L’Europa va a “fondi”: così nel Wef i grandi gestori reclamano la leadership


La guerra tra Davos e gli Usa non si placa, e l’Europa va sempre più a “fondi”. Non a caso, Larry Fink (ceo di Blackrock) e André Hoffmann assumono la presidenza ad interim del World Economic Forum (Wef), che si tiene ogni anno a Davos, mentre il precedente presidente ad interim, l’ex ceo di Nestlé Peter Brabeck, si è dimesso. In una dichiarazione pubblicata sul sito web del Wef, i due nuovi dirigenti hanno espresso il loro ottimismo: “Il mondo è più frammentato e complesso che mai, ma la necessità di una piattaforma che riunisca imprese, governi e società civile non è mai stata così grande”, hanno affermato. E ancora, “Restia mo ottimisti. Questa visione rinnovata può promuovere mercati aperti e priorità nazionali parallelamente, promuovendo al contempo gli interessi dei lavoratori e delle parti interessate a livello globale. Non vediamo l’ora di contribuire a plasmare un futuro più resiliente e prospero e di reinventare e rafforzare il Forum come istituzione indispensabile per la cooperazione pubblico-privato”. In un comunicato stampa diffuso contemporaneamente, il Wef ha anche scagionato il suo fondatore Klaus Schwab e sua moglie Hilde: dopo un “esame approfondito di tutti i fatti”, il consiglio di amministrazione è giunto alla conclusione che, sebbene l’organizzazione avesse bisogno di passare a un modello più istituzionale, non ci sono prove di una cattiva condotta significativa da parte di Klaus Schwab o di sua moglie. Alla fine di aprile, il Consiglio di Fondazione del Wef aveva avviato un’indagine esterna su Schwab per possibili irregolarità nella sua gestione dell’organiz zazione dopo i risultati preliminari di un’indagine interna su accuse di spese non autorizzate, comportamenti scorretti sul posto di lavoro e manipolazione di importanti rapporti di ricerca. In seguito allo scandalo, Schwab si è dimesso dalla carica di presidente del consiglio di amministrazione ad aprile, sotto la pressione delle denunce degli informatori. Avrebbe dovuto rimanere in carica fino al 2027. Ora siamo alla svolta per il Forum economico mondiale: il cda si concentrerà sull’istituzionalizzazione del Forum come organizzazione internazionale in cui i fondi d’investimento faranno la parte del leone, pronti a sbranare proprio la collaborazione pubblico-privata. Il rischio, come visto in altri casi, è che sia solo il pubblico a travasare fondi nel privato, e mai viceversa. Mentre i fondi pubblici dovrebbero servire soprattutto per scuole, ospedali ed altri servizi primari, di cui i cittadini sono spesso stati privati in molti paesi. Scorrendo la biografia di André Hoffmann, si legge che è un imprenditore svizzero e dal 2006 è vicepresidente di Roche Holding AG, l’azienda di famiglia. Fa parte del consiglio di amministrazione di SystemIQ, del consiglio di fondazione del Wef e del Centro per la Quarta Rivoluzione Industriale. È inoltre membro del Board of Fellows della Stanford School of Medicine. Suo padre, Luc Hoffmann, è stato co-fondatore del Wwf e membro del consiglio di amministrazione di Roche. Secondo Wikispooks, è anche membro del Club di Roma, del Bilderberg Steering Committee, di Chatham House e della Global Commission for Post- Pandemic Policy. Un curriculum di garanzia per i fondi d’i vestimento. André Hoffmann incarna infatti un nuovo punto di incontro tra Big Pharma, reti di ong ambientaliste, governance globalista e circoli di potere discreti come il 1001 Club. L’as sunzione della guida del Wef da parte di Larry Fink non è un semplice cambio di personale, ma una chiara dimostrazione di potere: i più grandi gestori patrimoniali del mondo reclamano ora ufficialmente la leadership di quel “nuovo ordine mondiale” che hanno preparato informalmente per decenni. Il cosiddetto “Great Reset” non è una visione, ma un piano imposto dall’alto, da miliardari, banchieri, capi delle case farmaceutiche e magnati della tecnologia. Secondo il Wef, le prospettive di crescita globale hanno raggiunto il punto più basso degli ultimi decenni e riaccendere lo spirito di cooperazione richiederà più impegno e creatività che mai. Tuttavia, dal Forum non emerge mai un’auto critica su ricette che si sono rivelate errate quando non controproducenti per la crescita e per l’occupazione. E come potrebbe accadere, del resto, se uno studio condotto in Germania da Eric Hanushek, Lisa Simon, Simon Janssen e Jacob D Light utilizzando dati del periodo 2000-2005 ha rilevato che i lavoratori che hanno perso il lavoro non se la passano così male come suggeriscono i risultati medi, poiché alcuni erano stati colpiti duramente, mentre il 25% aveva raggiunto una retribuzione più alta in cinque anni? L’articolo presenta nuove evidenze provenienti dai lavoratori licenziati durante le chiusure di aziende nella Germania Ovest tra il 2000 e il 2005, che suggeriscono che queste perdite sono in realtà molto più eterogenee di quanto precedentemente documentato e che le ingenti perdite medie documentate in studi precedenti sono fortemente influenzate da una minoranza di lavoratori che subiscono cali catastrofici dei guadagni. “Decenni di ricerca hanno confermato che la perdita del lavoro causa perdite di guadagno significative e persistenti. Tuttavia, le nostre nuove evidenze suggeriscono che queste perdite sono molto più eterogenee di quanto precedentemente documentato. Concentrandosi sugli effetti medi, ricercatori e decisori politici rischiano di trascurare la sostanziale variazione nelle esperienze di licenziamento tra lavoratori osservabilmente simili. Gestire un licenziamento implica circostanze personali, resilienza e fortuna. Questi fattori imprevedibili complicano la progettazione di programmi di assistenza efficaci, poiché rimane difficile prevedere chi si adatterà con successo e chi subirà interruzioni durature”. È dunque colpa dei lavoratori se non sanno ricollocarsi? La posizione degli autori è che i ritardatari non hanno agito con sufficiente “decisio ne”. Staremo a vedere se gli scenari programmati dal Wef si concretizzeranno. Ad ogni modo, l’assenza della Cina dal tavolo ucraino la dice lunga su Pechino e su Davos, di cui la Cina è ispiratrice: la logica considerazione è che Xi stia uscendo di scena. Al prossimo incontro plenario del Pcc potremmo aspettarci sorprese.

