Come la guerra cognitiva può condizionare la società

 di Raffaella Vitulano


Una copia cartacea del tuo giornale preferito non sa quali notizie preferisci leggere. Ma il tuo tablet sì. L’editoriale che hai letto non sa che lo hai condiviso con entusiasmo con alcuni dei tuoi amici più cari. Il tuo sistema di social network sì. Di certo le nostre applicazioni di social media tengono traccia di tutto, guidando e influenzando la nostra mente. Il cervello, del resto, è il campo di battaglia del 21° secolo, sottolinea un rapporto della Nato. A chi pensa che le guerre si provochino solo in Ucraina o al tavolo del Risiko, occorre spiegare che “gli esseri umani sono il dominio conteso” e “probabilmente si verificheranno conflitti futuri tra le persone prima digitalmente e poi fisicamente in prossimità dei centri del potere politico ed economico”. Gran parte della ricerca sulla cosiddetta guerra cognitiva è progettata per scopi difensivi, ma l’Alleanza militare sta sviluppando anche tattiche offensive. E’ l’Innovation Hub ad occuparsene, agendo come centro di ricerca o di think tank. La sua ricerca non è necessariamente la politica ufficiale della Nato, ma da lei è direttamente supportata e supervisionata. La guerra cognitiva è un nuovo concetto che inizia nella sfera dell’informazione, che sorta di guerra ibrida. Inizia con l’informazione perché ne rappresenta il carburante. Ma va ben oltre la semplice informazione o le operazioni psicologiche (psyops) e può cambiare il modo in cui le persone pensano. La guerra cognitiva si sovrappone alle società Big Tech e alla sorveglianza di massa, perché “sfrutta i big data”, spiega François du Cluzel, un ex ufficiale militare francese che nel 2013 ha contribuito a creare il Nato Innovation Hub (iHub), che da allora gestisce dalla sua base a Norfolk, in Virginia. Del resto, produciamo dati ovunque andiamo. Ogni minuto, ogni secondo. Ed è estremamente facile sfruttare questi dati per conoscerti meglio e usare quella conoscenza per cambiare il tuo modo di pensare. Una nuova modalità di guerra ibrida si aggiunge così alla guerra economica, alla guerra informatica, alla guerra dell’informazio ne e alla guerra psicologica. Fondendole, in un certo senso. Perché la guerra cognitiva è “l’ar mamento delle scienze del cervello” e il nuovo metodo prevede“l’hacking dell’individuo” sfruttando “le vulnerabilità del cervello umano” al fine di implementare l’ingegneria sociale più sofisticata. E il settore privato ha un interesse finanziario nel far progredire la ricerca sulla guerra cognitiva. I massicci investimenti mondiali fatti nelle neuroscienze suggeriscono infatti che il dominio cognitivo sarà uno dei campi di battaglia del futuro. Ma già nel presente ne troviamo traccia. Fino a poco tempo, la Nato aveva diviso la guerra in cinque diversi domini operativi: aria, terra, mare, spazio e cyber. Oggi, con il suo sviluppo di strategie di guerra cognitiva, l’alleanza militare sta discutendo del sesto livello: il “dominio umano”. E se il mondo sta diventando sempre più distopico, bisogna prenderne atto e agire e reagire di conseguenza al transumanesimo. Il concetto di guerra cognitiva è presente nei più recenti documenti della Nato ma le sue origini vengono da lontano. Sono trascorsi molti anni da quando nel 2002, l’école de Guerre Economique ha intrapreso un pionieristico studio. La Francia si dimostra da tempo interessata a questa dimensione strategica. La guerra cognitiva è quindi una forma non convenzionale di guerra che utilizza gli strumenti informatici per alterare i processi cognitivi nemici, sfruttare i pregiudizi mentali o il pensiero riflessivo, provocare distorsioni del pensiero, influenzare il processo decisionale. Nella guerra cognitiva, la mente umana diventa il campo di battaglia. Nella sua forma estrema, ha il potenziale per fratturare e frammentare un’intera società, in modo che non abbia più la volontà collettiva di resistere alle intenzioni di un avversario, che potrebbe plausibilmente sottomettere una società senza ricorrere alla forza o alla coercizione. La guerra cognitiva ha una portata universale, dall’individuo agli stati e alle organizzazioni multinazionali. Utilizza metodi di propaganda volti all’esaurimento psicologico dei recettori dell’informazione. Naturalmente, queste tecnologie militari non sono una novità. Le agenzie americane Darpa e Iarpa sono impegnate in questi settori da molti anni. Ma in questo caso, questo approccio viene ufficialmente riconosciuto come strategiapromettente per condurre la guerra del futuro e le armi neurologiche sono riconosciute comecomponente importante dell’e sercito. Diverse campagne successive potrebbero essere lanciate con l’obiettivo a lungo termine di distruggere intere società o alleanze, seminando dubbi sulla governance, sovvertendo i processi democratici, innescando disordini civili o istigando movimenti separatisti che possono sconvolgere o frammentare una società altrimenti coesa. Vi ricorda qualcosa? Lo studio condotto da giugno a novembre 2020 da François du Cluzel, manager del Nato Innovation Hub e pubblicato come rapporto di 45 pagine nel gennaio 2021 mostra come la guerra contemporanea abbia raggiunto una sorta di stadio distopico, un tempo immaginabile solo nella fantascienza. La guerra cognitiva può “essere utilizzata per mitigare l’aggressività e favorire cognizioni ed emozioni di affiliazione o passività; indurre morbilità, disabilità o sofferenza; e neutralizzare potenziali oppositori o incorrere nella mortalità” . In altre parole, mutilare e uccidere persone. Marie-Pierre Raymond, un tenente colonnello canadese in pensione che attualmente ricopre il ruolo di scienziato della difesa e gestore di portafoglio dell'innovazione per il programma Innovation for Defense Excellence and Security delle forze armate canadesi, ammette che “la guerra cognitiva è la forma di manipolazione più avanzata vista fino ad oggi” e riflette “la rapida evoluzione delle neuroscienze come strumento di guerra”.

