London Bridge is down. E anche Roma non si sente tanto bene


A Westminster l’istinto del branco è potente, e quando il branco si muove, si muove”, ha commentato l’ex premier Boris Johnson il giorno delle sue dimissioni, alludendo al desiderio del suo stesso partito di un cambio al vertice di governo contro la sua volontà. Lui lo ha sperimentato sulla sua pelle. E lo hanno sperimentato i britannici stessi, quando gli anziani furono immediatamente sacrificati all’immunità di gregge: britannici sono flemmatici solo in apparenza, perché sanno essere molto spietati. Anche nelle loro immagini. London Bridge is down, il ponte di Londra è crollato: anche questa frase in codice relativa alla dipartita di Queen Elizabeth non scherzava. Così c’è chi in queste ore, lasciando il miele alle api e la retorica agli adulatori, ha preferito non dolcificare affatto quella che viene considerata “la sanguinaria storia della decolonizzazione le cui proporzioni e eredità ancora tardano ad essere riconosciute - che la regina Elisabetta ha volutamente oscurato inquesti decenni di regno”: così scrive Maya Jasanoff, professoressa di storia ad Harvard, in un commento pubblicato sul New York Times in cui invita a “piangere la donna”, ma a non ignorare la sua ambivalenza verso l’impero britannico, trasformato dalle lotte anticoloniali. A riprova delle tensioni con paesi colonizzati c’è il fatto che due gemme di incalcolabile valore sono, in queste ore, al centro di dispute che si trascinano da anni, riacutizzate con la morte della regina Elisabetta. L’India chiede la restituzione del favoloso diamante Koh i Noor (“Montagna di luce”), mentre l’Africa rivuole un’altra preziosissima gemma: la Great Star of Africa, conosciuto anche con il nome di Diamante Cullinan, oggi sullo scettro reale. La motivazione dietro alle richieste è intuibile: gli inglesi sono stati accusati di averle rubate nel periodo coloniale. Jasanoff racconta del rapporto tra Elisabetta II e il processo di decolonizzazione che ha coinvolto l’ex Impero Britannico. Una storia fatta di sanguinosa repressione e razzismo, sempre ridimensionata dalla Corona e dalla regina, dietro il gossip e il glamour. Londra, nonostante la Brexit la faccia apparire su un atollo sperduto, è molto più presente nelle vicende europee e mondiali di quanto si pensi. Un esempio su tutti è il recente “Russian and Chinese Influence in Italy”, rapporto di Raffaello Pantucci e Eleonora Tafuro Ambrosetti per il Royal United Services Institute for Defence and Security Studies, uno dei principali centri studi del Regno Unito. Il dossier spiega ai partner britannici quanto sia “im probabile” che le scelte dell’I talia contraddicano totalmente i suoi partner transatlantici. Ma allo stesso tempo spiega come sia altrettanto “impro babile” che l’Italia cerchi di interrompere completamente le relazioni con la Cina e la Russia. Una decisione “guida ta principalmente” dal pensiero strategico nazionale e non da influenze o interferenze esterne. Il documento ricorda la tradizione politica italiana di “cercare di stare nel mezzo”, a prescindere dai partiti al governo. Anche tra Roma e Londra, del resto, c’è un legame, così stretto che qualcuno si azzarda a considerare l’Italia colonia dell’Impe ro britannico snocciolando prove della guerra senza quartiere condotta per tutto il Novecento dalla diplomazia di Sua Maestà in funzione degli interessieconomici e politici inglesi. Una guerra segreta perché combattuta con mezzinon convenzionali tra nazioni considerate amiche. De Gasperi, Mattei, Moroerano troppo autonomi e andavano fermati, con ogni mezzo, a cominciare dal controllo dell'opinione pubblica: Giovanni Fasanella, già giornalista dell’Unità e poi di Panorama (di cui è stato quirinalista e redattore parlamentare all’epoca della presidenza di Francesco Cossiga), da anni scava in quella storia italiana che nessuno racconta. Insieme a Mario José Cereghino ha scritto “Colonia Italia. Giornali, radio e tv: così gli inglesi ci controllano. Le prove nei documenti top secret di Londra“ facendo anche i nomi delle persone coinvolte nella macchina del fango sulla base di documenti ufficiali del governo, della diplomazia e dell’intelligen ce di Sua Maestà. Questa macchina venne scagliata contro De Gasperi e contro il suo erede politico Attilio Piccioni, ma anche contro Enrico Mattei ed Aldo Moro. Lungi da chi addebita agli Usa un’influenza eccessiva, Fasanella ricorda che quando l’Italia perse la seconda guerra mondiale, tra Gran Bretagna e Stati Uniti ci fu una divergenza piuttosto conflittuale : per gli Stati Uniti noi eravamo un paese cobelligerante, cioè che si era autoliberato dal nazifascismo combattendo al fianco degli alleati. Per la Gran Bretagna invece noi eravamo un paese sconfitto tout-court. Quindi un paese soggetto ai vincoli imposti alle nazioni sconfitte. Un elemento di non poco conto, che avrebbe determinato il corso degli eventi della storia successiva, praticamente fino ai giorni nostri. Al tavolo della pace, quando le grandi potenze vincitrici cominciarono a spartirsi il mondo in aree di influenza, all’interno del campo atlantico la Gran Bretagna pretese e ottenne, dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica, una sorta di diritto di supervisione sull’Italia. Quindi l’Italia, dalla seconda guerra mondiale in poi, è paese che appartiene all’area di influenza britannica. Il giornalista d’inchiesta si spinge nel delicato campo su come l’influenza si sia esplicata in Italia. Autore di documentari sulla scoperta del petrolio in Basilicata, sulla formazione del gruppo brigatista rosso di Reggio Emilia, sull’ascesa e caduta di Silvio Berlusconi e sul coinvolgimento dei servizi segreti inglesi nelle questioni italiane, Fasanella sostiene la tesi che politici autonomi, cioè uomini che pur nel contesto di un’alleanza internazionale, l’alleanza atlantica, si muovevano con una propria visione sulla base di un proprio interesse nazionale a crescere, riprendersi, ricostruire le proprie istituzioni, il proprio sistema economico ma avevano bisogno di materie prime ossigeno per ogni sistema, e cioè il petrolio e l’energia. “Questo sarebbe stato all’origine di un conflitto con la Gran Bretagna che dura ancora oggi”.

