La sottile linea rossa tra cambiamenti climatici e controllo del clima
Emergenze climatiche ed energetiche? C’è chi proprio non ci dorme la notte, al punto da progettare un cavo sottomarino lungo 3.500 km srotolato sul fondo dell’Atlantico per ‘proteggere’ l’energia elettrica tra i Paesi Nato del blocco nordamericano ed europeo. Un progetto energetico che, secondo nuove indiscrezioni della testata Irish Indipendent, intende posare un cavo elettrico sottomarino tra Stati Uniti ed Europa ed è guidato dall’Irlanda, nonostante sia un Paese neutrale che non fa parte della Nato. Il suo nome è “Nor th Atlantic Transmission One Link”, abbreviato in Nato-L, potrebbe costare tra i 20 e i 40 miliardi di euro e potrebbero volerci 15 anni prima della sua realizzazione. Clima e guerre sembrano sempre più interconnessi. Un articolo di Leo Hohmann la butta giù dura: “C’è il cambiamento climatico e c’è il controllo del clima. Il primo è una falsificazione, ma il secondo è una cosa molto reale”. Già nove anni fa Cbs News aveva riferito che gli scienziati finanziati dal governo erano in grado di controllare il clima. E Cbs News non è certo una testata complottista, eppure ha anche suggerito in un servizio che il governo degli Stati Uniti ha usato la tecnologia di modificazione del tempo contro i nemici in Vietnam, decenni fa. “Penso che possiamo aspettarci di vedere più controllo del clima che viene spacciato per cambiamento climatico”. Una possibile conferma proverrebbe da un documento ufficiale del 2012, “Trends and Implications of Climate Change for National and International Security” del Defence Science Board (struttura in relazione con il Ministero della difesa Usa) nonché dal documento della Cia (Central Intelligence Agency) “Usare il tempo come arma: progetto Atmos” desecretato il 25/5/2000 ma pubblicato il 17/11/2016 con il permesso dell’Istituto Navale degli Stati Uniti, il Naval Institute, che ha il copyright del materiale. Un’im magine sorprendente del tempo atmosferico come arma da guerra è offerta dal Vice-Ammiraglio William F. Raborn, vice-capo delle operazioni navali responsabile della ricerca e dello sviluppo: “Le possibilità per l’impiego militare dell’”arma meteorologica” possono essere tanto diverse quanto numerose (...). Un’abi lità nel controllare il tempo atmosferico potrebbe introdurre cambiamenti più grandi nella guerra rispetto a quelli che si sono verificati nel 1915 con l’esplosione delle prime armi nucleari. “Le operazioni terrestri, marittime, aeree e anfibie potrebbero essere supportate dalla produzione di pioggia, ad esempio. Lavorando con la ionosfera e l’atmosfe ra simultaneamente, si potrebbero generare effetti magnetici, acustici e di pressione, in modo tale da spazzare le mine in tutto l’oceano. La creazione o la dissipazione di condotti di temperatura/ umidità atmosferica potrebbe modificare l’indice di rifrazione dell’atmosfera in modo tale da influenzare la trasmissione radar o radio. Le tempeste ionosferiche indotte artificialmente potrebbero produrre un blackout delle comunicazioni. Alcune onde elettromagnetiche non sono in grado di attraversare un’area di precipitazione. Un generatore di nubi potrebbe essere impiegato, in condizioni meteorologiche appropriate, per produrre precipitazioni che interferirebbero con il funzionamento di dispositivi o veicoli radioguidati o controllati a distanza. Abbiamo già fatto i primi passi per sviluppare una capacità di guerra ambientale. Stiamo utilizzando i dati meteorologici satellitari di Tiros II per le operazioni tattiche in corso e in più, per elaborare previsioni meteorologiche a lungo raggio”.
