti del software. È stato dimostrato che un certo numero di laboratori aveva registri di inventario scadenti o aveva diffuso tossine, come l’an trace, che i lavoratori avevano erroneamente creduto inattivate. Il rapporto Gryphon 2016 sostiene che un incidente ha 100 volte più probabilità di derivare da un errore umano rispetto a un guasto meccanico. Per questo motivo, la standardizzazione delle pratiche di lavoro - con l’obbligo di almeno 100 ore di formazione potrebbe essere uno dei miglioramenti più efficaci.

Raffaella Vitulano




Un giornata particolare al livello 4 Lavoro faticoso e detergenti chimici 

All’interno di uno dei laboratori di livello 4 di Neidl, i ricercatori lavorano sui virus in un armadietto di sicurezza in vetro, a cui accedono attraverso i guanti. Indossano anche una tuta pressurizzata con cappuccio, completamente chiusa con zip e doppi guanti, che è collegata nella parte bassa della schiena a un tubo che pompa aria filtrata con Hepa prelevata dall’esterno dell’edi ficio e si gonfia come un omino Michelin. Un sistema d’a ria a pressione negativa impedisce la fuoriuscita di qualsiasi cosa sospese nell'aria; la stanza stessa è situata fuori da un corridoio, al quale si accede tramite porte chiuse a chiave, accessibili solo al personale abilitato che passa attraverso una barriera di sicurezza che ne scansiona l'iride. I ricercatori generalmente rimangono in un laboratorio di livello 4 non più di poche ore. La bassa umidità, il costante fruscio dell’aria che circola intorno alla testa: le condizioni possono essere faticose. Parlare è difficile, ci si scambia un cenno. Prima di uscire, ognuno farà una doccia di 10 minuti che li spruzzerà da tutti i lati con un detergente chimico. Quando hanno finito, escono dallo spazio sigillato, si tolgono con cura tute, guanti, camici e calzini e fanno la doccia convenzionale.

Ra.Vi.


Storia di Elke, in tuta sterilizzata fino al giorno prima del parto 

Il giornalista nel Nyt ha chiesto ad Elke Mühlberger, ricercatrice del Neidl, se avesse mai avuto paura. Una volta nelle tute pressurizzate,ha risposto, prova una sorta di gioia nei “privilegi”del suo lavoro, così come la fiducia nelle misuredi contenimento. Il giorno prima di dare alla luce il suo secondo figlio, Elke ha passato la mattinata a lavorare con il virus Ebola in un laboratorio di livello 4. Una volta dentro, non ci sono cellulari,e-mail, chiacchiere, solo agenti patogeni e il rumore bianco dell’aria che vortica intorno alleorecchie. Nessuna quantità di ingegneria, infrastrutturale o umana, può ridurre a zero la possibilità che escano cose cattive dai biolab. La capacità di testare nuovi virus, grazie alle capacità di sequenziamento degli acidinucleici, è di gran lunga migliore rispetto a 10 o 20 anni fa. “Penso che stiamo interagendo con il nostro ambiente molto più ora di prima, e ilnumero di persone sul pianeta è aumentato. Equindi vedremo epidemie e pandemie accadere più frequentemente. Sicuramente accadrà.” Anche col bioterrorismo e gli strumenti dell'ingegneria genetica. È un’idea spaventosa,ovviamente. Ma una delle premesse dietro i biolab è essere pronti a testare nuovi vaccini e terapie, pronti ad applicare le conoscenze dei vecchi patogeni a quelli nuovi.

Ra.Vi.

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