Sulla Terza Guerra Mondiale e su altri simulacri
Gli ideologi di Washington, noti come neoconservatori, che sostengono fermamente l’egemonia israeliana in Medio Oriente, si sono fortemente opposti a quello che è stato definito “l’asse della resistenza” . I neoconservatori, cercando un modo per schiacciare l’Iran, sfruttarono rapidamente gli attacchi dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle di New York come un’opportunità per erodere il potere iraniano. Nei giorni successivi all’attacco, al Pentagono venne comunicato al generale Wesley Clark che gli Stati Uniti avevano elaborato un piano per “eliminare sette paesi in cinque anni”. Clark riferì che il piano prevedeva l’in vasione di Iraq, Siria, Libano, Libia, Somalia, Sudan e, infine, Iran. La conversazione avvenuta tra Clark e un altro alto ufficiale del Pentagono rivelò l’incertezza e la confusione all’in terno delle alte sfere militari. “Andremo in guerra con l’I raq? Perché?” chiese Clark. La risposta fu sconcertante: “Non lo so. Credo che non sappiano cos’altro fare.” Erano passati solo dieci giorni dagli attentati dell’11 settembre 2001. Gli americani, il mondo, erano ancora sotto choc. Eppure quella conversazione avvenuta nei corridoi del Pentagono sollevò molte domande sulle reali motivazioni della “Guerra al Terrore” e sulla competenza dei funzionari coinvolti. In particolare, nonostante la maggior parte dei dirottatori che hanno fatto schiantare gli aerei contro le Torri Gemelle provenissero dall’Arabia Saudita, nell’elen co degli obiettivi del Pentagono figuravano principalmente membri della cosiddetta “mezzaluna sciita”. Da allora, tutti sono stati attaccati. Come ha osservato Clark, il settimo e ultimo Stato in quella lista - il più difficile da affrontare - è l’Iran. La lista di paesi obiettivi sembrava mirata a consolidare l’influenza politica e militare degli Stati Uniti in regioni strategicamente importanti piuttosto che eliminare minacce concrete. A vent’anni dagli attentati dell’11 settembre, le parole di Clark risuonano ancora come un monito. Le accuse del generale emergono in un libro, The Clark Critique, alcuni estratti del quale furono pubblicati sulla rivista statunitense Newsweek. Clark puntava il dito contro quelle che lui definisce “le vere fonti dei terroristi: gli alleati degli Stati Uniti nella regione, come Egitto, Pakistan e Arabia Saudita”. E qui spunterebbe anche la teoria secondo cui Trump e Khamenei potrebbero essere d’ac cordo: una fonte politica iraniana di alto rango avrebbe dichiarato all’agenzia di stampa della Penisola Arabica Amwaj Media che il team di Trump “avrebbe dato preavviso dei bombardamenti di siti nucleari e ha insistito sul fatto che fossero intesi come un caso isolato”. Vi sarebbero insomma segnali del fatto che Trump voglia ripetere quanto accaduto nel gennaio 2020 con l’uccisio ne di Soleimani e la simbolica rappresaglia iraniana. Se davvero si trattasse di una manovra per mettere quieto Netanyahu, così si spiegherebbero i videomessaggi di Trump, che tendono la mano all’ayatollah ma sembrano dichiarazioni di un conflitto finito piuttosto che di una guerra cominciata. Iran castigato, e punto. Nel 2006, mentre Israele bombardava ampie zone del Libano in un precedente tentativo di realizzare il piano del Pentagono, Condoleezza Rice, l’allora Segretario di Stato americano, definìprematuramente la violenza israeliana come “i dolori del parto di un nuovoMedio Oriente”. Ciò a cui abbiamo assistito negli ultimi 20 mesi, con la lenta furia di Israele contro l’Iran, è proprio una ripresa di quei dolori del parto.Questo è un momento chiave nel piano ventennale del Pentagono per un “dominio globale a spettro completo”: un mondo unipolare in cui gli Stati Uniti non sono vincolati da rivali militari o dall’imposizione del diritto internazionalee premono pertanto l’acceleratore. E’ questo quello a cui si riferisce il cancelliere tedesco quando parla di un lavoro sporco che Israele sta facendo per tutti noi? E così continua la destabilizzazione e la ristrutturazione delMedio Oriente da parte dell’impero capitalista globale. Sì, potremmo dire che a questo punto non esistono più governi o Stati, ma solo interessicontrapposti. E l’impero capitalista globale sa molto bene dove andare a parare. CJ Hopkins, premiato drammaturgo, romanziere e autore di satira politica americano che vive a Berlino, autore anche di un romanzo distopico, Zone 23, in un articolo ripreso da Off-Guardian parla della “Terza guerra mondiale” e lancia una riflessione interessante: è l’impero capitalista globale, non “l’America” o Israele ad aver destabilizzato e ristrutturato il Grande Medio Oriente dalla fine della Guerra Fredda, continuando a farlo finché ogni nazione della regione non collaborerà con l’impero.