Nel 1960 la Cia scrisse già un Memorandum con il titolo “Clima te control”firmato dal Generale Charles P. Cabell (cacciato da J.F.Kennedy per motivinon conosciuti). Il Guardian aveva pubblicato la notizia nel 2015, ripresa in qualche modo da alcuni giornali. Alan Robock, climatologo presso la Rutgers University nel New Jersey, si era chiesto se la Cia volesse usare la geoingegneria, che comprende la manipolazione della meteorologia, perscopi militari e aveva lanciato l’allarme: “Ho paura che la Cia o altre agenzie possano usare la geoingegneria per scopi militari”. Nel 2015 la
National Academy of Sciences pubblicò un rapporto in due volumi costato 600 mila dollari - in parte finanziato dai servizi di intelligence statunitensi - sui diversi approcci per affrontare il cambiamento climatico. E questo ha preoccupato Robock, dato che né la Cia né le altre agenzie hanno spiegato completamente il loro interesse per quello studio. La Cia aveva già istituito il Centro sui cambiamenti climatici e la sicurezza nazionale nel 2009, chiuso poi nel 2012. Armare il tempo non sembra tuttavia una novità. I documenti del governo del Regno Unito hanno mostrato che, 99 anni fa, una delle sei prove presso la stazione militare sperimentale di Orford Ness nel Suffolk ha cercato di produrre nuvole artificiali, che, si sperava, avrebbero ingannato le macchine volanti tedesche durante la prima guerra mondiale. Conclude l’articolo originale sul Guardian: “Gli scienziati del clima respingono queste teorie. E le prove, come la lunga lista di brevetti per strumenti che alterano il clima, tendono a dimostrare la portata sconfinata dell’imma ginazione umana piuttosto che la portata più limitata della tecnologia operativa”. Secondo un rapporto della Cia, il mondo potrebbe trovarsi nella morsa di un conflitto armato globale a causa del cambiamento climatico globale nei prossimi decenni. “Gli impatti fisici crescenti del cambiamento climatico potrebbero intensificare i punti caldi geopolitici transfrontalieri nel momento in cui gli stati agiscono per difendere i loro interessi”, dice un documento citato da Observateur Continental, secondo i cui autori entro il 2040, inizieranno degli “scontri climatici” in tutto il mondo, in cui le parti useranno le tecnologie che accrescono reciprocamente i disastri naturali come la siccità e le inondazioni. Si tratta innanzitutto di tecnologie di geoingegneria. Il rapporto elenca 11 paesi che saranno più colpiti dalle conseguenze negative del cambiamento climatico globale. Secondo gli analisti, questi stati potrebbero intraprendere misure estreme per sopravvivere. Si tratta di Cina, India e Pakistan, dotati di armi nucleari. La lista delle minacce della CIS include anche l’Afghanistan, Myanmar, la Corea del Nord, l’Iraq, i paesi dell’America centrale e meridionale. “La maggior parte dei paesi si troverà di fronte a delle scelte economiche difficili e probabilmente si affiderà a una svolta tecnologica per ridurre rapidamente le proprie emissioni in seguito. La Cina e l’India giocheranno un ruolo decisivo nel determinare la traiettoria dell’aumento della temperatura”, dice il documento, i cui autori parlano inoltre di un rischio di conflitti interni nei paesi emergenti a causa delle conseguenze del cambiamento climatico, poiché questi stati sono meno capaci di adattarsi alle nuove condizioni. E’ il generale Fabio Mini a confermare tale ipotesi: “Qualsiasi teoria del complotto prima o poi si rivela fondata e se fino a ieri la realtà superava qualsiasi immaginazione oggi l’immaginazione crea la realtà (...). La statistica della malafede, dei pretesti, delle strumentalizzazioni e delle manipolazioni inutili e perfino strategicamente dannose è ricchissima nel campo della guerra che sfrutta, ferisce e tenta di possedere l’ambiente naturale e pone sotto accusa proprio chi oggi sostiene di avere un ruolo guida nella sua preservazione. Ed è tutto documentato e documentabile”.
Peter Koenig, analista geopolitico ed ex economista senior della Banca Mondiale e dell’Organiz zazione Mondiale della Sanità (Oms), dove ha lavorato per oltre 30 anni in tutto il mondo, taglia corto: “Instabilità climatica è un termine soft per indicare la geoingegneria climatica, la modificazione del tempo, estesa all’u so di armi meteorologiche. Armare il tempo e il clima rende superflua la guerra nucleare”.
La guerra ambientale è oggi definita come “l’intenziona le modificazione di un sistema ecologico naturale (come il clima, i fenomeni meteorologici, gli equilibri dell’atmosfera, della ionosfera, della magnetosfera, le piattaforme tettoniche eccetera) allo scopo di causare distruzioni fisiche, economiche e psico-sociali nei riguardi di un determinato obiettivo geofisico o una particolare popolazione”. La guerra ambientale, in qualunque forma, è proibita - ricorda il generale Fabio Mini - dalle leggi internazionali. Le Nazioni Unite fin dal 1977 hanno approvato la convenzione contro le modificazioni ambientali che rende ingiustificabile qualsiasi guerra proprio per i suoi effetti sull’ambiente. Ma come succede a molte convenzioni, quella del 1977 è stata ignorata ed ha anzi accelerato la ricerca e l’applicazione. Se prima di quella data l’uso delle devastazioni ambientali in tempo di guerra era chiaro, se le modifiche ambientali anche gravissime erano codificate e persino elevate al rango di sviluppo strategico o di progresso tecnologico, oggi non si sa più dove si diriga la ricerca e come si orientino le nuove armi. Nel 2003 il senatore Ted Kennedy, in replica ad una istanza di allentamento delle norme di salvaguardia ambientale presentata dal Pentagono e da alcune lobby industriali, dichiarò che “il governo federale è il più grande inquinatore dell’America e il dipartimento della Difesa è il più colpevole tra gli organismi federali. Secondo l’Agenzia della protezione ambientale (Epa), gli ordigni inesplosi infestano 16 mila poligoni in tutta l’America e più della metà di essi possono contenere aggressivi chimici e biologici. In totale il Pentagono è responsabile di oltre 21 mila siti potenzialmente contaminati. Sempre secondol‘Epa, l’apparato militare può aver avvelenato circa 40 milioni di ettari di territorio americano. Se questo fosse stato causato da una potenza straniera sarebbe considerato un atto di guerra”. Prima di Kennedy, il dottor Bob Feldon del Dollar and Sense Institute era stato perfino più preciso: “Il dipartimento della Difesa statunitense è in realtà il più massiccio inquinatore del mondo. Ogni anno produce più rifiuti pericolosi delle cinque maggiori compagnie chimiche messe assieme”. Ma prima ancora dei due, nel 1997, era stato proprio un militare, l’ammiraglio Eugene Carroll, a lanciare i primi strali sull’inquinamento militare.
Raffaella Vitulano
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