L’Occidente è diviso in tre blocchi


Le posizioni politiche di Aleksandr Dugin (la cui figlia fu uccisa in un attentato a Mosca) considerano lo scontro tra Ucraina e Russia non solo come una “guerra fratricida”, ma anche come la proiezione militare di una guerra ideologica che si estende ben oltre i confini, una guerra globale tra democrazie liberali, ora in crisi, considerate ordinate dall’idea di uno stato universale e portatrici di decadenza, e democrazie illiberali ordinate dall’idea della continuità storica dei popoli desiderosi di mantenere la propria socialità e sovranità. In un’intervista a Maxime Le Nagard, Alain de Benoist - scrittore, filosofo e giornalista - taglia corto sui media francesi: “L’eurasiatismo di Dugin - che de Benoist conosce da oltre trent’anni - è incompatibile con il nazionalismo”. Questa corrente di pensiero emerse negli anni ’20, sia nei circoli degli emigrati russi (i “Russi Bianchi”) che nella giovane Unione Sovietica, nell’ambito della disputa tra slavofili e occidentalisti (Zapadniki), che aveva già diviso le élite russe negli anni ’40 dell’Ottocento. Gli eurasiatici condividevano l’idea degli slavofili secondo cui la Russia e l’Occidente costituissero mondi completamente diversi ma propugnanassero la presenza preponderante nella cultura europea continentale dei valori spirituali e culturali del mondo asiatico. Il principale contributo di Dugin a questa scuola di pensiero risiede nell’importanza che attribuisce alla geopolitica e al fatto che la religiosità deve basarsi sulla fede, non sulla ragione. Chiunque riesca a controllare il cuore dell’Europa, riteneva anche il geopolitico inglese Halford Mackinder, controlla il mondo. Fu con questa convinzione che lo stesso Zbigniew Brzezinski, ne La grande scacchiera (1997), scrisse che “l’Ameri ca deve assolutamente impadronirsi dell’Ucraina, perché l’Ucraina è il fulcro del potere russo in Europa. Una volta separata l’Ucraina dalla Russia, la Russia non sarà più una minaccia”. “Quando i giornalisti, la cui conoscenza della filosofia politica e della storia delle idee - è la critica di Alain de Benoist - è praticamente inesistente, si trovano di fronte a un fenomeno di cui non capiscono nulla, si limitano a blaterare sulla vulgata prevalente e a recitare mantra. “Estrema destra”, una parola di gomma, è il coltellino svizzero preferito da queste menti pigre. Non ci insegna nulla su Aleksandr Dugin, ma rivela molto su chi li usa. Altro che cervello di Putin: “Se si considera che Dugin e Putin non si sono mai incontrati di persona, si può comprendere la serietà di chi usa questa espressione. La realtà è più prosaica”. Il libro che ha scritto su Putin qualche anno fa è ben lungi dall’essere un esercizio di ammirazione: Dugin spiega sia ciò che approva in Putin sia ciò che non gli piace. Ma è chiaro che chi in Francia si scaglia contro di lui non ha mai letto una riga di lui”. Di Dugin oggi riportiamo la sua analisi della situazione geopolitica mondiale, che vede contrapposti tre fronti, in particolare riguardo al Grande Israele, in un quadro ben delineato: i globalisti di sinistra, le reti di Soros e il Partito Democratico statunitense sono pro-Palestina e anti-Netanyahu. L’altro polo che conta l’Aipac (American Israel Political Affairs Committee, un’influentelobby filo- israeliana), i neoconservatori, i sionisti di destra, parte del movimento Maga e, soprattutto, lo stesso Trump - è critico nei confronti dell’Islam per la sua espansione culturale e della Cina per la sua incredibile crescita economica e tecnologica. Il terzo polo che si sta sollevandocontemporaneamente contro George Soros e Netanyahu vede invece la maggior parte dei sostenitori del Maga negli Stati Uniti, che pur non essendo a favore della Palestina, è contraria alla lobby israeliana negli Stati Uniti. Così come la maggior parte dei populisti di destra in Europa. Questa è la posizione sostenuta dalla popolazione occidentale in generale. Ma le élite hanno scelto una strada diversa. Per Dugin c’è un’evidente contraddizione: ai vertici della vita politica, anche tenendo conto dell’opposizione populista di destra, c’è uno scontro tra le reti di Soros e la lobby filo-israeliana. Tra la popolazione, tuttavia, c’è la ferma convinzione che entrambe siano inaccettabili. Emerge quindi una chiara incoerenza e un terzo polo fino ad oggi inascoltato. “Negli Stati Uniti, questa terza posizione, opposta sia a Soros che a Netanyahu, ha raggiunto la sua massima espressione ed è difesa da figure come Tucker Carlson, Candace Owens, Steve Bannon e Alex Jones, ovvero praticamente tutti i principali ideologi del Maga. Elon Musk si oppone fermamente a Soros ed è chiaramente critico nei confronti di Netanyahu, ma cerca di non enfatizzare troppo la sua opposizione al governo israeliano. In Europa, ai rappresentanti di questa terza posizione non è consentito esprimersi. Lì, la censura liberale è al suo apice”, scrive il filosofo russo. È interessante notare che, per quanto riguarda il conflitto in Russia, si osserva la stessa divisione tra i paesi occidentali e le forze politiche. “Le reti di Soros, i globalisti, si oppongono ferocemente e aggressivamente alla Russia e sostengono totalmente Zelensky. Questa è la posizione delle élite globaliste liberali Ue: Starmer, Macron, Merz, essenzialmente le stesse forze che hanno riconosciuto la Palestina. Negli Stati Uniti è precisamente il Partito Democratico a continuare a insistere per nuove forniture di armi a Kiev, l’im posizione di nuove sanzioni alla Russia e un’escalation diretta del conflitto. Trump oscilla tra il Maga e i neoconservatori, che rappresentano quello stesso stato profondo, il cui nucleo duro sono precisamente i globalismi di sinistra”. La situazione non è semplice e va analizzata nel dettaglio. Prima di Trump, tutto era più facile. “L’Occiden te collettivo era di sinistra liberale e globalista: l’ideologia, la politica e la strategia di Soros erano, in linea di massima, comuni a tutti. Era - sentenzia de Benoist - una dittatura unanime dello stato profondo internazionale. Ora tutto è più complicato. Naturalmente, il polo globalista di sinistra e il deep state mantengono le loro posizioni. Questo stato profondo controlla praticamente l’Europa intera e ricopre posizioni importanti negli Stati Uniti. Sotto il suo controllo ci sono la Federal Reserve, Larry Fink di BlackRock (di recente diventato presidente del Forum di Davos, in sostituzione di un altro globalista, Klaus Schwab), la maggior parte dei magnati della Silicon Valley e dei finanzieri di Wall Street. Le sue posizioni nella Cia e nell’Fbi sono estremamente forti”. L’Occidente collettivo sarebbe dunque diviso non in due, ma in tre parti: i globalisti di sinistra (Soros, l’Ue, il Partito Democratico); l’influen te lobby sionista (che controlla in parte il populismo di destra); i movimenti come Maga, critici sia nei confronti dei globalisti che dei sionisti. Per Dugin il nuovo ordine mondiale multipolare non è scolpito nella pietra ed è improbabile che venga accettato pacificamente, ma è destinato a prendere forma attraverso un conflitto intensificato, ricordando come i cambiamenti storici siano decisi dall’imprevedibile svolgimento della guerra. Il suo è un contributo relativamente inedito su cui ragionare. Tenendo conto della complessità del momento, magari i talk serali sarebbero un po’ meno banali.

