Storia di dazi americani e di fentanyl cinese
Trump non capisce che la politica estera non si fa come gli accordi commerciali. Negli affari, l’acquirente fa l’offerta più bassa e il venditore quella più alta. Entrambi sanno che l’offerta iniziale non è valida, ma solo un punto di partenza per poi trovare un punto intermedio. Trump sembra trattare tutti come un appaltatore a cui si deve abbassare il prezzo. Ma in politica estera, un simile atteggiamento appare belligerante. Questo vale per i rapporti con l’Iran, o con la Ue. Ma soprattutto con la Cina. Imporre dazi anche a tutti gli altri paesi spinge tutti, dall’Euro pa al Giappone, ad avvicinarsi alla Cina e a stringere accordi commerciali. A chi sostiene che il presidente Usa è solo uno sbruffone, il giornalista indipendente e analista geopolitico Mike Whitney obietta che sì, in realtà il mondo, guidato da Cina e Russia, sta provando a disaccoppiarsi dagli Stati Uniti, ma tutta la baraonda sui dazi era in realtà solo un trucco da illusionista, mirato a creare un pretesto per attaccare la Cina. Ecco perché è stato così facile per Trump porre fine alla farsa con un gesto della mano, come se nulla fosse accaduto. Perché nulla era accaduto. Era tutto uno sfarzoso spettacolo di luci privo di qualsiasi reale sostanza. Isolare la Cina suggerisce che i negoziatori statunitensi cercheranno di strappare concessioni ai membri dell’Asean e ad altri paesi, non solo sulle relazioni bilaterali con gli Stati Uniti, ma anche sulle aziende cinesi che producono in quei paesi prodotti che vengono venduti agli Stati Uniti. Ma l’India, come altre nazioni, si impegnano a non schierarsi tra l’Occidente e la Cina e la cosa si complica. Intendiamoci, non è che l’im patto dei dazi sulla Cina non metta a dura prova le relazioni con gli altri Paesi. Washington e Pechino sono coinvolti in una crescente disputa tariffaria, che ha visto la Cina aumentare le imposte sulle importazioni americane al 125%, in risposta ai dazi statunitensi sempre più elevati. Pechino si guarda intorno, anche perché Zerohedge.com ha spiegato che ben 200 mila aziende cinesi che vendono su Amazon, coi dazi trumpiani creeranno tra i 20 e i 100 milioni di cinesi disoccupati. Una cifra enorme. Del resto, il trade balance significa questo: chi sta in deficit fa lavorare chi è in surplus. Ma se chi sta in deficit va in contromossa, per chi produce ed esporta sono guai. Insomma, Trump avrebbe inventato la “bufala dei dazi” per sganciarsi dalla Cina, ma non mancano i rischi: “La stravaganza tariffaria di Trump non ha mai riguardato deficit commerciali, reindustrializzazione o il ritorno di posti di lavoro in America. Ha sempre riguardato la Cina. Ora che Trump ha allentato o rimosso i dazi su altri 90 paesi, possiamo vedere cosa sta realmente accadendo. Trump sta usando la cortina fumogena dei dazi per attuare la sua politica di disaccoppiamento, una strategia progettata per isolare, accerchiare e infine schiacciare la Repubblica Popolare Cinese. Questo è il motivo che guida la politica. I dazi erano solo un mezzo per raggiungere un fine”. Imponendo dazi proibitivi del 125% sulle esportazioni cinesi, Trump sta indicando che l’era dei mercati integrati in un sistema globalizzato è finita. Il modello occidentale altamente finanziarizzato, che dipende sempre più dalla scrematura dei titoli tossici e dai riacquisti di azioni proprie, non può trasformarsi in una potenza manifatturiera disposta a competere con la Cina ad armi pari. Invece, deve usare la sua influenza in declino per scuotere il sistema con un inaspettato spettacolo pirotecnico (i dazi) che provochi onde d’urto attraverso il sistema e il panico sui mercati.
