Smart city, una logica troppo distante dal cittadino


Entro il 2050, quasi il 70% della popolazione mondiale vivrà in città, aumentando le dimensioni della popolazione urbana da 2,5 miliardi di persone. Nello stesso periodo, si prevede che la domanda di viaggi urbani raddoppierà. Calcoli di scienziati prevedono l’aggiunta di 4,6 miliardi tonnellate di anidride carbonica nell’atmo sfera ogni anno entro la metà del secolo. Un tale scenario è in contrasto sia con l’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici sia con una visione delle città come sane e sostenibili. Certo, guardando oggi la situazione nelle nostre città (in particolare la capitale) diremmo che siamo ancora lontani da obiettivi credibili di sostenibilità. Nel marzo 2023, il World Economic Forum ha indicato una nuova rotta con la Global New Mobility Coalition (Gnmc) per consentire alle città di eseguire benchmark e accelerare i loro progressi su sostenibilità, inclusività, urbanistica e mobilità. Lo strumento consente alle città di valutare la loro performance rispetto a tre pilastri fondamentali della mobilità urbana: Governance, Resilienza e Connettività. Il Gnmc, nella solita logica pubblico-privato sostenuta dal Wef, fa lavorare a stretto contatto settore pubblico e privato; città amministrazioni e società civile sulle azioni da realizzare. Ma non tutte le idee arrivano da Davos. Il fenomeno “Smart Cities” o città intelligenti, ovvero, com’è stato definito in Triennale lo scorso maggio maggio, il “pro getto” di “rivoluzione urbana, ecologica e globale” che vorrebbe determinare la città e la comunità cittadina di domani, è affare decisamente complesso. Inizialmente finita sotto ai riflettori della controinformazione e della cosiddetta “area del dissenso” nella sua forma particolare dei “15 minuti”, in seguito a quanto accaduto ad Oxford con l’introduzione sistematica di ampie Ztl, ad una analisi attenta la questione si dimostra più articolata. Non esiste una definizione univoca per descrivere la Smart city, città intelligente. Non più solo città connessa, ma anche e soprattutto città sostenibile con una forte attenzione all’inclusione sociale nei servizi pubblici dei residenti urbani. Quattro sono le caratteristiche che qualificano il progetto: l’impiego capillare di reti e tecnologie dell’informa zione e della comunicazione; lo sviluppo di una conformazione urbana che attragga gli investimenti internazionali; la “transi zione ecologica”; la ridefinizione profonda delle storiche categorie politiche di amministrazione del territorio e delle strutture di potere. Buoni intenti, molte parole, ma assolutamente complessa nella pratica. Va detto che l’idea di una “città intelligente” è presente almeno dagli anni ’60 del XX secolo Nel 1991 la Banca mondiale inizia a riferirsi alle città come ambiti di motore per lo sviluppo e non più come spazi di integrazione sociale e di riduzione delle diseguaglianze, secondo la tradizione keynesiana: le città devono generare innovazione tecnologica, far crescere il Pil e attrarre capitali. E questo non sempre significa inclusione sociale. Negli anni che vanno dal 2000 al 2010, il movimento globale per una rivoluzione urbana, tecnologica ed ecologica comincia a prendere la forma che conosciamo oggi: un gruppo di multinazionali del settore informatico identificano nelle “città contemporanee uno spazio da aggredire commercialmente”.

