L’Europa in un vicolo cieco ha dimenticato la sua storia


Cacciari, Caracciolo e Rampini non hanno certo in simpatia Trump né Putin, e neppure possono essere definiti complottisti antieuropeisti. Eppure tutti e tre frenano su mimetiche e caccia ed invitano ad un ragionamento serio e ad un sano realismo. “Se l'Europa avesse ancora un po’ di consapevolezza di qual è la sua storia e il suo destino, dovrebbe capire che la sua forza è nel proporsi come un fattore capace di mediazione e di compromesso storico” dice il filosofo Massimo Cacciari a La Stampa, aggiungendo che l’Unione europea dovrebbe avvicinarsi tanto a Mosca quanto a Pechino, non ad allontanarsene. “Trump non persegue un disegno sistematico di divisione, smantellamento dell’Unio ne europea, anche se pensa che quel compito lo stanno svolgendo già gli europei da soli”, sentenzia l’editorialista del Corriere della Sera Federico Rampini. Anche il direttore di Limes non nasconde le sue perplessità su Bruxelles: “Nessu na proposta da parte degli europei in tre anni di guerra in Ucraina: sicuramente questo pesa sulla loro esclusione nelle trattative di pace. E’ per questo che né Putin né Trump sono disposti a negoziare con l’Europa” scrive Lucio Caracciolo. Ci sono decine di migliaia di soldati in Europa, basi americane dappertutto, anche in Italia. “Non credo che i russi abbiano capacità o intenzione di fare una campagna contro l’Europa”.

L’asse transatlantico si sta dissolvendo, rivelando il risentimento americano verso il Vecchio Continente. “Trump costringe gli europei a tornare alla realtà. Le alleanze contano poco. Non esistono più, ci sono solo allineamenti provvisori. Al momento, quello che interessa agli americani è mettersi d’accordo solo con le potenze che contano: Russia e Cina. Noi facciamo parte di quelli che contano poco”, anche se essendo un paese marittimo, con 8 mila km di coste, una piattaforma logistica dalle Alpi alla Sicilia, centrale nel Mediterraneo, siamo il secondo Paese europeo per contingenti americani. Facciamo dunque i conti con la realtà: “L’Unione Europea è cerebralmente defunta. Nata all’ombra della Nato, nella pace e per la pace, quale braccio economico del sistema euroatlantico promosso dagli Stati Uniti, si svela ormai obsoleta. Esattamente come la Nato. Sono gli stessi soci dell’Ue che ne certificano l’inser vibilità”. La coppia nucleare Francia- Regno Unito sono “potenze atomiche che se anche riunite non avvicinano minimamente l’arsenale russo, al quale solo l’a mericano è comparabile. Ma questo passa oggi il convento occidentale orfano dell’America. Visti da Washington - prosegue Caracciolo - gli europei sono colpevoli di aver scatenato due guerre mondiali e di aver goduto a sbafo, nel lungo dopoguerra, della protezione a stelle e strisce. Gli Stati Uniti avevano deciso di restare in Europa dopo la fine della seconda guerra mondiale per farne la loro prima linea di difesa contro l’Unione Sovietica. Poi nei confronti della Russia. “Ora che i russi si sono svelati molto meno efficaci militarmente di quanto gli atlantici immaginassero - tanto da perdere centinaia di migliaia di uomini senza prendere Kiev né Odessa né Kharkiv - l’establishment strategico americano non valuta più Mosca una minaccia reale. Prova quindi astaccarla dall’abbraccio di Pechino, dopo avercela gettata nove anni fa. Di più: scaduti i travestimenti, ciascuno viene considerato secondo il suo peso specifico. Ci si confronta fra grandi potenze militari, gli europei seguiranno. E se non lo faranno, peggio per loro”.

