La “maledizione delle risorse” nei Paesi poveri


Daniel W. Drezner, professore emerito di politica internazionale alla Fletcher School of Law and Diplomacy, è convinto che il XXI secolo sarà un secolo europeo piuttosto che americano o asiatico. E questo assumendo il fatto che il mondo viva un secondo mandato Trump, che “renderebbe di nuovo grande l’Europa”. Certo, guardando ora il nostro Vecchio continente farsi sempre più vecchio ed instabile, sembra davvero difficile ipotizzare, con non poca fantasia, che possa risorgere col possibile nuovo presidente. Opionione del tutto controcorrente - pubblicata da Polìtico - in uno scenario anche di crollo del dollaro e nuclearizzazione dell’A sia. La base di partenza è che Trump mantenga ciò che ha promesso durante la campagna elettorale ai suoi donatori politici: cessare tutti gli aiuti all’Ucraina, ritirare gli Stati Uniti dalla Nato perché gli alleati non stanno rispettando gli obiettivi di spesa, implementare aumenti tariffari generalizzati, deportare gli immigrati, militarizzare il sistema di immigrazione e usare la forza militare contro i cartelli della droga in America Latina. Inoltre, imporre un sacco di tagli alle tasse aziendali. “Trump e i suoi sostenitori non hanno tutti i torti criticando l’attuale architettura economica e di sicurezza degli Stati Uniti per il mondo: i benefici percepiti di ciò che i tipi di politica estera chiamano l’ordine internazionale basato sulle regole stanno diminuendo”, premette l’analista. Il mondo “sta infatti attualmente vivendo il maggior numero di conflitti dal 1945. I paesi stanno correndo per erigere barriere al commercio e alla migrazione, limitando al contempo le libertà civili. Il mondo sta soffrendo una recessione democratica”. Le politiche economiche e di sicurezza nazionale di Trump potrebbero tuttavia portare a un mondo più multipolare. Ed è più che probabile che portino a un mondo in cui la proliferazione nucleare acceleri, soprattutto in Asia, il dollaro cessi di essere la valuta di riserva mondiale e gli Stati Uniti perdano la loro capacità di attrarre. Alla fine, ”gli americani potrebbero ritrovarsi ai margini della Pax Europa”. Durante il suo primo mandato, Trump ha spinto per un significativo taglio delle tasse e ha fatto pressione sulla Federal Reserve per mantenere bassi i tassi di interesse, il tutto mentre lanciava guerre commerciali e divieti di immigrazione. Queste politiche hanno funzionato per lo più mentre l’economia statunitense si stava ancora riprendendo dalla crisi finanziaria del 2008. Un gruppo di promesse della campagna elettorale di Trump per il 2024, ovvero l’estensione dei tagli fiscali programmati per scadere alla fine del 2025 e ulteriori tagli alle imposte sulle società, in un’e conomia già vicina alla piena occupazione potrebbe comportare un picco dell’inflazione. Allo stesso tempo, le restrizioni all’immi grazione di Trump peggiorerebbero le cose, frenando la crescita e facendo aumentare i prezzi dei beni e dei componenti importati. Trump si è a lungo irritato per l’indipendenza della Federal Reserve e potrebbe provare a sostituire Jay Powell come presidente anche prima della scadenza del suo mandato. Se non ci riuscisse, un possibile risultato sarebbe quello che Summers ha definito “la madre di tutte le stagflazioni”, poiché Powell e la Fed hanno aumentato i tassi di interesse in risposta all’impennata dell'inflazione. ““Quando il mandato di Powell terminerà a maggio 2026, non sarebbe difficile immaginare Trump nominare un leccapiedi completo, come Larry Kudlow, per quella posizione e dettare al nuovo presidente della Fed di continuare a stampare denaro e mantenere bassi i tassi di interesse. Trump potrebbe rispondere a qualsiasi malcontento inflazionistico o risposta stagflazionistica raddoppiando le sue guerre commerciali”. Tuttavia, come dimostrano molteplici studi economici sulle guerre commerciali del primo mandato di Trump, le tariffe inevitabilmente danneggiano i consumatori nazionali più dei produttori stranieri. Quindi la vittima principale del protezionismo di Trump non sarebbero i rivali dell’America, ma i consumatori americani e i partner commerciali più stretti dell’America.

Ciò significherebbe principalmente l’Unione Europea: in linea con la sua visione economica a somma zero, Trump ha sempre visto l’Ue come una minaccia economica per gli Stati Uniti. Durante il suo secondo mandato, una guerra commerciale transatlantica sarebbe probabile, e dannosa per entrambe le economie. Il risultato sarebbe una politica estera e un’economia politica degli Stati Uniti che avrebbero una sorprendente somiglianza con il periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale, quello che di solito viene chiamato il periodo tra le due guerre. I principali sostenitori di Trump valorizzano questa era nella storia americana e lo stesso Trump ha preso in prestito lo slogan 'America First' dell’epoca.