Raffaella Vitulano


La Corona sarà “il più grande beneficiario dell’Agenda Verde del Regno Unito” 

La Corona Britannica è il più grande proprietario di immobili al mondo, con un patrimonio di 6,6 miliardi di acri in Australia, Nuova Zelanda, Irlanda del Nord, Canada, Gran Bretagna e Isole Falkland. La Corona controlla inoltre quasi l’intero fondale marino (e metà della costa) del Regno Unito e tutte le aziende che desiderano costruire parchi eolici offshore nell’ambito del Green New Deal sono costrette ad affittare i fondali dal Crown Estate. Ecco spiegato l’interesse di Carlo III per l’ambiente. Secondo Byline Times, la Corona diventerà “il più grande beneficiario dell’Agenda Verde del Regno Unito,” che ha recentemente presentato un piano in 10 punti per una “rivoluzio ne verde” e la completa decarbonizzazione entro il 2050. Lo stesso Principe Carlo ha sempre dimostrato di non vedere la Corona come un’entità simbolica, infatti, nel 2013, era stato accusato di “lobbi smo incontinente” quando erano state rese pubbliche, dopo un’intensa battaglia legale per mantenerle segrete, decine di lettere personali (nome in codice “I memo del ragno nero“) indirizzate a parlamentari e al Primo Ministro.

Ra.Vi.

In atto una “tranquilla rivoluzione costituzionale” 

Ormai quasi 9 anni fa, il 13 novembre 2013, il Guardian pubblicò le dichiarazioni del biografo ufficiale di Carlo (allora 65enne), Jonathan Dimbleby, il quale sosteneva che, con la successione di Carlo alla Corona, le cose sarebbero diventate molto più pratiche e che “è in atto una tranquilla rivoluzione costituzionale.”E la spiegava con chiarezza: “E’qui che sta la rivoluzione silenziosa. Prevedo che andrà ben oltre ciò che qualsiasi precedente monarca costituzionale ha mai affermato. Il suo linguaggio sarà più circospetto di quanto non sia stato finora e si opporrà meno spesso, ma dubito che si ritrarrà dall'utilizzare piattaforme appropriate per affrontare questioni di attualità. Sebbene si assicurerà di non essere accusato di schierarsi, non eviterà questioni controverse o controverse”. La Gran Bretagna è sprofondata in 10 giorni di lutto. Dopo un susseguirsi di crisi - Brexit, Covid- 19, partygate, quattro primi ministri in sei anni - ora uno degli ultimi simboli di stabilità è scomparso con la morte della regina Elisabetta II. Il Paese sta vivendo tempi di grandi cambiamenti. Prepariamoci a nuove sorprese.

Ra.Vi.

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