Il Wef volge al declino. Tramonta Schwab ma risorge Tony Blair col suo club d’élite


Con oltre 800 dipendenti in 40 paesi, l’ex primo ministro Tony Blair è probabilmente più potente di quanto lo fosse al n. 10 di Downing Street e i suoi consigli valgono milioni di dollari. E’ cresciuto, il cerbiatto britannico della Terza Via, allargando gli orizzonti dai tempi di Londra. In un’intervista al Financial Times, l’ex premier britannico ha rivelato che il suo Tony Blair Institute for Global Change punta a realizzare quest’an no la bellezza di 140 milioni di dollari di ricavi offrendo consulenze ad oltre 40 governi. Consulenze tutte da scoprire, dato che la crescita dell’istituto è destinata a continuare: “Siamo in oltre 30 Paesi, ne abbiamo aggiunti nove lo scorso anno e ne aggiungeremo nove forse quest’anno. Abbiamo una lista d’attesa di governi che vogliono entrare nel programma”, spiega Blair. Cifre record se si considera che i 140 milioni di dollari di ricavi di quest’anno sono il triplo rispetto ai 45 milioni del 2020 e il 16% in più rispetto al 2022. In pratica, il club di Blair realizza le sue entrate prevalentemente inviando i suoi consiglieri (tra cui Sanna Marin, l’ex premier della Finlandia) ai governi. Blair è il presidente esecutivo e spesso il primo punto di contatto dei leader che cercano consigli. Blair è stato duramente criticato per aver offerto consulenze anche al saudita Mohammed bin Salman, ma non fa una piega: “Non ho assolutamente dubbi sul fatto che i cambiamenti che stanno effettuando sono di enorme importanza sociale ed economica e in termini di sicurezza dell’a rea”, ha spiegato l’ex primo ministro britannico. La sua influenza oggi è tale da sfidare anche Klaus Schwab, principe del World Economic Forum che la prossima settimana si riunisce di nuovo a Davos. Blair un tempo era un uomo di Davos, ne conosce bene i meccanismi. Blair ha tratto molta ispirazione dal mondo degli affari al punto da sostenere su Newsweek nel 2015: “Puoi essere un grande comunicatore, ma una volta al potere, sei un amministratore delegato e devi gestire un’attività”. “Il World Economic Forum è il nostro principale esempio dell’a scesa di un’élite globale autoselezionata. È solo uno delle migliaia di nuovi istituti privati focalizzati sul servizio pubblico in tutto il mondo. Molti sono guidati da individui. Blair è uno di quelli”, aggiunse il Newsweek citando anche il miliardario gestore di hedge fund George Soros e la sua Open Society; la Fondazione Mo Ibrahim, fondata dal miliardario sudanese delle telecomunicazioni; la Fondazione Clinton; la Fondazione Bill e Melinda Gates: “Questa non è la morte della democrazia. È un perfezionamento da parte di quei vincitori della razza umana il cui successo li aliena dalle sue imperfezioni. Il sottotesto del Wef, dei think-tank, dei gruppi e delle fondazioni umanitarie che oggi costituiscono una vasta industria globale, è espressamente elitario: la democrazia sta fallendo e loro – i ricchi e capaci, i guru, i promotori e gli agitatori – sono nella posizione migliore. Se tutto il rumore intorno a lui lo ha mai influenzato, ora non ha davvero importanza. Blair si è lasciato alle spalle la politica. La sua posizione non dipende più dagli altri, dagli eventi o dalle opinioni. Il suo è andare oltre, lavorare su qualunque cosa abbia scelto” scriveva Alex Perry nel 2015. Durissima l’analisi del giornalista finanziario svizzero Klaus Stöhlker, che su su In$ide Paradeplatz paragona il Wef ad un venditore ormai troppo lento per i nostri tempi. Solo un terzo dei precedenti 3.000 manager sono infatti attesi nell’edizione 2024. Stöhlker ne ha per l’ex primo ministro britannico, presentandolo come “ un mediocre socialdemocratico che amava assicurareai suoi elettori che avrebbe potuto farlo 5 volte a notte con sua moglie”. Il giornalista ricorda poi che Blair guidò gli inglesi nella guerra in Iraq, che Gerhard Schröder, all’epoca cancelliere tedesco, rifiutò. “Per questo motivo, fino a poco tempo fa Blair era stato tagliato politicamente dal suo partito, i socialdemocratici. Ora tocca al suo collega di partito Schröder, messo al bando perché preferiva vivere con Vladimir Putin piuttosto che con il cancelliere tedesco Olaf Scholz”. “Blair - prosegue - è chiaramente in procinto di istituire una versione moderna del Wef. Preferisce evitare le migliaia di imprenditori e top manager vanitosi e concentrarsi interamente sui padroni, in linea con la tendenza della nuova globalizzazione, dove i capi delle aziende più piccole vengono smistati a favore di quelli delle grandi organizzazioni che fanno davvero la differenza”. La crisi a Davos si vede: mentre negli anni precedenti, a inizio anno, i principali media internazionali speculavano sui visitatori illustri di Davos e sulle interviste in cui Klaus Schwab si limitava a borbottare, oggi regna un silenzio di tomba su un evento che ha dominato la stampa mondiale per oltre 50 anni. L’appello di Schwab a Davos quest’anno è Ricostruire la fiducia, ma “il Wef 2024 sembra una falsa partenza e sembra che gli anni d’oro del Wef di Davos siano finiti”. Klaus Schwab, brillante uomo di marketing ginevrino che