Odessa. Anatomia di un insabbiamento


Elena era tra coloro che, provenienti dal campo di Kulikovo, avevano contribuito ad allestire il primo soccorso prima dell’attacco. In seguito, raccontò ai giornalisti di essere stata molestata dalle persone all’esterno dopo essere fuggita dall’incendio. “Le gridavano insulti - racconta il giornalista - e la malmenavano, mentre la polizia non le prestava alcuna attenzione. Durante l’incendio nell’edificio, coloro che si trovavano dalla parte dei vincitori mostrarono un comportamento piuttosto contraddittorio. Alcuni tentarono sinceramente di salvare le persone dall’incendio che avevano appena appiccato, rischiando persino la vita, mentre altri furono felici di approfittare dell’occa sione per continuare ad aggredire e umiliare i sopravvissuti. La sede dei sindacati rimase aperta al pubblico per il mese successivo. I cittadini potevano assistere alle dirette streaming dalle rovine fumanti, con un cameraman che chiamava i cadaveri di una giovane coppia Romeo e Giulietta. Non fu fatto alcun tentativo di preservare la scena del crimine”. Le armi utilizzate per uccidere le persone non furono mai trovate. E questi sono solo alcuni esempi dell’atteggiamento sprezzante e negligente dell’indagine nei confronti del caso.

L’Ucraina è colpevole di violazioni dei diritti umani nel massacro sindacale di Odessa avvenuto il 2 maggio 2014, secondo la Corte Suprema Europea. Lo riporta su Greyzone Kit Klarenberg, giornalista investigativo “che esplora il ruolo dei servizi segreti nel plasmare la politica e le percezioni”. La corte ha condannato le autorità ucraine per non essere riuscite a impedire un massacro infuocato in cui decine di attivisti antinazisti furono bruciati vivi, “ma la faziosità politica dei giudici - commenta il giornalista - ha fatto sì che le vittime venissero implicitamente incolpate della loro sorte e le loro famiglie ricevessero un misero risarcimento di 15.000 euro”. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha dunque ritenuto il governo ucraino colpevole di violazioni dei diritti umani durante il massacro in cui decine di dimostranti di lingua russa furono costretti a entrare nella Casa dei sindacati della città e furono bruciati vivi da delinquenti ultranazionalisti. Citando “l’incapacità delle autorità competenti di fare tutto ciò che ci si poteva ragionevolmente aspettare da loro per prevenire la violenza a Odessa”, la corte ha stabilito all’u nanimità che l’Ucraina ha violato l’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uo mo, che garantisce il diritto alla vita. I giudici hanno inoltre condannato l’incapacità del governo ucraino “di fermare la violenza dopo il suo scoppio, di garantire tempestive misure di soccorso per le persone intrappolate nell’incendio e di avviare e condurre un’indagine efficace sugli eventi”. 42 persone furono uccise quel giorno nel sanguinoso epilogo della cosiddetta “rivoluzione di Maidan”, che ha visto il presidente ucraino democraticamente eletto deposto da un colpo di stato appoggiato dall’Occidente.

