Servono limiti alla crescita. Bruxelles evoca il rapporto del Club di Roma


La crescita economica eterna del pianeta non è possibile. Occorre tirare il freno a mano e rivedere il nostro modello di sviluppo economico, preparandoci a sacrifici. E’ il senso dell’inter vento della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, alla conferenza Beyond Growth al Parlamento europeo, sede in cui lei stessa ha invocato il rapporto “Limits to Growth” pubblicato dal Club di Roma nel 1972. Il nostro modello di sviluppo economico è incompatibile con i confini del nostro ecosistema planetario, nella misura in cui vogliamo mantenerlo vitale per l’uma nità. Questa è del resto la premessa del Green Deal europeo (Egd), di cui però spesso si parla senza individuarne criticità. Von der Leyen ha criticato anche il modo in cui tale crescita viene comunemente misurata: “Sappiamo che il futuro dei nostri figli non dipende solo dagli indicatori del pil, ma anche dalle fondamenta del mondo che costruiamo per loro. La crescita economica non è fine a se stessa”. E ha così sostenuto che allontanarsi dalla crescita del pil come motore dominante della politica economica è “l’unica strada da percorrere per un futuro prospero e sostenibile”. Gli indicatori economici che misurano la crescita, come per l’appunto il pil, non considerano i costi della produzione in termini di inquinamento della biosfera, o in termini delle spese dovute a malattie come lo stress o l’an sia che gravano sui sistemi di sanità nazionali. I fautori dell’uso del prodotto interno lordo come misura adeguata del benessere economico sottolineano il fatto che il pil pro capite è spesso ampiamente correlato con altre misure del progresso umano come la salute e l’aspettativa di vita. Bruxelles però si prepara all’ennesima giravolta anche se, per ora, non si allontana dal pil come cifra guida. Lo ha reso evidente la previsione economica di primavera della Commissione che, in una coincidenza temporale, è stata presentata solo circa un’ora dopo il discorso di von der Leyen. Durante la presentazione, il commissario all’E conomia Paolo Gentiloni non ha presentato indicatori ambientali, concentrandosi invece sui dati del pil e dell’inflazione e affermando che la Commissione intendeva attribuire un ruolo più forte nelle sue raccomandazioni e politiche“non solo alla dimensione ambientale, ma anche alla dimensione sociale” . E del resto, uno degli economisti dello staff di John F. Kennedy, Arthur Okun, aveva teorizzato che per ogni aumento di 3 punti del pil, la disoccupazione sarebbe diminuita di un punto percentuale, uno dei motivi per cui le campagne presidenziali ancora oggi puntano su questa misura. Ma per capire meglio dove vuole andare a parare la von del Leyen torniamo al1972, quando un team del Mit pubblicò The Limits to Growth, un rapportoche mediante una simulazione al computer ha scoperto una cosa anche banale: su un pianeta di risorse limitate, la crescita esponenziale infinita(neppure della popolazione) non è sostenibile. Alla fine, le risorse nonrinnovabili, come il petrolio, si esaurirebbero. Ricordiamo che Aurelio Peccei, all’epoca manager di Fiat e tra i fondatori del Club, era amico di Henry Kissinger e come lui fautore della modellistica predittiva. Nell’estate del 1970 i ricercatori del Massachusetts Institute of Technology esaminarono i cinque fattori fondamentali che determinano e, secondo loro, limitano la crescita su questo pianeta: aumento della popolazione, produzione agricola, esaurimento delle risorse non rinnovabili, produzione industriale e generazione di inquinamento. Il team del Mit ha inserito i dati su questi cinque fattori in un modello computerizzato globale e poi ha testato il comportamento del modello in base a diverse serie di ipotesi per determinare modelli alternativi per il futuro dell’umanità. The Limits to Growth è il resoconto delle loro scoperte e il Green Deal europeo (diventare il primo continente a impatto climatico zero) segue lo spirito di questo dossier, fredda e oggettiva opera di scienza di una manciata di uomini riuniti nel Club di Roma, con il quale la critica al consumismo illimitato della società industriale, già teorizzata a fine Ottocento, esce dal campo della speculazione astratta per approdare ad un livello di analisi quantitativo.

Le posizioni critiche

Le posizioni critiche sul dossier aumentarono sino a mettere sotto accusa il Club di Roma di organizzare la propaganda sulla crisi ambientale e sfruttare quest’ultima per giustificare la centralizzazione del potere, la soppressione dello sviluppo industriale ed il controllo della popolazione mediante l’eugenetica. Critico soprattutto il sociologo Philippe Braillard che nel 1982 scrisse che “il preteso rigore scientifico e la decantata neutralità ideologica” del rapporto del Mit nascondevano “i veri obiettivi del Club di Roma: razionalizzare l’economia e la politica del pianeta attraverso una gestione degli interessi dell’umani tà che guardi al modello tecnocratico delle imprese multinazionali”. Il Club di Roma, per la precisione, non proponeva la decrescita, che nello stesso periodo veniva teorizzata, bensì la crescita zero per i paesi più industrializzati. Crescita zero che alla fine significherebbe che avremmo meno cose: meno persone che lavorano e producono, quindi meno marchi al supermercato, meno fast fashion e meno beni economici usa e getta. Le famiglie forse avrebbero un’auto invece di tre, prenderebbero un treno invece di un aereo durante le vacanze e il tempo libero non sarebbe pieno di viaggi di shopping ma di attività gratis con i tuoi cari. In pratica, ciò richiederebbe anche un aumento dei servizi pubblici gratuiti; le persone non dovrebbero guadagnare molto se non devono spendere per l’assistenza sanitaria, l’allog gio, l’istruzione e i trasporti, e alcuni chiederebbero anche un reddito universale per compensare una settimana lavorativa più breve. In pratica, quello che oggi viene considerato il manifesto del World Economic Forum e del Cities 2030, ma che evidentemente affonda le radici in tempi anteriori e che è anche una anticipazione dello “sviluppo sostenibile” proposto nel 1987 dalla commissione Brundtland promossa dalle Nazioni Unite. Non è un passaggio epocale di poco conto, se pensiamo che oggi la qualità generale della vita è dettata dai consumi e che finora “i lavoratori hanno prodotto molto più di quanto ricevono nei loro stipendi dai loro datori di lavoro”(Economic Policy Institute di Washington). Il fatto che Ursula von der Leyen dichiari di ispirarsi esplicitamente a questo libro per le sue politiche di transizione ecologica, vorrebbe significare che la Ue spinga per frenare i tassi della popolazione e per la crescita zero della Ue? Per ora solo presenza marginale al forum di Davos, il Club di Roma sta cercando da quasi 50 anni di convincere governi e leader aziendali sui limiti della crescita. Dopo l’in tervento della von der Leyen, potrebbe aver finalmente trovato potenti alleati.

Raffaella Vitulano


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