Quelle 12 basi della Cia in Ucraina nel report del New York Times

 

La Central Intelligence Agency (Cia) degli Stati Uniti mantiene 12 basi in località segrete nel territorio ucraino lungo il confine con la Russia, e la settimana scorsa il direttore dell’agenzia, William Burns, ha visitato l’Ucraina per la decima volta dall’inizio del conflitto in Europa orientale. Poteva essere uno scoop, quello del New York Times realizzato sulla base di 200 interviste con funzionari ed ex funzionari in Ucraina, Stati Uniti ed Europa (che difficilmente avrebbero potuto avere luogo senza l’appro vazione della Cia, di Zelensky e dell’intelligence ucraina). Ma ad una seconda lettura, l’articolo del Times non sembra tanto una denuncia quanto un esplosivo rilascio controllato di informazioni. La denuncia del New York Times non manca infatti di implicazioni inquietanti. L’Ucraina è, inutile dirlo, uno Stato sovrano incaricato di determinare le proprie disposizioni in materia di sicurezza. La questione di fondo non è se l’Ucraina abbia il diritto di entrare in questo tipo di relazione con la Cia, come ovviamente è, né se la rivoluzione Maidan abbia messo l’Ucraina su un certo percorso verso la cooperazione politica con le entità occidentali. Il problema, piuttosto, riguarda le percezioni di base della sicurezza. Un precedente rapporto meno dettagliato su questa collaborazione di intelligence, pubblicato sul Washington Post, citava la stima di un funzionario dell’intelligence ucraina secondo cui ogni giorno venivano raccolti da “250 mila a 300 mila” messaggi militari/intelligence russi. Mosca ha ripetutamente avvertito - per molti anni prima del 2014 - che era e rimane pronta a intraprendere azioni drastiche per impedire che l’U craina venga utilizzata dall’Occi dente come base operativa avanzata contro la Russia. Eppure questo, come raccontato dal New York Times, è esattamente ciò che è accaduto negli ultimi 10 anni. Questa percezione è una parte inseparabile del contesto militare e politico che ha determinato lo scoppio di questa guerra. Il testo dell’intervista scorre veloce e avvincente. I contatti per le interviste, del resto, non devono essere stati un problema per i due autori del reportage: Adam Entous è un corrispondente investigativo con sede a Washington e due volte vincitore del Premio Pulitzer. Prima di entrare a far parte dell’ufficio di Washington del Times, si è occupato di intelligence, sicurezza nazionale e politica estera per la rivista The New Yorker, il Washington Post e il Wall Street Journal. Michael Schwirtz è un giornalista investigativo della redazione internazionale. Con il Times dal 2006, in precedenza ha coperto i paesi dell’ex Unione Sovietica da Mosca ed è stato reporter principale di una squadra che ha vinto il Premio Pulitzer 2020 per gli articoli sulle operazioni di intelligence russe. La decisione di denunciare un decennio di operazioni della Cia in Ucraina sarebbe tuttavia collegata alle tensoni in atto all’interno dell’élite dirigente statunitense sulla strategia da adottare, sulla scia della débâcle subita dal regime di Zelenskyj nella fallita offensiva dello scorso anno. I repubblicani al Congresso hanno infati bloccato ulteriori aiuti militari e finanziari all’Ucraina, dichiarando di fatto che gli Stati Uniti devono ridurre le perdite e concentrarsi sul principale nemico, la Cina. Riferendo del controllo ucraino da parte dell’apparato militare- intelligence statunitense, i dem fanno ora pressione sui repubblicani affinché sostengano ifinanziamenti alla guerra, sostenendo che gli stanziamenti non andrebbero a un governo straniero a migliaia di chilometri dai confini degli Stati Uniti, ma a un subappaltatore - per così dire americano. Così facendo, tuttavia, il Times lascia il dubbio che la propria copertura della guerra in Ucraina negli ultimi due anni potrebbe essere stata solo una narrativa per costringere il pubblico americano a sostenere lo smantellamento della Russia. Ma veniamo ai fatti. Secondo il quotidiano, le operazioni della Cia in Ucraina risalgono “a due telefonate avvenute la notte del 24 febbraio 2014, otto anni prima dell’invasione su vasta scala della Russia. Milioni di ucraini avevano appena invaso il governo filo- Cremlino del paese e il presidente, Viktor Yanukovich, e i suoi capi di spionaggio erano fuggiti in Russia. Nel tumulto, un fragile governo filo-occidentale prese rapidamente il potere”. Il nuovo capo dell’intelligence governativa, Valentyn Nalyvaichenko, “andò in un ufficio e chiamò il capo della stazione della Cia e il capo locale dell’MI6. Era quasi mezzanotte ma li convocò nell’e dificio, chiese aiuto per ricostruire l’agenzia da zero e propose una partnership a tre” . Secondo il “New York Times”, intorno al 2016 la Cia ha poi iniziato ad addestrare un’unità speciale delle forze ucraine nota come “Unità 2245”, incaricata di operare oltre confine e impossessarsi di droni e sistemi di comunicazione militare russi da consegnare ai tecnici della Cia per attività di decrittazione. La Cia avrebbe anche contribuito ad addestrare “una nuova generazione di spie ucraine che lavoravano in Russia, in tutta Europa, a Cuba e in altri luoghi in cui la Russia mantiene una presenza significativa”.

