Bruxelles scarica sui fornitori diretti le responsabilità aziendali


Un paradosso tutto europeo. Quasi due terzi delle 44 aziende invitate a fornire consulenza alla Commissione europea sulle leggi volte a ritenere le aziende responsabili di violazioni dei diritti umani nelle loro catene di fornitura sono state esse stesse recentemente accusate di tali reati. Lo rivela Equal Times, in un articolo di Arthur Neslen, raccontando come sindacalisti ed attivisti della società civile abbiano organizzato una protesta a Bruxelles giorni fa, prima della discussione di un controverso pacchetto “Omnibus” sulla sostenibilità aziendale. Gli attivisti accusano la Commissione europea di aver annacquato due direttive europee fondamentali, concepite per porre fine alle cattive pratiche sociali e ambientali lungo le catene di fornitura dei prodotti, su esplicita richiesta dei lobbisti aziendali, col pretesto di semplificare la legislazione e ridurre la burocrazia. Tra le proposte scartate in linea con le richieste di molti di questi lobbisti c’erano un regime di responsabilità civile che avrebbe potuto rendere giustizia alle vittime di abusi aziendali e un tetto minimo per le sanzioni finanziarie sulle aziende, fissato al 5% del loro fatturato globale. Nel tentativo di “riconquistare competitività”, la commissione von der Leyen le avrebbe rimosse dalla Direttiva sulla due diligence sulla sostenibilità aziendale, mentre altre scappatoie sono state introdotte nella Direttiva sulla rendicontazione sulla sostenibilità aziendale. Un bel successo per chi invoca la democrazia e la trasparenza in ogni occasione. Molte di queste misure sono state promosse da aziende invitate a una consultazione con la Commissione europea lo scorso 5 febbraio, secondo un elenco degli invitati visionato da Equal Times. Tuttavia, il 64% (28 su 44) ha dovuto affrontare accuse che vanno dallo stupro, all’omicidio e alla tortura lungo le loro catene di fornitura, fino alla rottura con i sindacati e al diniego ai lavoratori di pause per andare in bagno. “Sia chiaro: questa non è una semplificazione, è una deregolamentazione su vasta scala progettata per smantellare la responsabilità aziendale e abbandonare gli impegni del Green Deal dell’Ue. Eliminare la due diligence oltre i fornitori diretti, eliminare il coinvolgimento degli stakeholder ed eliminare la responsabilità civile dà alle aziende un lasciapassare per operare senza conseguenze. La Commissione sta dunque inviando un messaggio chiaro: è tempo di chiudere un occhio sul lavoro forzato, sull’accaparramento delle terre e sulla devastazione ambientale, lasciando le vittime impotenti mentre le aziende sconsideratecamminano libere” sostiene Nele Meyer, Direttore della Coalizione Europea per la Giustizia Aziendale. “A queste aziende è stato permesso di riscrivere le leggi europee e farle rientrare dalla porta sul retro per assicurarsi di realizzare profitti maggiori a spese dei lavoratori e del pianeta”, commenta la vicesegretaria generale della Confederazione europea dei sindacati (Ces) Isabelle Schömann. “È chiaro che la legislazione europea è ostaggio di aziende con una storia di violazioni dei diritti umani e distruzione ambientale”. Equal Times riporta che diverse modifiche inserite nelle proposte definitive della Commissione sono state richieste dalle associazioni di categoria che rappresentano ben 16 delle 28 aziende accusate di abusi: Airbus, Allianz, Dhl, Deutsche Bank, Engie, Eni, Generali, Intesa Sanpaolo, Icop, La Poste, Metro AG, Michelin, Schneider Electric, Société Générale, TotalEnergies e Volkswagen. Le richieste sono state formulate in un documento di posizione congiunto della Bdi tedesca, della Confindustria italiana e delle associazioni dei datori di lavoro del Mouvement des Entreprises de France, datato 25 gennaio 2025 e visionato dalla rivista. Le direttive imporrebbero “disposizioni onerose in termini di ambito di