pose la sede del Wef nell’esclusi vo sobborgo ginevrino di Cologny, entrò in carica 56 anni fa con il grido di battaglia ’Miglio rare la situazione del mondo’. Ma molti dei giovani leader mondiali collocati da Schwab nei governi di tutto il mondo, dalla Merkel a Trudeau e Macron a Karl-Theodor Freiherr zu Guttenberg, Olaf Scholz e Baerbock, non hanno convinto. “Schwab vedeva il Premio Nobel per la pace sempre più vicino. Il suo ego come leader della pace nel mondo è cresciuto oltre il Cervino e il Monte Bianco. Ma dopo l’11 settembre e l’attacco al World Trade Center di New York, il miglioramento del mondo era finito. Gli Stati Uniti hanno intrapreso guerre inutili in Iraq e Afghanistan. La Nato e le sue truppe ausiliarie europee hanno avuto il naso insanguinato in varie piccole guerre. Il miglioramento del mondo secondo il modello Schwab è addirittura avvenuto: sono iniziati 20 anni buoni per milionari e miliardari, che nemmeno una grave crisi finanziaria ha potuto cambiare”. Tuttavia la gente è rimasta povera. E lo è diventata ancora di più. I maestri cinesi apprendisti a Davos con straordinaria diligenza, hanno implementato i messaggi del capitalismo nel proprio paese e in breve tempo hanno creato una Cina che l’Occidente libero, democratico e basato sulle regole non poteva immaginare. “Il Wef, un prodotto di Google, Bill Gates, Blackrock e migliaia di altre società, si è espanso nel mondo. Klaus Schwab, allievo di Kissinger, non ha realizzato le speranze riposte in lui”: senza mezzi termini, il giornalista finanziario si chiede realisticamente come ripristinare la fiducia intenzionalmente distrutta tra Stati Uniti e Russia? Certamente non con i “tea party” a Davos. Come ripristinare la crisi di fiducia tra Occidente e Cina? Con una discesa nella neve alta che raramente è più disponibile? Come ricostruire la fiducia in una guerra in Ucraina che avrà successo per l’Occidente? Con 100 miliardi dall’Europa perché gli americani non vogliono e non possono più pagarli. Come si dovrebbe rafforzare la fiducia all’interno Ue e costruire la fiducia della Svizzera nella Ue? Come si dovrebbe mantenere la fiducia delle persone nelle democrazie? “La missione del Wef prevedeva il ritorno della civiltà occidentale ad un sistema feudale di privilegi illimitati sulla classe operaia”. Se oggi il Wef di Schwab si indebolisce, è solo un segno che la sua missione volgerà presto al termine e che ora è iniziata la fase finale della missione: il ritiro tattico. Il punto è che se a cambiare il mondo deve essere il cinico Tony Blair, sarà difficile uscirne bene dal 2024. Trasformare idee audaci in realtà. Aiutare i governi e i leader a fare le cose, fornendo consulenza su strategia, politica e realizzazione, sfruttando il potere della tecnologia in tutti e tre i settori. Così si presenta Institute Global, il think tank di Tony Blair che produce ricchezza ai clienti ma ne riceve anche molta in cambio di consigli dispensati ad hoc. Dieci i punti individuati per i governi: investimenti nella salute; obiettivi Net-Zero; finanziamenti internazionali sul clima; sicurezza alimentare; intelligenza artificiale; sistemi di identità comuni nei servizi pubblici; infrastrutture digitali; nuove forme di lavoro; catene di fornitura offshoring; governance politiche tecnologiche. “La sfida più grande che i leader devono affrontare oggi - si legge nel sito - è la capacità di portare a termine le cose. Quindi concentriamo il nostro lavoro lì. Lavorando fianco a fianco con leader politici e governi, forniamo supporto per promuovere un cambiamento reale e duraturo. La più grande opportunità per i governi oggi è la rivoluzione tecnologica. In tutto il nostro lavoro, aiutiamo i leader a sfruttare il potere della tecnologia per creare un cambiamento reale per le loro persone”. Il World Economic Forum (Wef) è un aggregatore globale finanziato da contributi delle aziende associate che raccoglie leader mondiali del settore privato, della politica, dell’accademia e della società civile per discutere questioni globali chiave e cercare soluzioni condivise. E’ stato fondato nel 1971 da Klaus Schwab e la sua annuale riunione con di capi di stato e di governo e leader del settore privato si tiene a Davos, in Svizzera. La Great Reset Initiative - di cui molto si parla e scrive soprattutto nel mondo cosiddetto complottista - è un piano di ripresa economica elaborato dal Wef in risposta alla pandemia di Covid-19 lanciato nel giugno 2020, con un video dell’allora principe di Galles, Carlo. Le critiche al Wef riguardano il fatto che sia un’organizzazione che rappresenta principalmente gli interessi del settore privato, mentre dovrebbe essere più equilibrato nella rappresentanza degli interessi di tutti gli stakeholder, tra cui i governi e la società civile. C’è poi la critica sull’esclusività delle aziende che partecipano al Wef, poiché solo le grandi aziende sono invitate a partecipare. Inoltre, l’elitismo e l’esclusività del Wef può anche essere visto come contrario all’idea di una partecipazione democratica e trasparenza nei processi decisionali.

Raffaella Vitulano


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