L’autodistruzione dell’Europa in quattro possibili spiegazioni
Come possiamo dare un senso alla postura apparentemente autodistruttiva dell'Europa? Quattro dimensioni interconnesse possono aiutare a spiegare la posizione dei suoi leader: psicologica, politica, strategica e transatlantica. Prova a spiegarle Thomas Fazi, classe 1982, nato a Londra ma romano d’a dozione, in un articolo originariamente pubblicato nell’edi zione di aprile del TI Observer , la rivista del Taihe Institute con sede a Pechino. Articolo poi ripreso da UnHeard. Per Fazi, la crescita della minaccia russa è una continuazione del paradigma dell’era Covid: un metodo di governo che fonde manipolazione psicologica, militarizzazione e normalizzazione del governo di emergenza. E’ così che gli anni recenti hanno impresso l’acceleratore ai cambiamenti voluti dal turbo-tecno- capitalismo. Proprio grazie alla politica permanente della paura. Pensiamo all’assurdo “pacchetto di emergenza da 72 ore per sopravvivere a una guerra nucleare” dell’Ue, sbandierato in video diffusi in tutt’Europa. O alle immagini diffuse ai tempi della pandemia. “Considerando i piani di riarmo dell’Ue - scrive Fazi - appare chiaro che Bruxelles sta perseguendo una militarizzazione globale che coinvolge l’intera società. Negli anni a venire, questo approccio militarizzato è destinato a diventare il paradigma dominante in Europa, poiché tutte le sfere della vita – politica, economica, sociale, culturale e scientifica – saranno subordinate al presunto obiettivo di sicurezza nazionale, o meglio sovranazionale. Questa centralizzazione procede con la scusa di proteggere i cittadini, ma in pratica porterà a ulteriore censura, sorveglianza e all’erosione delle libertà civili, il tutto giustificato dall’on nipresente spettro dell’inge renza russa”. Qualunque sia stata la logica alla base della risposta iniziale dell’Europa alla guerra, “ci si potrebbe aspettare che, alla luce delle sue conseguenze, i leader europei avrebbero colto con entusiasmo qualsiasi via praticabile verso la pace – e con essa, l’opportunità di ripristinare i rapporti diplomatici e la cooperazione economica con la Russia. Invece, hanno reagito con allarme alla minaccia della pace. Lungi dall’accogliere con favore l'opportunità, hanno raddoppiato gli sforzi: hanno promesso un sostegno finanziario e militare a tempo indeterminato all’Ucraina e hanno annunciato un piano di riarmo senza precedenti che suggerisce che l’Europa si sta preparando a una situazione di stallo militarizzato a lungo termine con la Russia, anche in caso di una soluzione negoziata”.
Obiettivamente, l’azione diplomatica di Bruxelles non è mai partita. Semmai, cavalcare gli sforzi bellici è sembrata un’opportunità imperdibile. Vediamo come Fazi interpreta questa postura apparentemente autodistruttiva. “Questo comportamento può apparire irrazionale se valutato alla luce degli interessi generali o oggettivi dell'Europa, ma diventa più comprensibile se visto attraverso la lente degli interessi dei suoi leader. Quattro dimensioni interconnesse possono contribuire a spiegare la loro posizione: psicologica, politica, strategica e transatlantica”. Da una prospettiva psicologica, i leader europei si sono sempre più distaccati dalla realtà. Il divario crescente tra le loro aspettative iniziali e la traiettoria effettiva della guerra ha creato una sorta di dissonanza cognitiva, portandoli ad adottare narrazioni sempre più deliranti, tra cui appelli allarmistici a prepararsi a una guerra totale con la Russia. Questa disconnessione non è meramente retorica; rivela un disagio più profondo, mentre la loro visione del mondo si scontra con fatti scomodi sul campo. E per quanto Bruxelle svoglia cogliere l’occasione per mostrarsi attore autonomo, “l’Europa è rimasta bloccata in una relazione subordinatacon l’America per così tanto tempo che, ora che Trump minaccia di destabilizzare la sua storica dipendenza in termini di sicurezza, non è in grado di cogliere questa opportunità; sta invece tentando di replicare l’aggressiva politica estera degli Stati Uniti”, per sostituirla incosciamente. C’è poi l’ipotesi esistenziale, secondo la quale per l’attuale generazione di leader europei, ammettere il fallimento in Ucraina equivarrebbe a un suicidio politico, soprattutto visti gli immensi costi economici sostenuti dalle loro stesse popolazioni. “Il protrarsi del conflitto – e il mantenimento di un atteggiamento ostile nei confronti della Russia – non solo fornisce loro un’ancora di salvezza politica a breve termine, ma serve anche come pretesto per consolidare il potere in patria, reprimere il dissenso e prevenire future sfide politiche”. In termini economici, c’è anche la speranza che un aumento della produzione per la difesa possa contribuire a rilanciare le anemiche economie europee – una rozza forma di keynesismo militare. Non sorprende, a questo proposito, che il Paese in testa alla carica di rimilitarizzazione sia la Germania, la cui economia è stata la più duramente colpita dalla guerra in Ucraina. Janan Ganesh, editorialista del Financial Times, taglia corto: “L’Europa deve ridurre il suo stato sociale per costruire uno stato di guerra”. La terza ipotesi esplora la possibilità che “in fondo, una dittatura fa comodo”. Soprattutto sotto la presidenza di von der Leyen, la Commissione Europea ha sfruttato crisi dopo crisi per aumentare la propria influenza su ambiti di competenza che in precedenza erano considerati di competenza dei governi nazionali – dai bilanci finanziari alla politica sanitaria, dagli affari esteri alla difesa – a scapito del controllo democratico e della responsabilità. Sotto l’egida della “minaccia russa”, la baronessa intende accelerare drasticamente questo processo di centralizzazione della politica dell'Unione. “Ha già proposto, ad esempio, l’acquisto collettivo di armi per conto degli Stati membri dell’Ue, seguendo lo stesso modello ’io compro, tu paghi’ utilizzato per l’approvvigiona mento del vaccino contro il Covid- 19. Ciò conferirebbe di fatto alla Commissione il controllo sull’intero complesso militare- industriale dei Paesi Ue”.