“Per chiunque abbia familiarità con il periodo tra le due guerre, la nostalgia per questo periodo storico è più che bizzarra. La politica economica estera preferita dagli Stati Uniti ha contribuito a un accumulo di squilibri macroeconomici globali che hanno contribuito a innescare il crollo del mercato azionario del 1929. L’isolazio nismo economico dietro la tariffa Smoot-Hawley del 1930 ha contribuito a trasformare la crisi finanziaria del 1929 in una Grande depressione decennale, un impatto ben noto che lo stesso Trump ha cercato di minimizzare. E, piuttosto tristemente noto, il sentimento di pacificazione degli Stati Uniti ha facilitato l’ascesa del fascismo in tutto il mondo in quella che è diventata la seconda guerra mondiale”. Senza un ulteriore aiuto militare degli Stati Uniti, l’Ucraina probabilmente perderebbe la sua guerra con la Russia, o almeno sarebbe costretta a chiedere la pace e legittimare l’accaparramento forzato di territori da parte di Putin. Ciò darebbe a Putin la possibilità di ricostituire un impero incentrato sulla Russia assorbendo vicini compiacenti. Per quanto instabile possa sembrare il sostegno europeo a paesi europei vulnerabili come gli stati baltici, sarà inoltre considerato più affidabile delle garanzie di sicurezza degli Stati Uniti dopo le elezioni del 2024. L’abbandono dell’Ucraina da parte di Trump si rivelerebbe probabilmente la goccia che farà traboccare il vaso dell’architettura dell’alleanza Ue con gli Stati Uniti. Le restrizioni tariffarie, sugli investimenti e sull’immigrazione di una seconda amministrazione Trump renderebbero anche gli Stati Uniti un luogo meno attraente. La Cina sarebbe il più grande beneficiario immediato, in particolare perché alcuni paesi che tradizionalmente avevano contato sul sostegno degli Stati Uniti potrebbero invece essere inclini a cercare un accomodamento con Pechino. Con l’indebolimento degli impegni di sicurezza sia per l'Europa che per la costa del Pacifico, gli Stati Uniti si concentrerebbero invece sul proprio cortile. 

Quando si tratta il tema dell’estrattivismo, si fa riferimento un fenomeno che affonda le sue radici nel passato, ma che continua a plasmare il nostro presente e il nostro futuro. Nato oltre 500 anni fa, l’estrattivi smo rappresenta non solo la semplice estrazione di risorse naturali, ma anche una complessa rete di dinamiche socioeconomiche che spaziano dal saccheggio colonialista alla dipendenza reciproca. L’ascesa dell’estrattivismo è intimamente legata alla storia della colonizzazione dell’Africa, delle Americhe e dell’Asia, nonché all’avvento della Rivoluzione Industriale che ha plasmato l’economia mondiale in un sistema capitalista. La pratica di accumulazione di risorse ha trovato terreno fertile indifferentemente tanto nei governi liberali che in quelli progressisti e si è trasformata nel tempo, assumendo connotazioni sempre più complesse e controverse. Nel post-estrattivismo, l’i dea di fondo è caratterizzata dal pensiero che la maledizione delle risorse naturali non sia una fatalità del destino, ma una scelta. Difficile dunque sfruttare le risorse naturali non rinnovabili trasformandole in una benedizione per i popoli coinvolti. Per scongiurare una nuova maledizione dei minerali essenziali, le economie in via di sviluppo e avanzate devono costruire un nuovo modello di governance internazionale che tenga conto delle interdipendenze legate alla pace e alla stabilità, alla salute globale e alle questioni ambientali e climatiche in un mondo sempre più organizzato in blocchi”, scrivono su VoxEu Rabah Arezki e Federico Van Der Ploeg, professore dell’Università di Oxford. “Se le esternalità devono essere internalizzate, una nuova modalità di governance internazionale fornirà in modo efficace trasferimenti di tecnologia dalle economie avanzate a quelle in via di sviluppo. Tale governance dovrebbe anche promuovere un accesso efficace ai mercati dei capitali internazionali attraverso, ad esempio, obbligazioni verdi, naturali o blu invece di prestiti opachi garantiti da risorse. I paesi in via di sviluppo devono anche cambiare la loro governance interna per garantire che gli investimenti diretti esteri forniscano contenuti locali, protezione ambientale e posti di lavoro per affrontare il crescente malcontento nelle comunità in cui operano le industrie minerarie o altre industrie estrattive”.

Raffaella Vitulano


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