Quanto inquinano le guerre? Quelle intuizioni di Rosalie Bertell


Si fa presto a dire Cop 27 e a dire mobilitiamoci tutti per il clima. La questione è complessa, soprattutto in questo periodo storico contraddittorio, in cui si chiede a squarciagola il rispetto di regole sulle emissioni di carbonio (in vista delle future carte di credito proprio su queste basate) ma poi si nascondono le conseguenze di altri comportamenti. All' International Convention Center di Sharm el-Sheikh per gli incontri di alto livello della Cop27, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite, si elencano buoni intenti, ma durante il vertice, si parlerà delle guerre che stanno devastando non solo l’U craina ma anche molti altri Paesi? Sarà difficile che vengano menzionate le manipolazioni meteorologiche che hanno modificato il tempo per decenni e che, in buona parte, hanno contribuito al caos climatico. E questo sia in tempi di guerre non convenzionali che durante scenari tradizionali con carri armati e bombe. Rosalie Bertell era una scienziata, autrice, attivista ambientale, epidemiologa e suora cattolica americana; pungolo a difesa dei diritti dei più indifesi, viaggiatrice instancabile che stava sempre dalla parte delle popolazioni vittime dell’inquinamento di origine civile o militare. Nel 1996, Bertell aiutò i filippini a risolvere il problema dei rifiuti tossici lasciati dalle basi smantellate della Marina e dell’Aviazione Usa. Bertell era una sorella delle Monache Grigie del Sacro Cuore, meglio conosciuta per il suo lavoro nel campo delle radiazioni ionizzanti. Durante il bombardamento Nato in Jugoslavia parlò chiaramente delle possibili conseguenze dell’im piego di armi all’uranio impoverito sulla popolazione, di cui poi molto si è scritto successivamente. Nove lauree ad honorem e numerosi riconoscimenti, tra cui il Nobel alternativo (Right Livelihood Award) che viene assegnato ogni anno a Stoccolma qualche giorno prima del Nobel, Rosalie Bertell si è battuta per far ottenere cure mediche alle vittime di Bhopal e a quelle di Chernobyl, promuovendo in entrambi i casi una Commissione medica internazionale. Del disastro ambientale di Bhopal avvenuto il 3 dicembre 1984 in uno stabilimento chimico di proprietà della multinazionale Union Carbide abbiamo scritto tantissimo su Conquiste, anche con reportages dall’India. Oltre duemila persone morirono la notte stessa del disastro, per non parlare delle decine di migliaia di vittime decedute per gli effetti dell’avvelenamento nel corso dei mesi e degli anni successivi. Il 6 di dicembre del 2011 Rosalie Bertell spedì una lettera a Ahmed Djoghlaf, segretario esecutivo della Conferenza delle Nazioni Unite sulla Biodiversità a Durban, lettera in cui allertava sulle conseguenze della geoingegneria climatica. Il suo appello non ha ricevuto una risposta. Morì pochi mesi dopo.“Alla conversione - scrisse Rosalie - della nostra dipendenza da combustibilifossili nello sviluppo di tecnologie energetiche più benigne, si colleganomeno incognite e / o conseguenze pericolose, di quante ne comporti la manipolazione di un sistema terrestre in delicato equilibro, con un potenziale di conseguenze pericolose estese e irreversibili dovute all’interruzionedell’interazio ne naturale tra gli oceani e il Sole, la ionosfera e la magnetosfera! Abbiamo già una vasta esperienza, a cominciare dai tentativi di controllo del tempo meteorologico mediante cloud seeding (inseminazione delle nuvole) negli anni 1950, e 5 decenni di esperimenti militari progettati per garantire un “full spectrum dominance” (“predominio a spettro completo”) entro il 2020”. Bertell cita anche altre tappe che hanno segnato svolte epocali sul clima: nel 1962, a luglio gli Stati Uniti hanno revocato il divieto di test nucleari nell’atmosfera e hanno iniziato a testare le bombe nucleari nella ionosfera; sempre nel 1962, l’Unione Sovietica intraprese esperimenti simili. “Da quel momento i flussi di elettroni nelle fasce di Van Allen sono cambiati in modo marcato e non sono più tornati al loro stato precedente. Gli scienziati specialisti del settore stimano che ci vorranno all’incirca un centinaio d’anni prima che tornino normali (se mai lo faranno)”. Negli anni ‘70 abbiamo appreso che lo strato di ozono si era impoverito di circa il 4% a causa delle esplosioni nucleari da 300 megatoni eseguite tra il 1945 e il 1963. Nel 1983, il lancio del razzo Saturno 5 ha funzionato male, e il secondo booster è bruciato nell’atmosfera a un’altezza insolita, a 300 km (186 miglia). Durante gli anni 1980 vennero eseguiti da 500 a 600 lanci di razzi all’anno, con un culmine di 1.500 nel 1989. “Ogni volo ha iniettato circa 187 tonnellate di cloro che distrugge l’ozono, e 7 tonnellate di azoto nello strato di ozono, entrambe sostanze che notoriamente lo impoveriscono. Eppure la colpa di questa distruzione è stata attribuita a deodoranti e frigoriferi! I civili sono stati costretti a far fronte a tassi più elevati di cancro della pelle, mentre nessuna preoccupazione per gli effetti su flora e fauna, agricoltura o stabilità del clima ha raggiunto la coscienza civile!”. Tra il 1978 e il 1990, lo strato di ozono nell’e misfero settentrionale è diminuito di un ulteriore 4 - 8%. Nel 1995 gli Stati Uniti iniziarono a utilizzare il gigantesco riscaldatore ionosferico Haarp, che avrebbe potuto modificare più facilmente la densità della ionosfera. Questi esperimenti militari proseguono nel 21° secolo, in particolare con la ricerca della Marina allo scopo di costruire nuvole artificiali in alta quota. “Sono rimasta sbalordita dal fatto che tutta questa ricerca non abbia trovato spazio nel lungo Rapporto sulla Biodiversità! Tutto questo è un segreto per la sicurezza militare? Non possiamo imparare dai gravi problemi già sperimentati dal pianeta Terra a causa dei razzi nucleari e spaziali? Siamo tutti seduti sul ramo che gli scienziati ora vogliono segare!”. La guerra ha le sue responsabilità. Ad oggi risulta difficile comprendere la portata di quello che sta succedendo in Ucraina, le conseguenze ambientali e sanitarie del conflitto. Quello che sappiamo è che i costi dei danni ambientali derivanti dalla guerra in atto sono importanti e non conoscono confini. E tuttavia questo non dovrebbe farci prescindere dai comportamenti individuali. Non dobbiamo essere ipocriti: un jet civile non consuma molto meno di un aereo militare. La guerra è senza dubbio dannosa, provoca morti ed è una inutile distruzione. Ma anche le abitudini che abbiamo dovranno cambiare radicalmente e sollecitare la nostra responsabilità verso il pianeta.