Man mano che la partnership si approfondiva dopo il 2016, “gli ucraini erano diventati impazienti di fronte a quella che consideravano un’indebita cautela da parte di Washington, e hanno iniziato a organizzare omicidi e altre operazioni letali, che violavano i termini che la Casa Bianca pensava che gli ucraini avessero accettato. Infuriati, i funzionari di Washington minacciarono di tagliare il sostegno, ma non lo fecero mai”. Le spie americane fornivano anche addestramento specializzato ai membri del Quinto Direttorio, un’unità paramilitare creata da Kiev per le operazioni contro la Russia. I membri di questa squadra di sicari sono stati coinvolti in alcuni omicidi di alto profilo nel Donbass, incluso quello del comandante Arsen Pavlov, alias ’Motorola’, fatto saltare in aria in un ascensore nel 2016, scrive il Nyt. L’esistenza dell’uni tà di assassinio è stata rivelata anche da Nalivaichenko in un’inter vista pubblicata sul The Economist nel settembre 2023. A partire dal novembre 2021, la Cia e l’MI6 hanno inviato messaggi alle loro controparti ucraine secondo cui la Russia si stava preparando per un’invasione su vasta scala per decapitare il governo e installare a Kiev un burattino che avrebbe eseguito gli ordini del Cremlino. Ora queste reti di intelligence sono più importanti che mai, spiega il Times, perché la Russia è all’offensiva e l’Ucrai na è sempre più dipendente dal sabotaggio e dagli attacchi missilistici a lungo raggio che richiedono spie ben oltre le linee nemiche. Se i repubblicani al Congresso dovessero interrompere i finanziamenti militari a Kiev, la Cia potrebbe ridimensionare anche la sua collaborazione e darebbe ragione ad altri ufficiali ucraini che temono un ripetersi della disfatta in Afghanistan anche nel loro paese. Il rapporto del New York Times suggerisce in parte una demolizione della narrativa della “guerra non provocata” in Ucraina e il lungo articolo - scrive qualche analista - potrebbe anche al contrario puntare ad un divorzio tra intelligence dati gli scarsi risultati sul terreno ucraino nel conflitto armato. “Gli ucraini volevano il pesce e noi, per ragioni politiche, non potevamo consegnarlo”, ha detto un ex funzionario americano, riferendosi all’intelligence che avrebbe potuto aiutarli a combattere i russi. “Ma eravamo felici di insegnare loro come pescare e consegnare l’attrezzatura per la pesca a mosca”.

Gli strateghi americani sono tuttavia preoccupati per il futuro delle relazioni tra Usa e Ue in uno scenario post conflitto ucraino. In un recente rapporto, uno dei più importanti think tank statunitensi, la Rand Corporation, sostiene che l’attuazione da parte di Washington di una politica di linea dura in Europa potrebbe portare a una guerra diretta con Mosca. Secondo gli analisti del think tank, se gli Stati Uniti dovessero inasprire le loro politiche in Europa dopo il conflitto, una situazione di guerra con la Russia diventerebbe davvero molto probabile. Gli esperti non credono che Washington sia in grado di dissuadere Mosca attraverso la militarizzazione dell’Europa, e le sue recenti mosse nella regione diventano forme di provocazione contro la Russia. Gli analisti avvertono infine del pericolo che le politiche americane danneggino l’unità del blocco occidentale: Sebbene la Nato sia ancora più forte della Russia, Washington potrebbe essere vista come provocatrice dai suoi stessi partner europei e ciò genererebbe malcontento e crisi nelle relazioni Usa-Ue. 


Raffaella Vitulano

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