applicazione, norme applicabili, responsabilità e sanzioni, causando incertezza giuridica, eccessiva burocrazia e rischi incalcolabili per le aziende”, si legge nel documento. Le organizzazioni hanno così chiesto di eliminare il meccanismo di responsabilità civile e le sanzioni finanziarie basate sul fatturato, di limitare l’ambito di applicazione delle direttive alle imprese con più di 1.000 dipendenti, e di limitare le responsabilità di due diligence ai soli fornitori diretti, generalmente quelli in subfornitura, scavalcando così le responsabilità. “Con questa decisione di limitare la due diligence ai fornitori diretti, noi lavoratori comprendiamo che all’Europa non importa da chi si rifornisce per i suoi prodotti, se dal Bangladesh o dall’India, non importa perché non è responsabilità delle grandi aziende Ue, aggiunge Kalpona Akter, attivista sindacale del Bangladesh. La Commissione della baronessa von der Leyen ha accolto tutte queste richieste, ampiamente condivise dal gruppo di pressione BusinessEurope, presente il secondo giorno della consultazione. L’implementazione dei requisiti di rendicontazione della direttiva è stata posticipata di due anni, fino al 2028, e il suo ambito è stato limitato alle aziende che impiegano oltre 1.000 lavoratori, esentando l’80% delle aziende che sarebbero state originariamente coperte. E così addio Europa sociale di cui trent’anni fa si faceva un bel parlare. La Ue cerca solo pretesti oltreatlantico per serrare i ranghi aziendali. Tra le 44 aziende che hanno partecipato il primo giorno, Eni è stata accusata di aver ignorato le fuoriuscite di petrolio nel Delta del Niger in Nigeria. La Deutsche Bank è presumibilmente uno dei maggiori finanziatori e investitori di grandi aziende che operano nei settori a rischio ecosistemico. Dhl affronta accuse di aver represso le attività sindacali e di aver sottoposto i lavoratori a condizioni disumane, tra cui il divieto di andare in bagno e aggressioni fisiche. Airbus avrebbe violato un embargo sulle armi in Libia. Total Energies ha un progetto di gas naturale liquefatto in Mozambico, assediato da accuse di stupro, omicidio e violazioni dei diritti umani. Volkswagen è sotto esame per aver potenzialmente utilizzato manodopera forzata uigura nelle sue catene di fornitura, nonché per abusi sul posto di lavoro in Serbia. Michelin avrebbe utilizzato un fornitore di gomma belga implicato in pratiche di distruzione ambientale e accaparramento di terreni in tutta l’Africa occidentale. Intesa Sanpaolo, insieme ad Allianz e Deutsche Bank, è accusata di detenere azioni e obbligazioni in società di combustibili fossili che alimentano la violenza nel Sudan del Sud. Amnesty International ha accusato Generali di aver investito pesantemente in società estrattive coinvolte in gravi violazioni dei diritti umani, mentre i funzionari dell’I cop sono stati indagati per scarichi industriali non autorizzati che hanno inquinato falde acquifere e altri corsi d’acqua. AG è stata accusata di pratiche antisindacali, licenziamenti, molestie e altri abusi in Pakistan, mentre Schneider Electric avrebbe licenziato lavoratori che avevano cercato di iscriversi a un sindacato. I dirigenti di La Poste sono stati invece accusati di aver usato insulti razzisti contro dipendenti nordafricani in un gruppo WhatsApp. Société Générale è accusata di aver fornito crediti all’eserci to israeliano per le attività nei Territori palestinesi occupati, Allianz avrebbe finanziato aziende di armi che esportavano in Israele, mentre è stata presentata una denuncia all’Ocse contro Engie per il suo presunto coinvolgimento nell’estra zione di “carbone insanguinato” in Colombia. Tutte le accuse sono state mosse negli ultimi cinque anni, ad eccezione di quelle contro Eni e La Poste nel 2018, contro Schneider Electric nel 2016 e contro Generali nel 2013.

Raffaella Vitulano




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