Qatar, Michel Claise come Hercule Poirot


Per capire bene cosa abbia in comune con Hercule Poirot bisognerebbe comprendere che è uno che non molla mai. Pensiamo a Monsieur Hercule Poirot: investigatore, ideato dalla scrittrice Agatha Christie e protagonista di una lunga serie di racconti e romanzi gialli. Un uomo dotato di straordinaria calma, riflessione e precisione. L’a spetto comico, quasi ridicolo, cela il suo modo di essere vigile, attento. Poirot è arrogante, pomposo, pignolo fino al grottesco; talmente iconico da essere il primo personaggio immaginario a cui il New York Times ha dedicato un necrologio. E poi analizziamo lui, il magistrato investigativo belga Michel Claise: una cosa che i parlamentari europei dovrebbero sapere sull’uomo che guida le accuse di traffico di denaro e influenza del Qatar nel cuore dell’Ue: non si fermerà. Come personaggi dei thriller polizieschi che lui stesso scrive, potrebbero restare impressi su pagine di libri. Il ruolo di Claise è simile a quello di un pubblico ministero statunitense. Oggi tutti parlano e scrivono di Bruxelles alle prese con lo scandalo della corruzione. Ma che di marcio ci sia solo qualche frutto o un intero barile ce lo dirà solo lui. Alcuni funzionari europei sono fermamente convinti che l'indagine sulla corruzione del Qatar riguardi “pochi individui”. Altri dicono che il marciume è molto più profondo. Ci penserà il funzionario belga a scoprire la corruzione al centro della democrazia europea. “La giustizia belga sta facendo ciò che a prima vista il Parlamento europeo non ha fatto”, ha detto ai giornalisti il primo ministro del paese Alexander De Croo nei suoi primi commenti sullo scandalo. Il novello Poirot in carne ed ossa si lamenta che la polizia belga abbia risorse insufficienti, combattendo una guerra contro la moderna corruzione ad alta tecnologia usando “catapulte”. A inizio anno aveva detto che il governo belga si concentrava “sullo Xanax piuttosto che sul Viagra”. E’ così che ha scoperto a sonnecchiare il Parlamento sul posto di lavoro. Negli infiniti corridoi del Palazzo di Giustizia di Bruxelles, Claise è conosciuto come “Lo Sceriffo” per la sua incessante ricerca dei suoi obiettivi. “Bingo!” disse dopo un raid riuscito su un altro caso. Lui si diverte nel suo lavoro. È questa “esuberanza” che distingue Claise, ha affermato John Crombez, segretario di Stato belga per la lotta alle frodi tra il 2011 e il 2014. Come Poirot, “molti altri in questo campo sono silenziosi e modesti, lui no” racconta Crombez. “È fantastico. Si limita a ballare il valzer su tutto, e tutto viene fuori da preoccupazioni sociali profondamente radicate. Questo è ciò che lo rende così eccezionale”. I suoi giovani genitori lo avevano abbandonato da bambino in un cestino nella panetteria dei nonni nel sobborgo di Anderlecht a Bruxelles, raccontò a Le Soir nel 2020.È cresciuto tagliando il pane prima di andare a scuola e cercando di leggere più libri che poteva. Suo padre non ha mai voluto far parte della sua vita e il suo rapporto con sua madre, che ora è morta, è stato “estremamente duro”.

Il belga Claise cita oggi i valori umanisti rivoluzionari francesi come suoi principi guida. Per lui, la criminalità finanziaria ha distrutto aspetti fondamentali della società: “La criminalità dei colletti bianchi è il cancro della democrazia” scrisse in uno dei suoi libri, Le Forain (The Showman). Nella libreria radical chic Filigranes, punto d’incontro dell’élite intellettuale europea, puoi trovare i romanzi di Claise sulla sua stessa lotta al crimine. Il proprietario della libreria Marc Filipson, suo amico, sostiene che tenga distinte “due parti nella sua vita: personale e professionale. Quando è qui, non ha telefono, niente”.