In tale contesto, non stupisce che la maschera dell’Unione Europea risultiinservibile. Di qui a considerare gli esperimenti di Parigi e Londra comepremessa di un ruolo meno passivo dei principali paesi europei nella rivoluzione geopolitica in corso, molto ne corre. Bisogna riconoscere a Trump - concluce Caracciolo - il merito di averci riportato alla realtà, per noi europei assai sgradevole. Sappiamo quel che non siamo più. Né più torneremo a essere. Urge riflettere su che cosa possiamo volere. “Va le anche per noi italiani. Anzitutto, serve la pace in Ucraina alle condizioni meno peggiori possibili e con decenti garanzie di sicurezza per Kiev, scontando che senza americani non se ne farebbe nulla. Su questo Roma può contribuire. In fondo, siamo stati l’unico paese europeo a proporre uno schema di soluzione negoziale della guerra un mese dopo che era scoppiata, poi inopinatamente depositato in un cassetto del segretario generale dell’Onu, dov’è ovviamente marcito. All’ordine del giorno è la ricostruzione di un equilibrio paneuropeo all’interno di un compromesso strategico fra Stati Uniti, Russia e Cina. Prima e non dopo la terza guerra mondiale. Perché il dopo è in dubbio”. Su Limes, anche Federico Petroni analizza la rissa Trump-Zelensky oltre la propaganda e riporta come il leader ucraino sia andato alla Casa Bianca a pretendere garanzie simili alla Nato, da sempre escluse dagli Usa. “Il disgraziato spettacolo della rissa Trump-Zelensky è largamente interpretato come prevaricazione del bullo sul debole; dimostrazione dell’intesa Usa-Russia sulla nostra testa; prova che Trump vuole abbandonare non solo l’Ucraina ma l’Europa tutta, lasciandoci in balia di Putin. Narrazione propagandistica che non aiuta a comprendere il punto della crisi fra America ed Europa sull’U craina. Anzitutto, non si coglie il significato dello scontro se non si capisce che Trump voleva l’accordo molto più di Zelensky. Certo, alle condizioni attuali Kiev perde la guerra – nel brutale riassunto del presidente americano: ’Non hai le carte’. Tuttavia, l’idea che Trump sia pronto ad abbandonare l’Ucraina a Putin è forzata. Probabilmente, fosse per lui, non avrebbe problemi a liquidare Kiev. Ma ha bisogno di un accordo relativamente stabile”. “Cessa re il fuoco - scrive Petroni - è precondizione dell’apertura degli Stati Uniti alla Russia, a sua volta funzionale a evitare di spingerla in un’alleanza formale con la Cina – senza illudersi di staccare del tutto le due potenze. Facilmente, Putin lo vede come un test per misurare l’efficacia di Trump e la sua affidabilità. Se non è in grado di produrre risultati positivi in Ucraina, cosa ci si può aspettare dalla collaborazione russo-americana altrove? Una figuraccia simile a quella di Biden in Afghanistan non sarebbe priva di contraccolpi per l’immagine del leader americano. Il danno alla credibilità degli Stati Uniti forse non sarebbe fatale, ma inevitabilmente creerebbe distrazioni dall’agenda domestica, priorità assoluta del governo. Un domani, per quanto interessa a Trump, a Kiev potrà anche installarsi un governo filorusso. Ma non deve avvenire in conseguenza di un vergognoso collasso del fronte. Rischio che s’intravede se l’U craina continua a combattere senza soldati e munizioni a sufficienza e con le mani legate dal divieto di colpire massicciamente in territorio nemico”. “Zelensky ha comunque reso un grave disservizio al suo paese. Al di sotto del sussulto d’orgoglio popolare e del linguaggio cifrato imposto dalla legge marziale, a Kiev si levano critiche anche in ambienti solitamente allineati. La maggioranza degli ucraini vuole la tregua. Non a qualunque costo, cioè senza capitolare ai russi. Ma senza nemmeno perdere il cruciale sostegno degli Stati Uniti, che la rissa alla Casa Bianca ha messo in discussione. Il settore degli affari esorta Zelensky a firmare l’accordo con Trump nella sua versione rivista, ridimensionata rispetto all’origina le, perché limita la devoluzione di metà delle entrate ai soli nuovi progetti, estrattivi o infrastrutturali. Ciò significa che gli oligarchi hanno ricevuto rassicurazioni sulla tenuta delle rispettive rendite. Difficilmente Kiev otterrà più di quantoWashington offre”.

Raffaella Vitulano




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