Raffaella Vitulano





L’esigenza di consapevolezza nell’ osservare e nell’orientarsi 

Come nei migliori manuali strategici, il dossier dell’Alleanza spiega che il vantaggio nella guerra cognitiva va a chi si muove per primo e sceglie il tempo, il luogo e i mezzi dell’offensiva. La guerra cognitiva può essere condotta utilizzando una varietà di vettori e media. Una difesa adeguata richiede quanto meno la consapevolezza che è in corso una campagna diguerra cognitiva. Richiede la capacità di osservare e orientarsi prima che i decisori possano decidere di agire. Le soluzioni tecnologiche possono fornire i mezzi per rispondere ad alcune domande chiave: è in corso una campagna? Dove ha avuto origine? Chi lo sta scommettendo? Quali potrebbero essere i suoi obiettivi? La ricerca indica che esistono modelli di tali campagne che si ripetono e possono essere classificati. L’uso di algoritmi di apprendimento automatico e riconoscimento di modelli potrebbe aiutare a identificare e classificare rapidamente le campagne emergenti senza la necessità dell’intervento umano. Un tale sistema consentirebbe il monitoraggio in tempo reale e fornirebbe avvisi tempestivi.

Ra.Vi.

Cognitive warfare, sfida insidiosa con disinformazione e propaganda 

La Rivista della Nato cerca di informare e promuovere il dibattito sulle questioni di sicurezza. Non mancano considerazioni sulla resilienza. Conoscere sé stessi e gli altri è la chiave della guerra cognitiva. E in guerra, come nelle relazioni sociali, nessun pregiudizio. Perché i pregiudizi cognitivi possono portare a giudizi imprecisi e processi decisionali inadeguati che potrebbero innescare un’escalation involontaria o impedire l’identificazione tempestiva delle minacce. Il concetto di guerra cognitiva richiede sì interpretazione nel contesto della sicurezza nazionale; ma in senso lato è unprocesso di disinformazione per logorare psicologicamente i destinatari delle informazioni. Si tratta quindi di un tipo di guerra che si sviluppa più frequentemente di quanto si possa immaginare e che viene utilizzata come forma di potere duro pur apparendo innocua. Cognitive Warfare non è più solo mera terminologia militare ma indica ormai una sfida insidiosa che scuote le normali comprensioni e reazioni agli eventi in modo graduale e sottile, ma con significativi effetti dannosi nel tempo.

Ra.Vi.


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