La guerra è ancora la continuazione della politica con altri mezzi?
La dottrina della guerra di Carl von Clausewitz può essere applicata alle cosiddette “vecchie guerre”, ma non al nuovo tipo di guerre. Tuttavia, d’altro canto, se fosse stata applicata la richiesta di Clausewitz secondo cui il ricorso alla guerra deve basarsi su analisi razionale e calcoli accurati, molte guerre moderne e contemporanee non avrebbero avuto luogo. Sono le conclusioni di un’analisi di Vladislav B. Sotirovic, ex professore universitario, ricercatore presso il Centro per gli studi geostrategici di Belgrado, in Serbia, pubblicate su Naked Capitalism. Nell’affrontare i punti di vista sia teorici che pratici sulla guerra, emergono almeno sei domande fondamentali: cos’è la guerra?; quali tipi di guerra esistono?; perché avvengono le guerre?; qual è il legame tra guerra e giustizia?; la questione dei crimini di guerra; è possibile sostituire la guerra con la cosiddetta 'pace perpetua'?. Probabilmente, fino a oggi, la comprensione più utilizzata e affidabile della guerra è la sua breve ma incisiva definizione data da Carl von Clausewitz, secondo il quale la guerra non è altro che la continuazione della politica con altri mezzi. Clausewitz fu uno dei più importanti influenti esponenti del realismo nelle relazioni internazionali. Ricordiamolo, il realismo in scienza politica è una teoria di tali relazioni che accetta la guerra come una componente del tutto normale e naturale delle relazioni tra gli stati (e, dopo la Seconda Guerra Mondiale, anche di altri attori politici) nella politica globale. I realisti ci tengono a sottolineare che le guerre e tutti gli altri tipi di conflitti militari non sono solo naturali, ma addirittura inevitabili. Pertanto, tutte le teorie che non accettano l’inevitabilità della guerra e dei conflitti militari sono, di fatto, irrealistiche. Generale e teorico militare prussiano, Carl Philipp Gottfried von Clausewitz (1780-1831), figlio di un pastore luterano, entrò nel servizio militare prussiano a soli 12 anni e raggiunse il grado di maggiore generale a 38. Studiò la filosofia di Immanuel Kant e si impegnò nella riuscita riforma dell’e sercito prussiano. Clausewitz riteneva che la guerra fosse uno strumento politico simile, ad esempio, alla diplomazia o agli aiuti esteri. Per questo motivo, è considerato un realista tradizionale (di vecchia scuola). A tale teoria sembra rifarsi lo stesso presidente Donald Trump, che sta utilizzando anche guerre lampo come braccio armato della diplomazia. Pensateci. Nel suo De War (in tre volumi, pubblicato nel 1832 dopo la sua morte), spiegò il rapporto tra guerra e politica. In altre parole, la guerra senza politica è solo uccisione, ma questa uccisione con la politica ha un significato. “L’assunto di Clausewitz sul fenomeno della guerra era che la guerra avesse la sua origine in un obiettivo politico; quindi, naturalmente, questo motivo originario dovrebbe continuare a essere la prima e più alta considerazione nella sua condotta. Di conseguenza, la politica è interconnessa con l’inte ra azione bellica e deve esercitare su di essa un’influenza continua. È chiaro che la guerra non è semplicemente un atto politico, ma anche un vero e proprio strumento politico, una continuazione del commercio politico, una sua realizzazione con altri mezzi. In altre parole, la visione politica è l’obiettivo, mentre la guerra è il mezzo, e il mezzo deve sempre includere l’obiettivo nella nostra concezione”. Clausewitz era fermamente convinto che ai generali non dovesse essere permesso di prendere alcuna decisione su quando iniziare e terminare le guerre o su come combatterle, perché avrebbero usato tutti gli strumenti a loro disposizione per distruggere la capacità di combattere del nemico. La ragione, per lui, era la possibilità di trasformare un conflitto limitato in una guerra illimitata e, quindi, imprevedibile. Questo esito si verificò durante la Prima Guerra Mondiale, quando fu tolto spazio al negoziato. Il generale prussiano Carl von Clausewitz predisse la prima guerra totale della storia, in cui i generali dettavano ai leader politici i tempi della mobilitazione militare e li spingevano a passare all’offensiva e a colpire per primi. Il Piano Schlieffen, come alcuni altri piani di guerra elaborati prima della Prima Guerra Mondiale dalle Grandi Potenze europee, si basava sul presupposto che l’offensiva fosse essenziale per il successo. La chiave dell’offensiva, tuttavia, era una mobilitazione militare massiccia e rapidissima, la più rapida di quanto il nemico potesse fare. Qualcosa