L’Occidente alza i toni contro la Russia La Nato si schiera al nord Europa


L’Occidente alza i toni contro la Russia dopo la morte del dissidente russo Navalny. Le forze americane stanno entrando nell’estremo nord Europa a un ritmo incessante. La Finlandia segue la Norvegia e la Svezia nell’aprire le loro basi militari agli Stati Uniti.“Perché la situazione adesso è seria”, afferma il responsabile della ricerca presso l’Agenzia svedese per la ricerca sulla difesa, Niklas Granholm, in un’intervista a High North News. Negli ultimi due anni è diventato chiaro: ciò che ieri sembrava una follia, oggi viene seriamente preso in considerazione per metterlo in atto domani, scrive Neues Deutschland in occasione della Conferenza sulla sicurezza di Monaco. La pubblicazione definisce la situazione attuale come “la follia delle armi su larga scala”. I politici parlano sempre meno di diplomazia, di limitazione o risoluzione dei conflitti. E la Nato ci mette il carico: tra tre o cinque anni Putin potrebbe tentare di mettere alla prova la sua credibilità attaccando uno dei paesi ai confini della Russia. Avevamo già scritto di un documento segreto del ministero della Difesa tedesco che delinea nel dettaglio un possibile “percorso verso il conflitto” tra la Russia e la Nato, rivelato sul sito del popolare quotidiano tedesco “Bild”. Mese per mese e con una precisa localizzazione, vengono descritte le azioni russe e occidentali che culmineranno nel dispiegamento di centinaia di migliaia di soldati della Nato e nell’imminente scoppio della guerra nell’estate del 2025. Difficile non vedere l’escalation di una guerra mondiale alle porte. L’Europa, al solito, ne è il baricentro. Il New York Times ricorda che quando a un alto funzionario americano è stato chiesto a Monaco come gli Stati Uniti avrebbero mantenuto la promessa di Biden di “conseguenze devastanti” per la Russia nel 2021 se Navalny fosse morto in prigione - dichiarazione fatta alla presenza di Putin in un incontro a Ginevra - il funzionario ha fatto spallucce. Tra i fatti di questi giorni, ricordiamo anche la recente intervista dell’ex anchorman californiano della Fox News, Tucker Carlson, al presidente russo Putin, vista da oltre un miliardo di persone, proprio qualche giorno prima della morte di Navalnij. Indipendentemente dalle cause oggettive che saranno da accertare, la morte del dissidente - come annunciato da Biden tre anni fa - cambia le carte in tavola e velocizza comunque il processo verso la guerra, nonostante con Carlson Putin avesse invece parlato di equilibrio. Per Geopolitica.info l’intervi sta rilasciata da Vladimir Putin a Tucker Carlson “indica alcuni elementi di estremo interesse geopolitico che vanno messi nella giusta luce, al di fuori della logica propagandista dell’una e dell’al tra parte”. Nelle due ore di dialogo (in cui per la verità le domande del giornalista americano non sempre sono state incalzanti e la cui narrazione a tratti lo ha colto impreparato), il presidente russo è tornato sulla distruzione del Nord Stream e sulla parziale distruzione del Nord Stream2, utilizzando toni ancora più diretti di quelli riservati nell’intervi sta ad Oliver Stone anni fa ed accusando apertamente la Cia di aver pianificato l’azione di sabotaggio, riproponendo all’attenzione del pubblico un tema cruciale: “cui prodest?”. “Seriosnaja organisatsija”, la Cia è un’organizzazio ne seria, dice Putin mentre si fa beffa del tentativo del giornalista - attonito di diventare un agente segreto anni prima. Sarebbe dunque la Cia l’ostacolo alla pace, sembra suggerire Putin. Smentendo poi l’argomentazione relativa a una presunta volontà di estendere il proprio raggio d’azione a Occidente, Putin ha semplicemente risposto a Carlson che la minaccia russa viene enormemente “gonfiata dai media occidentali”, perché “non abbiamo interesse ad allargarci territorialmente, fatto che porterebbe a una guerra globale”. Anche Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, interviene sulle critiche mosse a Carlson, la cui colpa sarebbe politica, non giornalistica: avermostrato il punto di vista di Mosca offrendo a Putin un’audience di centinaia di milioni di persone. “L’intervista? Un crimine per un Occidente talmente sicuro e forte dei suoi principi da adottare un oscurantismo maccartista senza precedenti per definire fake news, disinformazione o narrazione putiniana le opinioni diverse o le verità degli altri e applicare la censura alle fonti non allineate”. La successiva morte di Navalnij, in concomitanza con la Conferenza di Monaco sulla Sicurezza, rialza le tensioni. Il Nyt riferisce che a Monaco il clima era “ansioso e disorientato, mentre i leader affrontavano scontri che non avevano previsto. Gli avvertimenti sulle possibili prossime mosse di Putin si mescolavano alle crescenti preoccupazioni dell’Europa di poter essere presto abbandonata dagli Stati Uniti, l’unica potenza che è stata al centro della sua strategia di difesa per 75 anni”. All’Hotel Bayerischer Hof, il palco della conferenza dove Putin avvertì nel 2007 che l’espansione della Nato a est era una minaccia per la Russia, la vedova di Navalny ha fatto un’apparizione poche ore dopo la morte del marito, ricordando ai partecipanti che Putin dovrebbe “assumersene la responsabilità”. Ma un’altra moglie, quella di Julian Assange, definisce “non sincera” e “vuota” la reazione dell’Occidente alla morte di Navalny. “Se fossi sincero, libereresti Assange”, ha dichiarato in risposta a un tweet del primo ministro britannico Rishi Sunak, e alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che ha accusato il “regime di Putin” della morte dell’ex attivista: “Le sue parole suonano vuote quando rimane in silenzio sulla persecuzione politica del giornalista che rischia 175 anni per aver pubblicato prove dei crimini di guerra statunitensi”, ha dichiarato Stella. “Gli Stati Uniti stanno portando avanti una persecuzione politica nei confronti di un giornalista che ha esposto i loro crimini in Afghanistan. Gli Stati Uniti stanno usando il loro sistema legale per perseguire e intimidire tutti noi. Perché stiamo parlando di tutti noi, della nostra libertà di parlare senza essere accusati e incarcerati”. Sul presunto complotto per assassinarlo i giudici spagnoli vorrebbero sentire proprio Mike Pompeo, l’ex direttore della Cia. Lo stesso che ha detto: “Ero il direttore della Cia. Abbiamo mentito, abbiamo imbrogliato, abbiamo rubato. Abbiamo fatto interi corsi di formazione, in gloria dell’esperimento americano”. Nel dicembre 1974, il giornalista investigativo Seymour Hersh, giornalista premio Pulitzer con fonti interne alla Cia, pubblicò un resoconto delle operazioni illegali di intelligence contro il movipace. Servono realismo, razionalità ed mento pacifista statunitense. L’allora leader della maggioranza al Senato, Mike Mansfield, incaricò il senatore dell’Idaho Frank Church di indagare sulla Cia. E così nel 1975 il senatore condusse un’indagine del Senato che rivelò la scioccante furia di omicidi, colpi di stato, destabilizzazione, sorveglianza, torture ed “esperimenti” medici. La denuncia da parte del Comitato Church degli sconvolgenti comportamenti illeciti della Cia è stata recentemente raccontata in uno splendido libro del giornalista investigativo James Risen, “The Last Honest Man: The Cia, the Fbi, the Mafia, and the Kennedys and One Senator’s Fight to Save Democracy”. I tempi sono ambiati. Oggi Seymour Hersh ha buone ragioni per credere che gli agenti della Cia abbiano effettuato la distruzione del gasdotto Nord Stream, come da lui scritto. Ma a differenza del 1975, quando Hersh era al New York Times in un momento in cui il giornale cercava ancora di chiedere conto al governo, il quotidiano non si degna nemmeno di esaminare il resoconto di Hersh. 