Un uomo assorto nei suoi pensieri, che sa astrarsi nella riflessione. E che non teme i potenti. Sarà così che nel 2019 ha costretto la banca britannica HSBC a pagare una sanzione record belga di 295 milioni di euro per evasione fiscale, riciclaggio di denaro e altri reati assortiti. Un altro soprannome di Claise è “Mr Hundred Millions”, a causa di tutti i soldi che ha recuperato per lo stato. Mentre la polizia belga lancia nuove ondate di irruzioni nel Parlamento europeo, un’élite sbalordita di Bruxelles s’interroga sull’inda gine sulla corruzione in Qatar: quanto è profondo il marciume? In Parlamento, la scarsa supervisione delle attività finanziarie dei membri e il fatto che gli Stati siano stati in grado di contattarli senza mai registrare gli incontri in un registro pubblico equivale a una ricetta per la corruzione. Come le porte girevoli di alti funzionari che si dirigono a servire interessi privati dopo un periodo alla Commissione europea o al Consiglio. Qualcuno invoca l’esempio della Commissione Jacques Santer, che si dimise in massa nel 1998, come prova che nessuna istituzione europea è immune da influenze illegali. “I tribunali stabiliranno chi è il colpevole, ma quel che è certo è che non è solo il Qatar, e non sono solo le persone che sono state nominate ad essere coinvolte” in operazioni di influenza straniera, sostiene Raphaël Glucksmann, deputato francese dei Socialisti e Democratici, che dirige una commissione contro le interferenze straniere in Parlamento. Michiel van Hulten, ex legislatore che ora dirige l’ufficio Ue di Transparency International, ha affermato che mentre i casi eclatanti di corruzione che coinvolgono sacchi di denaro erano rari, “è molto probabile che ci siano nomi in questo scandalo di cui non abbiamo ancora sentito parlare”. “Se il Parlamento vuole uscirne, dovremo colpire duramente e intraprendere riforme molto profonde”, ha aggiunto Glucksmann, che ha chiesto l’isti tuzione di una commissione investigativa ad hoc in Parlamento. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che oggi è sotto accusa per la sua gestione degli accordi di vaccinazione Covid-19 con Pfizer, ha rifiutato di rispondere alle domande sulle relazioni della sua vicepresidente Margaritis Schinas con il Qatar durante una conferenza stampa, scatenando la furia della stampa di Bruxelles. Le regole sulle attività di lobbying da parte di attori statali e la divisione su come affrontare la corruzione mostra come, anche di fronte a quello che sembra essere un eclatante esempio di corruzione, i membri del sistema di Bruxelles, molti dei quali godono dell’immunità legale come parte dei loro posti di lavoro, cercano di proteggersi dal controllo che potrebbe minacciare le entrate o far deragliare le carriere. Visto da quest’ottica, lo scandalo sembrava per certi versi prevedibile, nonostante la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen avesse promesso che la trasparenza sarebbe stata una parte fondamentale del suo mandato quando assunse la carica nel 2019. Le indagini di Poirot e del suo amico Claise vanno avanti da quattro mesi. A lui poco importano le parole di Nelson Mandela secondo cui “lo sport può cambiare il mondo”. O meglio, potrebbe cambiarlo radicalmente. E solo lui, al momento, sa come.

Raffaella Vitulano



L’ombra pesante del lobbismo sulla trasparenza delle istituzioni 

Con il Qatargate, si pongono inevitabilmente interrogativi sul quadro normativo di trasparenza ed etica che dovrebbe schermarne l’autorità creando chiare linee di demarcazione dal modo in cui opera e influenza il lobbismo. Membri della Commissione Ue, come José Manuel Barroso e Nellie Cross, membri del Parlamento europeo come Sharon Bowles e Holger Kramer, e importanti capi di gabinetto e consiglieri furono collegati a controversi casi di lobbying durante o subito dopo il loro mandato (con un limite minimo di 18 mesi oltre il quale un funzionario può lavorare nuovamente nel settore privato). Il Parlamento europeo è target ideale per i circa 12.453 lobbisti che, secondo l’elenco ufficiale del Registro Ue per la Trasparenza, sono ufficialmente attivi nei suoi corridoi, gestendo un budget che raggiunge 1,8 miliardi di euro. Circa la metà di loro sono considerati lobbisti interni, che lavorano per conto di aziende o gruppi, o che rappresentano associazioni di categoria o professionali. Circa 3.400 lobbisti rappresentano ong.

Ra.Vi.

Il registro comune obbligatorio presenta ancora molte lacune 

Circa due anni fa fu registrato come un successo - dopo dure trattative tra il Parlamento europeo, la Commissione e il Consiglio europeo - l’accordo per creare un registro comune obbligatorio dei lobbisti e dei loro dipendenti. Tuttavia, il concetto di “obbligato rietà” presentava e presenta ancora lacune. Non vi è infatti alcun chiaro impegno da parte di tutte le istituzioni ad accettare solo incontri con lobbisti registrati e a pubblicare tali incontri anche nella banca dati del registro. Sono inoltre escluse dall’iscrizione all’albo le attività di lobbying di soggetti terzi, di funzionari di paesi terzi e di ambasciate. Tuttavia, se un paese ha assunto un consulente dell’Ue, in qualità di rappresentante o lobbista, tale persona dovrebbe essere registrata. Parte del problema nasce dal fatto che il quadro esistente non vieta a un deputato europeo di avere un altro lavoro. Più di un terzo dei membri della Camera, vale a dire il 27% degli eurodeputati di tutti gli eurogruppi, dichiara redditi anche da un’altra fonte, secondo un rapporto di Transparency International. E fino a 39 eurodeputati dichiarano un reddito superiore a 100.000 euro all’anno da attività collaterali. Cifra dichiarata da loro e non necessariamente soggetta a controllo istituzionale.

Ra.Vi.

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