Funzionari ucraini e i media tradizionali hanno costantemente inquadrato le morti come un tragico incidente, con alcuni personaggi che hanno persino incolpato gli stessi manifestanti anti- Maidan di aver appiccato l’in cendio. Una tesi completamente screditata dal verdetto, emesso da una giuria composta da sette giudici, tra cui un giudice ucraino. Mentre decine di attivisti anti-Maidan morivano bruciati, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha scoperto che l’ar rivo dei pompieri sul posto è stato “deliberatamente ritardato di 40 minuti”, nonostante la stazione dei pompieri locale fosse a solo un chilometro di distanza. Alla fine, l’organo giudiziario ha stabilito che non vi era nulla che indicasse che le autorità ucraine “avessero fatto tutto ciò che ci si poteva ragionevolmente aspettare da loro per scongiurare” la violenza. La loro “negligenza... è andata oltre un errore di giudizio o una semplice negligenza”. Il caso è stato intentato da 25 persone che hanno perso familiari nell’in cendio doloso neonazista e negli scontri che lo hanno preceduto, e da tre che sono sopravvissute all’incendio riportando diverse ferite. “La sentenza non è riuscita a riconoscere la piena realtà del massacro di Odessa, ignorando ampiamente il ruolo svolto da elementi neonazisti sostenuti dall’Occidente - denuncia il giornalista - e i loro stretti legami con il massacro del febbraio 2014 in piazza Maidan, un’azione di false flag definitivamente accertata. Nella decisione, i giudici hanno minimizzato o giustificato la violenza perpetrata dai violenti tifosi di calcio ucraini e dagli skinhead, definendoli caritatevolmente attivisti pro-unità”. Le proteste di Maidan in Ucraina iniziarono nel novembre 2013, dopo che il presidente Yanukovich si rifiutò di stipulare un accordo commerciale con l’Ue e di riprendere il dialogo con la Russia. Le tensioni iniziarono rapidamente ad aumentare tra la popolazione russofona di Odessa e i nazionalisti ucraini. Come osservato nella sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo,“sebbe ne gli incidenti violenti fossero rimasti complessivamente rari... la situazione era instabile e implicava un rischio costante di escalation”. Nel marzo 2014, gli attivisti anti-Maidan allestirono un accampamento di tende in piazza Kulykove Pole e iniziarono a chiedere un referendum sull’istituzione di una “Repub blica autonoma di Odessa”. Il mese successivo, i tifosi delle squadre di calcio Odessa Chornomorets e Kharkiv Metalist annunciarono una manifestazione per il 2 maggio. Secondo la Cedu, fu allora che “sui social media iniziarono ad apparire post anti-Maidan che descrivevano l’evento come una marcia nazista e chiedevano alla gente di impedirla”. Sebbene la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia bollato la descrizione come “disinformazione” russa, ci sono ampie prove che gli hooligan associati a entrambe le squadre avessero palesi simpatie e associazioni neonaziste . Le squadre di calcio coinvolte in seguito formarono il famigerato Battaglione Azov di cui tanto si è scritto. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha rivelato che i servizi di sicurezza ucraini e l’u nità anticrimine informatico disponevano di consistenti informazioni di intelligence che indicavano che “violenza, scontri e disordini” sarebbero stati certi quel giorno. Tuttavia, le autorità “hanno ignorato le informazioni disponibili e i relativi segnali d’allarme” e non hanno adottato le “misure appropriate” per “stroncare qualsiasi provocazione”. Il 2 maggio 2014, attivisti antinazisti affrontarono i manifestanti all’inizio del corteo, e subito scoppiarono violenti scontri. Verso le 17:45, esattamente come era accaduto tre mesi prima con il massacro sotto falsa bandiera perpetrato da un cecchino in piazza Maidan, diversi attivisti anti- Maidan furono uccisi a colpi d’arma da fuoco “da qualcuno che si trovava su un balcone vicino” con “un fucile da caccia”, si legge nella sentenza. Successivamente, “i manifestanti pro-unità... presero il sopravvento negli scontri”, e caricarono verso piazza Kulykove Pole. Gli attivisti anti-Maidan si rifugiarono nella Casa dei Sindacati, un edificio di cinque piani che si affacciava sulla piazza, mentre i loro avversari ultranazionalisti “iniziarono a dare fuoco alle tende”, secondo la sentenza.Entrambe le parti si scambiarono colpi d’arma da fuoco e molotov e, in breve tempo, l’edificio andò a fuoco. “Nu merose chiamate” furono fatte ai vigili del fuoco locali, anche da parte della polizia, “senza alcun risultato”. Il tribunale osservò che il capo dei vigili del fuoco aveva “ordinato al suo staff di non inviare autopompe a Kulykove Pole senza un suo ordine esplicito”, quindi non ne fu inviata nessuna. Molti di coloro che erano rimasti intrappolati nell'edificio sono morti nel tentativo di fuggire saltando dalle finestre superiori. “I filmati mostrano inoltre manifestanti pro-unità che attaccano persone che si erano lanciate o erano cadute”, osserva la Cedu. Solo alle 20:30 i vigili del fuoco sono finalmente entrati nell'edificio e hanno spento l’incendio. La polizia ha poi arrestato 63 attivisti sopravvissuti che hanno trovato rimasti nell’edificio o sul tetto. Gli arrestati sono stati rilasciati solo due giorni dopo, quando un gruppo di diverse centinaia di manifestanti anti- Maidan ha fatto irruzione nella stazione di polizia, trattenendoli. La litania di falle nella sicurezza e di negligenze su vasta scala da parte delle autorità quel giorno è stata notevolmente aggravata dal fatto che “i procuratori locali, le forze dell’ordine e gli ufficiali militari” non erano “reperibili per gran parte o per tutto il tempo”, poiché erano casualmente impegnati in un incontro con il Vice Procuratore Generale dell’Ucraina. Poiché le autorità ucraine “non hanno fatto tutto il possibile per impedire la violenza”, né “quanto ci si poteva ragionevolmente aspettare da loro per salvare vite umane”, la Corte Edu ha stabilito che Kiev ha violato l’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La Corte ha inoltre concluso che le autorità “non hanno avviato e condotto un’indagine efficace sugli eventi di Odessa”, una violazione dell'“aspetto procedurale” dell’articolo 2.

Nel settembre 2015, il relatore speciale delle Nazioni Unite Christof Heyns riconobbe che la maggior parte delle prove relative agli eventi del 2 maggio furono distrutte subito dopo il crimine. Le testimonianze di una commissione parlamentare ucraina istituita subito dopo il massacro indicano che la violenza non è stata un bizzarro scherzo del destino, prodotto spontaneamente da due fazioni ostili, come suggerisce la sentenza. La commissione parlamentare ha scoperto che funzionari nazionali e regionali ucraini avevano pianificato esplicitamente di utilizzare attivisti di estrema destra provenienti dal movimento fascista di autodifesa di Maidan per reprimere violentemente i potenziali separatisti di Odessa accampati presso la Casa dei Sindacati. Il massacro di Maidan ha portato alla fine del governo di Viktor Yanukovich e ha spinto l’Ucraina verso la guerra con la Russia. L’incendio si è propagato quasi istantaneamente. Le persone nelle vicinanze sono state essenzialmente bruciate vive. Altri hanno cercato di salvarsi buttandosi dalle finestre. Ma sopravvivere al salto rischioso non ha significato la fine delle sofferenze. Un attivista è stato ripreso dalle telecamere mentre correva verso una persona che si era lanciata da una finestra per picchiarla con un manganello.

Raffaella Vitulano



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