Julian Assange è perseguitato perché ha fornito al pubblico le informazioni più importanti sui crimini e sulle menzogne del governo americano dalla pubblicazione dei Pentagon Papers. Ha reso pubblica l’uccisione di quasi 700 civili avvicinatisi troppo ai convogli e ai posti di blocco statunitensi. Ha reso pubbliche le oltre 15.000 morti non dichiarate di civili iracheni e le torture e gli abusi subiti da circa 800 uomini e ragazzi nel campo di detenzione di Guantánamo Bay. Ci ha mostrato che Hillary Clinton nel 2009 ha ordinato ai diplomatici statunitensi di spiare il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon. Navalny e Assange, storie agli antipodi, scrive Giuliano Ferrara sul “Foglio”. Punti di vista. A suo dire, “uno ha sfidato un regime sanguinario che detesta lo stato di diritto, l’altro tenta di sottrarsi alle leggi mettendo a repentaglio l’incolumità di chi si batte per la nostra libertà. Non potrebbero essere più diversi.(...)Noi dobbiamo aspettare che Victoria Sharp e Adam Johnson, giudici a Londra, decidano dell’estradabilità negli Stati Uniti di Julian Assange, un tizio o un eroe che nel 2007 diffuse materiali sensibili sulla sicurezza nazionale degli Usa in guerra a Kabul e a Falluja mettendo in piazza, con qualche serio rischio per l’incolumità di informatori e soldati della Cia e del Pentagono, le magagne dello stato e dell’esercito senza i quali la nostra libertà non esisterebbe proprio”. Se a Julian Assange verrà negato il permesso di presentare ricorso contro la sua estradizione negli Stati Uniti davanti a un collegio di due giudici presso l’Alta Corte di Londra questa settimana, non avrà più alcuna possibilità di ricorso all’interno del sistema legale britannico. La persecuzione di Julian, durata quasi 15 anni, che ha messo a dura prova la sua salute fisica e psicologica, viene portata avanti in nome dell'estradizione negli Stati Uniti, dove sarebbe stato processato per presunta violazione di 17 capi di imputazione dell'Espionage Act del 1917 con una potenziale pena di 170 anni.Il “crimine” di Julian è quello di aver pubblicato nel 2010 documenti classificati, messaggi interni, rapporti e video del governo e dell'esercito americano, forniti dall’informatore dell’e sercito americano Chelsea Manning. Il materiale ha rivelato massacri di civili, torture, omicidi, l’ elenco dei detenuti detenuti a Guantanamo Bay e le condizioni a cui furono sottoposti, nonché le regole di ingaggio in Iraq. Coloro che hanno perpetrato questi crimini non sono mai stati perseguiti. Se Julian verrà giudicato colpevole ciò significherà la morte del giornalismo investigativo nei meccanismi interni del potere statale.




Raffaella Vitulano






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