La pace, questa sconosciuta nei rantoli dell’Ucraina

 di Raffaella Vitulano

E se davvero l’unico condizionatore da spegnere, almeno alla vigilia di Pasqua, fosse la TV? Il condizionamento è innegabile. Questi sono giorni di riflessione, per chi crede davvero nella pace, nella riconciliazione. E sulla pace dovremmo interrogarci, in silenzio. Leggendo, magari, ma interrompendo per qualche ora il bla bla dei talk. Riflettendo, magari, proprio sulle parole dei generali, dei militari. Quelli che la guerra la conoscono. Che non fanno i belligeranti sul divano coi pop corn di fonte ai videogames di guerra. Quelli per cui la parola War ha un senso davvero profondo, perché le carni straziate delle vittime, l’odore del sangue, l’orrore della distruzione, del fumo e delle radiazioni l’hanno scrutato sui rantoli dei morti e condensato centinaia di volte in un marchio sulla propria pelle: uomini, donne, bambini uccisi dalla furia. Loro conoscono l’esterrefatta violenza che fa scagliare gli uni contro gli altri trattenendo il respiro e rabbrividendo nell’ucci sione dei propri simili. L’efferatezza di un proiettile nel cranio o nel cuore, di una lama che affonda nella carne viva, di mine dilanianti o degli effetti di bombe intelligenti. Lasciamo parlare loro, oggi, razionalmente, perché solo loro conoscono il reale rischio dell’escalation di una guerra che alimenta tifoserie dimentiche di un conflitto che sta contando già troppe vittime e che come nessun altro potrebbe davvero innescare la distruzione dell’umanità. Nei minuti che impiegheremo a rileggere queste righe, altri esseri umani moriranno tra rantoli. Bisogna farla in fretta, la pace in Ucraina. Per molti commentatori da salotto il destino di un popolo, la sua morte, è solo un inciampo necessario sulla strada della Storia. Oggi c’è chi non punta a mettere fine alla guerra, ma a punire. A Norimberga i vincitori, che processarono i nazisti sconfitti, non volevano punire. Volevano piuttosto faregiustizia e quell’esperienza riuscì. Invece “oggi leader mondiali come Biden o von der Leyen fanno dichiarazioni impressionanti, inconciliabili con la costruzione della pace in Ucraina. E mi stupisce che nessuno in Occidente lo dica”: questo il messaggio politico di Annalisa Ciampi, ordinaria di diritto internazionale nell’Uni versità di Verona, già Special Rapporteur delle Nazioni Unite sui diritti alla libertà di associazione e di riunione pacifica. La guerra sembra destinata a durare a lungo. La pace, lontanissima. “Penso che questo sia un conflitto molto prolungato, penso che sia almeno misurabile in anni. Non so se decenni, ma almeno anni di sicuro”: sono a previsioni a tinte fosche quelle del generale dell’eserci to statunitense, Mark Milley. Ma perché non si parla di più di negoziati, né di pace? “La parola ‘negoziato’ non è mai stata pronunciata né dal presidente degli Usa Biden, né dal segretario della Nato Stoltenberg, né dal segretario di Stato americano Blinken, né dal primo ministro britannico Johnson. Questo è molto grave. So quel che dico: Joe Biden non vuole la pace” spiega il già Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, il Generale Leonardo Tricarico. Un tentativo serio di strutturazione importante dei negoziati non è mai stato fatto da nessuno e soprattutto dagli Usa e dalla Gran Bretagna. “Se andiamo a scorrere tutti gli interventi pubblici o non pubblici dei personaggi che ho menzionato, non troveremo mai parole come ‘negoziato’ o frasi come ‘cessate il fuoco’. Evidentemente non vogliono la pace. Se non la vuole Biden, non la vogliono tutti gli altri, perché Stoltenberg è la diretta cassa di risonanza di Biden e gli inglesi addirittura superano per perentorietà e aggressività gli americani. Questa è la situazione, è inutile girarci intorno: Biden vuole vedere Putin nella polvere”.