l filosofo Alain de Benoist fa una constatazione lucida sulla dipendenza strategica dell’Ue e sull’incapacità dei leader europei di comprendere la logica del potere che guida ormai le relazioni internazionali. Alain de Benoist ha uno sguardo acuto sull’accelerazione della storia e sulle sue implicazioni per le nazioni europee. La storia accelera all’improvviso. Questo è il punto in cui l’attualità quotidiana prende le sembianze della distopia. La guerra in Ucraina è stata, fin dall’inizio, una guerra per procura. La Russia e la Nato erano i veri belligeranti. Si capisce allo stesso tempo che non è solo l’Ucraina che ha perso. Emmanuel Todd l’aveva giustamente annunciato: “Il compito di Trump sarà quello di gestire la sconfitta americana contro i russi”. Secondo i media, Trump ora parla con la stessa voce di Vladimir Putin, ma “è fumo. I due uomini sono dapprima troppo diversi: Putin è un giocatore di scacchi, Donald Trump si limita al golf e al Monopoli. E soprattutto i loro interessi geopolitici sono opposti. Ciò che è vero, invece, è che Trump pensa che una normalizzazione con la Russia di Putin sarà più vantaggiosa per l’America di quanto lo sia per l’Alleanza atlantica”. Sul riarmo dell’Europa, de Benoist sostiene che “gli europei sono incorreggibili. Non hanno visto arrivare la marea populista, hanno scommesso sull’elezione di Kamala Harris, si sono riposati per decenni sull’ombrello americano invece di assumersi le loro responsabilità. Non capiscono cosa stia succedendo. Di fronte all’ampiezza del baratro che si è aperto tra le due sponde dell’Atlanti co, non riescono a crederci. Stanchi come conigli nei fari, piangono lo smantellamento della Nato, un’organizzazio ne che Macron aveva affermato nel 2019 essere già in uno stato di morte cerebrale”. Ma niente serve da lezione. Dopo averci ripetuto per più di mezzo secolo che l’“Europa è la pace”, vogliono continuare la guerra, a rischio di essere considerati belligeranti a pieno titolo. “Poiché non imparano mai dai loro errori, sono pronti a rimettere il dito in un nuovo ingranaggio. Una fuga in avanti in una corsa bellicista totalmente delirante che dimostra che gli europei non hanno ancora capito nulla del nuovo ordine mondiale, del nuovo nomos della Terra, che si sta mettendo in piedi davanti ai loro occhi. Erano saliti su una barca ubriaca, ora vogliono imbarcarsi su una cometa morta”.


Raffaella Vitulano


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