Raffaella Vitulano


Le emissioni dei mezzi militari Studio del Royal Geographic Society 

Anche i mezzi militari inquinano pesantemente l’ambiente1 2: un veicolo da ricognizione (Humvee) consuma 40 litri di gasolio per 100 km, con emissioni di 260 kg Co2e per missione. Secondo uno studio di Oliver Belcher per il Royal Geographic Society , l’esercito degli Stati Uniti acquista carburante quanto il Portogallo o il Perù. Per capire la portata di una guerra possiamo prendere come esempio il conflitto “Desert Storm” del febbraio-marzo 1991, in cui la coalizione Usa-Uk ha consumato ogni giorno 45 milioni di litri di carburante, ed emesso112,4 milioni di kg di Co2. Praticamente quanto le emissioni di un comune in un anno intero. In quest’ottica, un mese di guerra provoca emissioni simili a quelle annuali di una città di circa 350 mila abitanti (Bologna o Firenze). L’esercito americano è quello che inquina di più. Gran parte delle emissioni deriva dalle catene di approvvigionamento di attrezzature militare. Da paese fortemente industrializzato, l’Ucrai na aveva già una pessima qualità dell’aria.

Ma se alcuni di questi siti industriali vengono presi di mira o colpiti accidentalmente e incendiati, liberano nell’aria una grande quantità di sostanze tossiche.

Ra.Vi.

Senza libertà non c’è ambientalismo La denuncia di Naomi Klein 

In un articolo dal titolo “La verità dietro alla Cop27”, Naomi Klein racconta sul The Guardian della lettera sul clima che Alaa Abdel Fattah, uno dei più noti prigionieri politici egiziani, ha scritto durante uno sciopero della fame nella sua cella all’interno del carcere del Cairo. “Lui stesso ha spiegato in seguito che parlava del riscaldamento globale a causa delle notizie provenienti dal Pakistan”. Era preoccupato delle alluvioni che hanno causato 33 milioni di sfollati e dalle “future misere risposte dei governi”. Klein è lapidaria: “Se vuoi installare pannelli solari o raccogliere spazzatura puoi probabilmente ottenere un badge per andare a Sharm el Sheikh. Ma se vuoi parlare di salute e degli impatti sul clima delle centrali a carbone egiziane o della cementificazione degli ultimi spazi verdi del Cairo, hai più probabilità di ricevere una visita dalla polizia segreta o dal distopico ministro della solidarietà sociale”.

Ra.Vi.

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