L’Europa è in serio pericolo. Perché semmai Biden ridurrà Putin in polvere, rischiano di essere sbriciolati anche l’Europa e l’Ucraina. Il problema resta pero sempre lo stesso nella ricerca del negoziato: come porsi nei confronti della Russia. Bisogna ragionarci, perché i rischi sono troppo alti. Stessa cautela da parte del generale Marco Bertolini, già comandante del Comando Operativo di Vertice Interforze e della Brigata Paracadutisti Folgore, per il quale il conflitto Ucraina-Russia è una guerra sistematica, tradizionale, con un confronto tra due eserciti. “L'anomalia forse sta nel fatto che non ricordavamo più com’era una guerra tradizionale, eravamo abituati a un esercito contro miliziani irregolari o terroristi. Come finirà? Tutte le guerre finiscono in due modi: sconfitta militare o un trattato. Se quest’ultimo non arriverà in tempi brevi, questa guerra sarà lunghissima e avrà ripercussioni devastanti per tutta l'Europa. A noi europei non conviene che l’Ucraina sia un nuovo Afghanistan, dovremmo fare di tutto affinché ci sia un trattato di pace. Con basi Nato lungo il confine russo la pace si allontana”. Siamo di fronte a una guerra che si sviluppa in maniera tradizionale anche tatticamente. È parte dell’arte della guerra, che va maneggiata con cura. Lo ribadisce anche il generale Claudio Graziano, presidente del Comitato Militare dell’Unione Europea: “Spe ro che il negoziato proceda perché è l’unica via per la pace. Solo quando c’è la volontà delle parti le armi tacciono. E per ora non è così. Siamo in una fase di stallo operativo”. Fabio Mini, “il generale rosso”, analista bellico, firma di Limes, è invece il militare che considera l’inter vento in Ucraina figlio di un errore strategico commesso 30 anni fa: “Dovevamo smantellare la Nato alla fine della guerra fredda”. Ci va giù duro, al punto da scatenare su di lui le accuse di complottismo e filoputinismo. Eppure Mini è stato generale di Corpo d’Armata dell’E sercito Italiano, Capo di Stato maggiore del comando Nato del Sud Europa e comandante della missione internazionale in Kosovo. Su Limes ha scritto che l’espansione dell’Alleanza atlantica è la causa principale della guerra russo-ucraina: “È stata una strategia precisa che aveva un unico scopo: circondare la Russia per neutralizzarne l’influenza nel Centro Europa. Non era un obiettivo segreto, ma dichiarato”. Cosa fa dire a Mini che un conflitto tra la Nato e la Russia è ancora evitabile? “Possono verificarsi degli eventi: se il negoziato non salta si può rimediare. Se le forze davvero in campo – il governo russo, quello ucraino e quello americano – si siedono allo stesso tavolo c’è ancora margine. Niente Nato, però”. Il generale Mini e il generale Mario Bertolini premono per un negoziato: “Siamo testimoni di quello che succede nei Paesi dopo che l’intervento delle Nazioni unite è terminato. Negli ultimi 30 anni alla vittoria sul campo della Nato non è seguito un successo politico e umanitario. I Paesi usciti da quegli interventi - Iraq, Libano, Somalia, Afghanistan, Kosovo, Libia - erano più martoriati di prima”.

Raffaella Vitulano


Dopo il Donbass si apriranno spiragli di trattativa vera 
Ma perché i militari spingono per le trattative e per la pace mentre molti editorialisti e commentatori sono convinti della necessità della prova di forza muscolare? Il generale Fabio Mini offre una sua spiegazione: “I giornalisti partono dall’invasione e non vanno a vedere cosa c’era prima. Se si punta lo sguardo adesso c’è un aggressore e un aggredito (la Russia e l’Ucraina, ndr.) Invece l’aggressione segue sempre azioni di provocazione. Chiediamoci chi ha addestrato e inserito nelle file delle forze armate regolari formazioni di ex banditi”. Il generale ed ex senatore Mauro Del Vecchio, impegnato sul campo in Bosnia, Macedonia e Afghanistan, è comunque convinto che dopo il Donbass - dove si trovano le maggiori risorse naturali del paese - si apriranno spiragli per la pace: “La battaglia dovrebbe essere risolutiva per far iniziare finalmente le trattative per una tregua o un trattato: con questi territori conquistati, Putin può sedersi sulla sedia del vincitore e quindi guidare le trattative da una posizione di potere”. Mosca allo scontro finale e poi l’ok al trattato di pace, insomma.

Ra.Vi.

Italia garante? Purché sia pronta ad intervenire militarmente 

Il generale David Petraeus, ex direttore della Cia, sostiene che le prossime settimane potrebbero essere durissime per Kiev: “Per la prima volta c’è un solo generale al comando dell'invasione russa. Prima ce ne erano troppi, che litigavano con Mosca per le risorse e le priorità, ma questo è un personaggio dai trascorsi molto preoccupanti. Lo chiamano 'il macellaio della Siria' per la sua campagna del 2016 quando bombardò e di fatto massacrò la popolazione di allora”. Per la pace, dunque, si vedrà. Il cielo sopra Kiev e Mariupol è ancora cupo di battaglia e di massacri. Il generale Vincenzo Camporini, ex capo di Stato maggiore della Difesa e analista esperto, è molto chiaro sull’Italia che faccia da garante per la pace: “È un ruolo molto delicato perché, stabilite le regole, se c’è violazione da parte di una delle parti bisogna intervenire”. Serve quindi la consapevolezza che l’interpretazione più scontata è quella dell’introduzione dell’articolo 5 del trattato Nato che prevede l’obbli go da parte dei firmatari di intervento militare se si verificano violazioni da parte di chi aggredisce. Capito, Roma?

Ra.Vi.





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