Non si tratta solo di incrementare la produzione di armi. “Bruxelles sta perseguendo una militarizzazione completa e a livello sociale”. Per ultima, la quarta ipotesi, quella transatlantica, considera che considerare l’attuale frattura con Washington esclusivamente attraverso la lente degli interessi divergenti delle leadership europea e americana è limitante. “Non è irragionevole supporre che gli europei possano, a un certo livello, coordinarsi con l’establishment democratico statunitense e la fazione liberal- globalista dello Stato permanente statunitense – la rete di interessi radicati che abbraccia la burocrazia americana, lo stato di sicurezza e il complesso militare-industriale. Queste reti, che sono ancora attive nonostante la dichiarata “guerra al Deep State” di Trump, hanno un interesse comune nel far deragliare i colloqui di pace e nell’intralciare l’attuale presidenza”. In altre parole, quello che in apparenza sembra uno scontro tra Europa e Stati Uniti potrebbe in realtà essere, in senso più profondo, una lotta tra diverse fazioni dell’impero statunitense – e, in larga misura, all’inter no dello stesso establishment statunitense – combattuta attraverso i rappresentanti europei. Dopotutto, molti dei leader europei di oggi hanno forti legami con queste reti, aggregate ad esempio in think tank come il German Marshall Fund, il National Endowment for Democracy, il Council on Foreign Relations e l’Atlantic Council, che “contribuiscono a plasmare le narrazioni politiche che dominano la società europea – e oggi sono in prima linea nel promuovere l’idea che nessun accordo è meglio di uno cattivo”. Strumento chiave dell’alleanza di forze Usa-Ue nel complesso militare industriale è sempre stata la Nato, che oggi svolge un ruolo chiave nel contrastare i tentativi di Trump di modificare l’approccio degli Stati Uniti nei confronti della Russia. “Elementi all’interno della classe dirigente statunitense si oppongono fermamente alle aperture di Trump verso Putin, nutrono una profonda animosità nei confronti della Russia e considerano le minacce del Presidente di disimpegnarsi dalla Nato e minare altri pilastri dell’ordine postbellico come una sfida strategica ai sistemi che hanno sostenuto l’egemonia americana per decenni. Questa connessione potrebbe forse spiegare le politiche irrazionali di alcuni leader europei, almeno dal punto di vista degli interessi oggettivi dell’Europa: prima, il loro cieco sostegno alla guerra per procura condotta dagli Stati Uniti in Ucraina, e ora la loro insistenza nel continuare la guerra a tutti i costi”. Nessuna delle due parti in questa guerra civile transatlantica conclude Fazi - ha tuttavia veramente a cuore gli interessi dell’Europa: la fazione trumpiana considera l’Europa un rivale economico. D’altra parte, la fazione liberal - globalista considera l’Europa un fronte critico nella guerra per procura contro la Russia. In questo contesto, uno scenario in cui gli europei prolungassero la guerra in Ucraina potrebbe essere visto come un compromesso tra le due fazioni. Gli Stati Uniti potrebbero uscire dal pantano ucraino, perseguendo al contempo il riavvicinamento con la Russia e spostando la propria attenzione sulla Cina, il tutto attribuendo la colpa del fallimento del raggiungimento della pace direttamente a Zelensky e agli europei. Nel frattempo, il continuo coinvolgimento dell’Europa nella guerra ne garantisce la continua separazione economica e geopolitica dalla Russia e ne rafforza la dipendenza economica dagli Stati Uniti, soprattutto nel contesto dell’aumento della spesa per la difesa, gran parte della quale confluirebbe nel complesso militare - industriale statunitense. Allo stesso tempo, i rappresentanti europei dell’establishment liberal - globalista continuerebbero a usare la minaccia russa per consolidare il proprio potere”. Come ha suggerito il ricercatore geopolitico Brian Berletic, quella che viene spesso presentata dai media come una “spaccatura transatlantica” senza precedenti potrebbe, in realtà, essere più una divisione del lavoro in cui gli europei mantengono la pressione sulla Russia mentre gli Stati Uniti rivolgono la loro attenzione alla Cina.

- Ottieni link
- X
- Altre app
Commenti
Posta un commento