Un bluff, dunque. E nessuno lo spiegherebbe meglio del braccio destro di Trump, il Segretario al Tesoro Scott Bessen, che si vanta di come gli Usa hanno ingannato la Cina, che sta rapidamente superando gli Stati Uniti in scienza, tecnologia, intelligenza artificiale, informatica quantistica, robotica e quasi tutto il resto. La strategia di contenimento si chiama “de -coupling” e si riferisce al processo attraverso il quale gli Stati Uniti (e altri paesi occidentali) riducono la loro interdipendenza economica, tecnologica e finanziaria con la Cina. L’economista Larry Summers spiega dal canto suo che tuttavia la Cina non sta imbrogliando nessuno producendo beni a basso costo che è disposta a scambiare con dollari: “Se la Cina vuole venderci prodotti a prezzi davvero bassi e la transazione consiste nell’acquista re collettori solari o batterie da installare nelle auto elettriche e inviare loro bigliettoni verdi, pensi che sia un buon affare per noi o un cattivo affare per noi?”. In fin dei conti, chi è più “imbrogliato”: il partito che si impegna a produrre beni a prezzi bassissimi con margini ridottissimi, o il partito che semplicemente stampa una quantità virtualmente infinita di moneta fiat per pagare tutto questo? Il decoupling di fatto erige una “corti na di ferro digitale” tra la Cina e il resto del mondo e presenta notevoli rischi al ribasso. Se la Cina dovesse rispondere con la stessa moneta all’aggressione di Washington, le linee di approvvigionamento verrebbero gravemente interrotte, aumentando la probabilità di un’altra recessione globale. L’idea occidentale di separarsi dalla Cina è iniziata sul serio con il Covid-19 e il grande reset. Durante quel periodo è stata imposta - non solo agli americani - un’iperin flazione artificiale attraverso interruzioni artificiali della catena di approvvigionamento. Si pensi alle navi incastrate lateralmente nel canale di Suez per settimane e rifiuto di scaricare portacontainer costringendoli a girare nell’oceano per mesi, che di fatto ha aumentato il prezzo del trasporto di un container di 4 o 5 volte. Tutto questo avrebbe potuto far parte del piano per far svalutare il dollaro e interrompere gli scambi commerciali con la Cina. Il rapido spostamento di attenzione dalla Cina alla Russia ha però dato sia alla Cina che alla Russia il tempo di reagire e le ha avvicinate più che mai, e in una sorprendente dimostrazione di aikido economico hanno rivolto le sanzioni contro gli aggressori. I dazi Usa solo alla Cina dovrebbero ora ricompattare l’Occidente, che deve decidere se scegliere Trump e reindustrializzare, oppure scegliere la Cina e deindustrializzare (come spingono Davos e il blocco franco tedesco insieme al Regno Unito, tutti uniti a Bruxelles per favorire la sola industria delle armi). Nell’ultimo caso i Brics fungeranno non solo da blocco economico, ma anche da blocco difensivo, combattendo sanzioni, dazi ed embarghi illegali e fornendo supporto gli uni agli altri membri: ora che Russia, Iran, Arabia Saudita e Venezuela sono disposti a vendere petrolio con la valuta creata dalla banca centrale cinese e l’indu stria cinese dei chip è in grado di soddisfare la domanda interna, come uscirne? Pechino, nel frattempo, spargerà l’arma del fentanyl via Messico e Canada, aumentando le consegne.
Un articolo di Michael Spence del Council on Foreign Relations illustra come, nell’ulti mo anno, la traiettoria delle relazioni sino-americane è diventata indiscutibile: Stati Uniti e Cina si stanno dirigendo verso un disaccoppiamento sostanziale, sebbene parziale. Molte economie emergenti e in via di sviluppo riconoscono che un’economia globale frammentata non è nel loro interesse. Ma attualmente non hanno il potere di modificare gli incentivi dei principali attori. Ciò a cui stiamo assistendo è un diffuso riconoscimento del fatto che gli ingenui tentativi di integrare la Cina nell’ “ordine basato sulle regole” occidentale sono falliti completamente, il che ha innescato una drammatica inversione di rotta politica che sta costantemente guadagnando slancio e ferocia. I cinesi sono rimasti ostinatamente indipendenti, avviando solo le riforme che si adattavano al loro orientamento politico. La Cina è presa di mira perché la sua ascesa fulminea e la sua crescita esplosiva l’hanno resa una minaccia per l’egemonia globale degli Stati Uniti. Ecco perché la Cina è finita nel mirino di Washington.
Raffaella Vitulano


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