La sottile linea rossa della politica di Washington contro l’Iran
Tragici giorni in cui il Medio Oriente si infiamma. Quello di Israele sembra proprio essere stato un decapitation strike, giunto inaspettato alla vigilia delle nozze del figlio di Netanyahu e del Gay Pride di Tel Aviv. Eventi annunciati in pompa magna solo per distrarre Teheran. Un attacco che toglie di mezzo il centro di controllo di un sistema. E’ una cosa senza precedenti nella storia: i capi di stato maggiore di tutte le forze armate e i comandanti più alti dell’Irgc uccisi in pochi minuti. Israele ha un potere di escalation grazie al suo arsenale nucleare. Se l’Iran oltrepassa la linea rossa, si troverà di fronte a uno scenario di resa in stile Hiroshima. In caso contrario, il regime crollerà , perché la gente non tollererà più che un regime barbuto rovini il loro Paese e la sua immagine. Gli attacchi sembra siano stati lanciati a distanza di sicurezza dallo spazio aereo iracheno, che è di fatto controllato dagli Stati Uniti. E Trump, che nel risiko mediorientale sembra muoversi con una certa astuzia, non sembra dunque essere proprio al di fuori di questi giochi, magari per riportare gli ayatollah al tavolo. Mentre il regime iraniano chiude e censura tutto, Elon Musk - forse d’intesa col presidente dopo la (apparente) furiosa lite - ha intanto deciso di attivare in Iran il servizio Internet di Starlink per consentire al popolo iraniano di avere l’infor mazione che il regime intende sequestrare. Ci voleva proprio, quella lite, per giustificare l’immediata retromarcia del miliardario ketaminico a fianco del president, che non disdegnerebbe il fatto che Israele provochi un regime change a Teheran, con la presa di potere di elementi laici e fil-occidentali, come fu il regno dello Scià . Fulvio Scaglione, giornalista ed ex vicedirettore di “Famiglia Cristiana”, è stato corrispondente da Mosca ed oggi collabora con quotidiani e riviste, tra cui “Li mes”. Parla dunque con una certa cognizione dei fatti e anche sull’attacco di Israele all’I ran lascia riflettere: “Non ne sapevamo niente, non eravamo stati avvertiti, non siamo coinvolti. Indovinello: chi e quando ha pronunciato questa frase prima dell’attacco israeliano contro l’Iran? Sì, risposta esatta: i portavoce del Governo Usa subito dopo l’at tacco ucraino contro le basi aeree russe. Uguale uguale. E molto simile, guarda caso, è stata anche una certa dinamica dell’azione militare di Israele contro le basi militari e gli impianti nucleari della Repubblica islamica” scrive su Inside Over. In Russia cinque basi aeree erano state colpite da droni che gli ucraini avevano fatto entrare di nascosto nel Paese e poi trasportato nelle vicinanze delle basi su camion del tutto ordinari, facendoli poi decollare a distanza. Il tutto per opera di alcuni commando di sabotatori che, stando sempre alle fonti ufficiali ucraine, sono stati evacuati prima dell’inizio dell’opera zione militare. Ebbene, l’ope razione di Israele contro l’Iran mostra notevoli sovrapposizioni con quella degli ucraini in Russia. Prima dei bombardamenti dall’aria, una serie di squadre del Mossad, infiltratesi in Iran, hanno installato nei pressi delle basi iraniane dei missili Sam (Surface-to-Air Missile) sistemi di jamming del volo dei missili o armi per colpirli consentendo così ai caccia dello Stato ebraico di agire il più indisturbati possibile. Sistemi e armi che sono stati assemblati all’interno dell’I ran e poi distribuiti nei pressi delle basiiraniane da anonimi camion, proprio com’era successo in Ucraina. Non solo.Una serie di droni kamikaze è stata attivata e lanciata contro gli arsenali deimissili Sgm (Small Glide Munition) della base di Asfaqabad, nei pressi di Teheran, anche in questo caso con lo scopo di inibire le capacità di difesa e reazione delle forze armate iraniane. “Le somiglianze tra le due operazioni, quella ucraina e quella israeliana, sono troppo nette e importanti per non far sorgere una domanda: davvero gli Usa e i loro imponenti apparati d’intelligence non sapevano, non erano stati avvertiti, non erano coinvolti? O non si tratta, invece, del vecchio gioco di mandare messaggi agli avversari usando i Paesi-avamposto, Israele e Ucraina appunto, in modo da poter lanciare il sasso nascondendo la mano, proteggendo così il tanto esaltato ruolo di mediatore? In Medio Oriente l’ammi nistrazione Trump sta facendo proprio questo: parla di tregua a Gaza ma fornisce le bombe a Israele, accoglie l’ex-ter -rorista Al-Jolani come legittimo presidente della Siria ma copre politicamente l’aggres sione israeliana, bombarda lo Yemen e tace su quanto accade in Libano. Perché dovrebbe regolarsi diversamente con l’Iran?”