Il forum estivo di Davos di quest’anno ha offerto ai partecipanti l’opportunità di approfondire la loro comprensione delle tendenze di sviluppo in Cina e in Asia. Fin dal suo inizio nel 2007, Summer Davos si è affermato come un evento veramente globale in Cina, riunendo la prossima generazione di “nuovi campioni”, ovvero aziende in rapida crescita che stanno plasmando il futuro del business e della società. La seconda economia mondiale ha ampiamente resistito alla guerra dei dazi lanciata dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump ad aprile, ma deve ancora affrontare sfide esterne: le tensioni con l’Unione Europea sono ancora elevate e i conflitti infuriano in Medio Oriente. Per compensare, Pechino spera di rafforzare il proprio mercato interno, salvaguardando al contempo la propria posizione nelle catene di approvvigionamento globali. I massimi funzionari hanno già intensificato un’offensiva nei confronti di imprese e investitori stranieri, e una legge recentemente promulgata sulla promozione dell’economia privata mira a stimolare l’imprenditorialità nel Paese e a contribuire alla sua crescita economica. A differenza dell’incontro annuale del Wef che si tiene ogni gennaio a Davos, in Svizzera, il Summer Davos Forum pone maggiore enfasi sul futuro del business e del progresso tecnologico. E così, mentre i cittadini cercavano frescura sotto ombrelloni al mare o cime di montagna, l’ edizione di quest’anno mostrava i risultati della Cina in termini di sviluppo economico la sua tensione alla ricerca di consenso. Un’area espositiva futuristica all’interno della sede è diventata un’at trazione importante, con prodotti di intelligenza artificiale all’avanguardia come robot umanoidi, interfacce cervello-computer e sistemi di ispezione con droni completamente autonomi. Queste innovazioni mostrano in modo vivido le innovazioni tecnologiche delle aziende cinesi e le applicazioni pionieristiche dell’intelligenza artificiale, a sottolineare il crescente riconoscimento da parte della comunità internazionale del ruolo cruciale della Cina nel panorama globale dello sviluppo dell’Ia. “Sarà come la rivoluzione industriale”, ha affermato l’onnipresente ex Primo Ministro britannico Tony Blair parlando di nuove tecnologie al forum.

Raffaella Vitulano

Commenti

Post più popolari