di simile fu progettato durante la Guerra Fredda, quando la priorità assoluta di un primo attacco nucleare era in cimaalle priorità dei piani militari di entrambe le superpotenze. “Tuttavia, una mobilitazione militare massiccia e persino generale implicava il raduno di truppe da tutto il paese in determinati centri di mobilitazione per ricevere armi e altro materiale bellico, seguito dal loro trasporto, insieme al supporto logistico, in prima linea per combattere il nemico. Quindi, per vincere la guerra, un belligerante doveva investire ingenti spese e tempo significativo per poter colpire il nemico per primo, cioè prima che il nemico potesse iniziare la propria offensiva militare”. Cosa vi ricorda? E siamo sicuri che fossero davvero i comandanti e i generali a spingere piuttosto che le lobby delle industrie delle armi, che in quel periodo conobbero la loro massiccia scesa in campo? Clausewitz sosteneva che la guerra dovesse essere uno strumento politico, come la diplomazia, un atto politico con l’intenzione di costringere l’avversario a soddisfare la propria volontà; ma non un fine in sé. Poiché la guerra deve essere iniziata solo per raggiungere rigorosamente gli obiettivi politici della leadership civile, è logico per lui che, se si dimenticassero le ragioni originarie, mezzi e fini si confonderebbero. Qualcosa di simile, ad esempio, prosegue l’autore, è accaduto con l’inter vento militare americano in Afghanistan dal 2001 al 2021. Per essere utilizzabile, la guerra deve dunque essere limitata. Tuttavia, gli sviluppi degli ultimi secoli, come l’industrializzazione o la guerra allargata, hanno portato la guerra in una direzione che aveva allarmato Clausewitz. Infatti, egli avvertì che il militarismo può essere estremamente pericoloso per l’umanità se priorità, idee o valori militari pervadono la società nel suo complesso. Ripensiamo all’oggi e alle crisi industriali europee: perché risolverle convertendo le industrie di auto in armi? Le cosiddette “guerre inutili” portano ad una visione del mondo distorta e pericolosa, come quella attribuita alla politica estera statunitense durante e dopo la Guerra Fredda in tutto il mondo.
Clausewitz riecheggiava il greco Tucidide, che nel V secolo a.C. aveva descritto nella sua celebre Storia della guerra del Peloponneso le terribili conseguenze della guerra senza limiti nell'antica Grecia. Tucidide sviluppò la prima spiegazione realistica e sostenibile delle relazioni e dei conflitti internazionali e formò la prima teoria delle Rivoluzioni Internazionali. Nel suo celebre dialogo melio , Tucidide mostrò come la politica di potenza sia indifferente all'argomentazione morale. In realtà, Clausewitz temeva che, se i politici non avessero controllato la guerra, questa sarebbe degenerata in una lotta senza altri obiettivi chiari se non uno: distruggere il nemico. Le guerre napoleoniche indussero Clausewitz ad avvertire che la guerra si stava trasformando in una lotta tra intere nazioni e popoli senza limiti e restrizioni, ma senza chiari obiettivi e/o scopi politici. Nel suo De War (in tre volumi, pubblicato dopo la sua morte), spiegò il rapporto tra guerra e politica. In altre parole, la guerra senza politica è solo uccisione, ma questa uccisione con la politica ha un significato.
La teoria trinitaria di Carl von Clausewitz si fonda su tre punti: le masse sono motivate da un senso di animosità nazionale (nazional- sciovinismo); l’esercito regolare elabora strategie per tenere conto delle contingenze della guerra; i leader politici formulano gli obiettivi e le finalità dell’azione militare. Una teoria oggi davvero confusa nei ruoli, che oggi può essere profondamente criticata per diverse ragioni: una di queste è l’aspetto morale, poiché Clausewitz presentava la guerra come un fenomeno naturale e persino inevitabile. Il suo approccio suggerisce che, se la guerra serve a legittimi scopi politici, le sue implicazioni morali possono essere semplicemente ignorate o, in altre parole, non prese affatto in considerazione come un momento non necessario della guerra. Clausewitz può essere criticato poi perché la sua concezione della guerra è obsoleta e quindi inadatta ai tempi moderni, in cui le moderne circostanze economiche, sociali, culturali e geopolitiche possono, in molti casi, far sì che la guerra sia un potere meno efficace di quanto non lo fosse ai tempi di Clausewitz. Infine, la guerra industrializzata può rendere molto meno affidabili i calcoli sui probabili costi e benefici della guerra.
Raffaella Vitulano


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