“L’America non è l’impero. I sionisti non controllano il mondo. Israele è il quartier generale dell’impero in Medio Oriente. Il complesso militare-industriale statunitense e i suoi partner internazionali sono la forza motrice dell’impero. L’impe ro sta conducendo un’opera zione globale di clear-and-hold, neutralizzando la resistenza interna e ristrutturando il territorio che ha conquistato e ora occupa”. Questo è ciò che sta accadendo in Medio Oriente. “All’impero non importa quale narrativa consumi. All’impero non importa se sei un progressista o un conservatore. Non gli potrebbe importare di meno per chi hai votato. Non gli importa se sei un progressista anti- Trump che usa pronomi multigenere o un conservatore Maga amante di Elon. Non gli importa se sei un immigrato clandestino che brucia Waymo e sventola la bandiera messicana o un maniaco cripto-fascista che fa razzismo. Non gli importa se sei un sionista o un antisionista. Non gli importa un cazzo di cosa pensi dei vaccini. Chiunque tu sia, da qualunque parte tu stia, l’impero ha una narrazione già pronta per te. Una narrazione che non ha nulla a che fare con l’impero capitalista globale e la sua operazione di clear-and-hold globale”. E’ questo, per Hopkins, uno dei grandi vantaggi dell’impero capitalista globale rispetto ai precedenti sistemi totalitari: a differenza dei comunisti e dei nazionalsocialisti, il capitalismo globale non ha un’ideologia, quindi può trasformarsi in qualsiasi cosa serva, inclusa qualsiasi potenziale opposizione. Ed è proprio ciò che sta facendo da qualche anno, più o meno dalla fine dell’era Covid. “Ogni resistenza interna all’impero che non possa essere annientata, o altrimenti messa a tacere, può essere mercificata, marchiata e rivenduta ai suoi membri come un simulacro di se stessa”.
La destabilizzazione e la ristrutturazione del Medio Oriente procedono intanto a ritmo serrato in un succedersi di eventi surreali quanto tragici. In attesa di un epilogo. In sostanza, l’impero capitalista globale fa tutto e il contrario di tutto perché non ha ideologie o valori da sostenere. Non ha bisogno di avere senso o di essere coerente. Non c’è niente, nessun valore, nessuna ideologia, nessuna convinzione, nessun principio, niente da difendere o tradire, niente che gli impedisca di diventare qualcosa, per poi diventare l’esatto opposto un attimo dopo. E allora Trump a che gioco sta giocando? “Gli attacchi di Trump all’Iran stanno capovolgendo la nostra percezione di che tipo di presidente sia”, titola “Politico”. Ma forse è più semplice di quanto si creda: sta forse dissimulando, come fece in Siria nel 2017, quando il 7 aprile ordinò un attacco contro il paese che non fece praticamente nessun danno sostanziale, e che fu con ogni probabilità coordinato con la stessa Siria e la Russia per evitare così di scatenare una escalation e al tempo stesso schivare gli obiettivi di quanti avevano concepito il false flag di Khan Sheikhun? O come quando Teheran stessa, all’indomani dell’omicidio del generale Soleimani, decise di rispondere colpendo una base americana, ma prima di farlo si premurò di avvertire Trump, rassicurandolo che nessuno dei 18 missili avrebbe colpito la base? Il tempo ci dirà se il presidente è un bravo player o solo un indomabile e pazzo incoerente. L’Iran, del resto, è da tempo nel mirino di Netanyahu. Era l'obiettivo finale di un documento programmatico del 1996 intitolato “Una rottura netta”, scritto per lui da un gruppo di neoconservatori guidati da Richard Perle, proprio quando salì al potere. Nel testo si legge che “Israele può fare di più che semplicemente gestire il conflitto arabo-israeliano attraverso la guerra. Nessuna quantità di armi o vittorie garantirà a Israele la pace che cerca. Quando Israele sarà economicamente solido, libero, potente e sano internamente, non si limiterà più a gestire il conflitto arabo- israeliano; lo trascenderà... Israele, orgoglioso, ricco, solido e forte, sarebbe la base di un Medio Oriente veramente nuovo e pacifico”. E ancora “Noi in Israele non possiamo fingere di essere innocenti all'estero in un mondo che innocente non lo è. La pace dipende dal carattere e dal comportamento dei nostri nemici”. Infine, “ per proteggere le strade e i confini della nazione nell’immediato futuro, Israele può collaborare strettamente con Turchia e Giordania per contenere, destabilizzare e contrastare alcune delle minacce più pericolose. Ciò implica una netta rottura con lo slogan pace globale e un concetto tradizionale di strategia basato sull’equilibrio di potere”.
Raffaella Vitulano


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