Nella preposta rilevanza delle Ict emerge un ulteriore elemento qualificante il progetto Smart City e forse la politica di questo secolo: non solo la centralità, l’importanza dei dati, della raccolta dati e dell’interpretazione dei dati, anche a fine di lucro, all’interno della cornice del cosiddetto “capitalismo della sorveglianza”, ma una nuova concezione delle politiche tecniche come oggettive, socialmente e politicamente neutrali. Che poi, neutrali non potranno mai essere se devono spingere per il lucro. Il nuovo paradigma viene poi sposato e promosso da numerosi think-tank, lobbies e Ong internazionali, tra cui riportiamo la Fondazione Clinton e anche quello C40 (di cui fanno parte Roma e Milano), il network di sindaci fondato nel 2005, e finanziato nel 2006 dalla stessa Fondazione Clinton, con il compito di combattere le emissioni di CO2 e di scongiurare il riscaldamento climatico. Un network influente, attivo oggi più che mai, i cui obiettivi tuttavia sono spesso suggestivi. Si pensi all’abolizione degli hamburger decretata dal sindaco di New York. E’ con queste premesse che avviene la saldatura fra la retorica tecnologica e quella ecologica, accusata di opacità in materia di privacy, tenuta democratica e conflitto di interessi. Nel 2007, l’Università di tecnologia di Vienna, insieme alle Università di Lubjana e Delft, pubblica uno studio sulle città intelligenti di medie dimensioni dove viene introdotto un ulteriore ed importante elemento, il “ran king” grazie al quale si danno le pagelle alle città su parametri che le distinguono in buone e cattive. Come a scuola. E’ proprio la logica di ranking che spinge le città, senza più finanziamenti statali, ad attrarre capitali internazionali non necessariamente utili alla popolazione che le abita. Con “Europa 2020”, “Set Plan”, l’iniziativa “Smart Cities” e soprattutto “Horizon” che nel vecchio continente iniziano a proliferare bandi, concorsi e piani di sviluppo urbano delle città intelligenti. In Italia è fatale il 2012, anno in cui, dopo l’inse diamento del governo tecnico presieduto da Mario Monti, si gettano le basi giuridiche del progetto. Ce lo chiede l’Europa, e dai che dal 2020 l’attenzione nei confronti del fenomeno Smart City e i finanziamenti stanziati sono andati costantemente aumentando. Eppure, nonostante la necessità sempre maggiore, per i promotori, di portare narrazione ed attuazione ad un sufficiente e argomentato livello di inclusione “dal basso” edipartecipazionepopolare, qualcosa non decolla. Ciò checolpisce,aldilàdelsemplicemarketing promozionale, è la più volte esplicitata necessità di favorirne l’attuazione attraverso una narrazione positiva e persuasiva che renda il progetto desiderable agli occhi del cittadino così come degli stakeholder, volta a celarne le profonde contraddizioni, a simularne la spontaneità e a camuffarne invece la natura impositiva e la premessa di inevitabilità. Per City 40 (leggete il loro sito) l’auto dovrà sparire. Con le buone o con le cattive. E anche i viaggi aerei saranno drasticamente ridotti. L’obiettivo di garantire i servizi al cittadino in una distanza spazio- temporale di 15 minuti a piedi è funzionale ad un efficientamento ecologico ma cosa ne è della libertà di circolazione? Il progetto “15 minuti” si ammanta di thriller in una ridefinizione autoritaria della vita e della proprietà personale del cittadino del futuro. Non avrete nulla e sarete felici. Venezia è stata la prima città italiana a vedere implementata una “Smart Control Room”, centrale operativa della Smart City lagunare dove confluiscono i dati raccolti dalle numerose videocamere e dai sensori posizionati in città; dati che finiscono nel datalake, un “magazzino” virtuale accessibile al Comune, alla Polizia e agli altri soggetti coinvolti nel partenariato pubblico-privato che ha dato vita al progetto. Ad allarmare è la capacità del sistema di raccogliere e di triangolare anche le informazioni provenienti dai telefoni cellulari. Nel maggio del 2021 è partita in sordina nel comune di Caorle una sperimentazione di polizia predittiva. Anche a Trento va in scena l’ap plicazione dell’intelligenza artificiale alla sicurezza urbana e l’inizio della sperimentazione italiana dell’E-Wallet, “il portafoglio digitale che consentirà di certificare la propria identità ”. La Firenze di domani sarà “elettrica, a volumi zero, green, sostenibile, resiliente, in una parola: smart”. La polizia vara l’uso dei droni per il controllo del territorio. A Codogno, cittadina che ricorderete per il primo caso Covid, è stata introdotta EcoAttivi, l’app “che certificherà i comportamenti virtuosi ”. Un sistema di credito sociale che, oltre a Codogno, vede le prime applicazioni in più di cento città italiane. Roma diventerà “la più grande Ztl d’Italia” nonostante i passi indietro della giunta dopo le proteste inferocite degli automobilisti. Un progetto che non riguarda solo l’adozione di criteri atti al perseguimento degli obiettivi di riduzione dell’impatto ambientale, ma che mira a rivoluzionare, su più livelli, la conformazione urbana, l’economia e anche gli spazi, i ritmi e le scelte di vita di tutti gli abitanti. Il viaggio di Milano verso l’attuazione del progetto Smart City parte ufficialmente già nella primavera del 2013. Scorrendo la lista degli investitori privati troviamo Accenture, multinazionale operante nel settore della consulenza; Atm; Cisco; che ricorderete essere pioniera assieme a Ibm e Siemens dell’ambito Smart Cities; Coima, piattaforma di investimento, sviluppo e gestione di patrimoni immobiliari; Dassault Systèmes, della holding Dassault, compagnia militare aerospaziale francese; Enel; Fastweb; le stesse Ibm e Siemen;, Signify, multinazionale olandese dell'illuminazione; Tim e Assolombarda. Un vero e proprio Living Lab.


Raffaella Vitulano


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