. A chi inoltre erroneamente pensa che gli Usa non si siano coordinati con Israele e che Netanyahu stia agendo in solitario, ricordiamo che il 12 aprile Trump aveva dato 60 giorni per raggiungere un accordo con l’Iran. E il 13 giugno era il 61º giorno. Il giornalista indipendente Mike Whitney ricorda che l’Iran ha sempre rivendicato il controllo sovrano sulle proprie vaste risorse ed è per questo che deve essere punito con lo strangolamento economico, la massima pressione e, inevitabilmente, la guerra. Tra i donatori pro Israele delle ultime campagne presidenziali spicca Miriam Adelson, che attraverso il suo Preserve America Pac, ha contribuito con una cifra stimata tra i 106 milioni di dollari come cifra più verificabile tramite Grok e Reuters. Miriam Adelson, 30 miliardi di dollari di patrimonio stimato, è la quinta donna più ricca degli Stati Uniti. Il sostegno di Adelson alla repressione anti-palestinese non è una novità , ma mai come ora era riuscita a trascinare con sé le istituzioni statunitensi nella sua visione. Una storia che però va oltre ilsemplice sostegno finanziario: è una vicenda di potere e ideologia. Dopo aver sposato Sheldon Adelson, magnate dei casinò che accusava i democratici di essere troppo critici con Netanyahu, nel 1991, Miriam ha trasformato la sua passione per la sicurezza di Israele in una missione politica. Insieme, sono diventati una power couple del Partito Repubblicano. Oggi, che è rimasta vedova, la lady tenta di plasmare l’agenda politica della destra populista, che pure nella sua base mostra più di una corrente critica con l’e spansionismo israeliano (si pensi ad agitatori del Maga come Tucker Carlson, o a Nick Fuentes). Oltre al sostegno politico, Adelson ha finanziato il Maccabee Task Force (Mtf), un’organizzazione che combatte l’antisemitismo nei campus universitari ma che, in pratica, attacca chi critica Israele. Il marito Sheldon Adelson, morto nel 2021, si schierò apertamente sull’intervento degli Stati Uniti in Iran, sostenendo nel 2013 un attacco nucleare nel deserto iraniano come “dimostrazione” per costringere l’Iran ad abbandonare il suo programma nucleare, seguito dalla minaccia di colpire Teheran con un’arma nucleare se non avesse obbedito. Lady Miriam finanzia organizzazioni che promuovono misure severe contro l’Iran, come “Uniti contro l’Iran nucleare” (Uani), che ha ricevuto 500 mila dollari dalla Adelson Family Foundation nel 2013 e si oppone alla diplomazia con l’Iran, preferendo sanzioni e pressioni militari. O anche la “Foundation for Defense of Democracies” (Fdd), che ha ricevuto 1,5 milioni di dollari dagli Adelson e spinge per attacchi preventivi sui siti nucleari iraniani, secondo The Nation (2015). Big Money, insomma, conta negli Usa, ed Adelson potrebbe essere una figura chiave nella politica di Israele di Washington nel secondo mandato di Trump.
Negli Stati Uniti, del resto, i contributi dei donatori più ricchi sono fondamentali per la sopravvivenza di una candidatura e i risultati delle campagne elettorali. A differenza delle piccole donazioni di poche decine o poche centinaia di dollari, le donazioni di miliardari e multimilionari danno alle campagne visibilità e capacità di azione a medio e lungo termine. Secondo i dati di Open Secrets, i “grandi contributi” rappresentano quasi il 70% (oltre 80 milioni di dollari) delle donazioni ricevute dalla campagna di Donald Trump durante questo ciclo elettorale. Tuttavia, mentre Donald Trump mira a una guerra con l’Iran per placare i suoi sostenitori filo-israeliani, la probabile rappresaglia di Teheran potrebbe far crollare i mercati globali, aumentare i prezzi del petrolio e causare danni economici direttamente al pubblico americano, trasformando il sostegno a una politica apocalittica in una crisi di bilancio. Ma non è solo la lobby israeliana a suonare i tamburi di guerra; anche gli evangelici americani – in particolare gruppi come “Christians United for Israel” – sostengono la guerra, convinti che “salverà Israele” dalla “minaccia iraniana”. The Cradle” scrive che Il tentativo di Trump di contattare il presidente russo Vladimir Putin per risolvere la guerra in Ucraina mira in parte a spostare l’attenzione del Pentagono sull’Asia occidentale. Ma “una guerra con l’Iran potrebbe anche ritorcersi contro di lui in modo disastroso, affondare la sua presidenza e vanificare le ambizioni di aspiranti repubblicani alle primarie del 2028 come Marco Rubio e J.D. Vance. Per cominciare, se la campagna militare dovesse incontrare una reazione imprevista - il che è altamente probabile, ed è la ragione per cui il Pentagono ha accuratamente evitato lo scontro diretto con l’Iran - il Partito Democratico potrebbe riconquistare entrambe le Camere del Congresso dopo il crollo del mercato azionario statunitense e la recessione innescati dalla guerra”. La maggior parte degli americani è distaccata dal concetto e dalle conseguenze di una guerra con l’Iran perché, a partire dalla Guerra Civile, le guerre statunitensi si sono combattute lontano dai suoi confini. Anche durante le guerre mondiali, sebbene le famiglie americane abbiano dovuto affrontare perdite personali, la nazione non ha dovuto sopportare sofferenze diffuse. Le truppe statunitensi in Iraq scherzavano spesso: “Siamo in guerra; l’America è al centro commerciale”.
Raffaella Vitulano


- Ottieni link
- X
- Altre app
Commenti
Posta un commento