Sulle guerre e sulle bugie, come quelle di Cheney, architetto dell’Iraq


Dick Cheney, l’architetto della guerra in Iraq, ha plasmato la guerra, il potere e la Casa Bianca. Ha trascorso il crepuscolo della sua carriera denunciando Donald Trump come una minaccia, ma Dick Cheney è stato probabilmente colui che più di altri ha gettato le basi della presa di potere autoritaria di Trump negli Stati Uniti. Come architetto delle invasioni di Afghanistan e Iraq, Cheney spinse le agenzie di spionaggio a trovare (ed inventare se necessario) prove per giustificare l’azione militare. Affermò che l’allora presidente iracheno Saddam Hussein stava sviluppando armi di distruzione di massa e aveva legami con la rete terroristica di al-Qaeda. I funzionari usarono questa affermazione per vendere la guerra ai membri del Congresso e ai media, sebbene tale affermazione sia stata successivamente smentita. “Mentre i media statunitensi cercano di insabbiare la sua eredità con la morte, il mondo continua a confrontarsi con gli orrori che ha contribuito a scatenare” scrive Belén Fernández, editorialista di Al Jazeera. Su Foreign Affairs, invece, Larry Downing ricorda come l’ex vicepresidente Dick Cheney abbia goduto negli ultimi anni di un inaspettato rispetto da parte dei Democratici, che un tempo lo consideravano un guerrafondaio machiavellico. E questo solo perché, dopo l’attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021, Cheney è diventato un aperto critico di Donald Trump.“Non passo molto tempo a pensare ai miei difetti”, diceva il vicepresidente più temibile della storia degli Stati Uniti al documentarista RJ Cutler all’inizio di “ Il mondo secondo Dick Cheney”. Non avevamo difficoltà a credere che un uomo le cui iniziali sono ’DC’ (come Washington) possa avere qualcosa da espiare. “Il danno arrecato da Cheney ai nostri unici e inimitabili Stati Uniti d'Americacon il pretesto di proteggerli è paragonabile alla convinzione di Jack Nicholson in Shining di essere una specie di padre di famiglia” scriveva già nel 2013 Tom Carson su Gq. “ La nostra invasione dell’Iraq è stata di cattivo gusto. Così come Abu Ghraib e il waterboarding, almeno se la Costituzione degli Stati Uniti è di vostro gradimento”. In un articolo dal titolo “Come Dick Cheney mi ha reso un reporter migliore”, il giornalista premio Pulitzer Seymour Hersh racconta come proprio le bugie e gli abusi della Costituzione del defunto vicepresidente abbiano spinto le persone a lui vicine a dire la verità, rivelandoci come le parti in guerra utilizzino la disinformazione a loro rispettivo piacimento. E nessuno è una ingenua mammoletta. Per anni Hersh ha scritto articoli critici su Cheney per il New Yorker, con l’aiuto di persone interne che pensavano che ci fossero modi migliori per rispondere agli attacchi dell’11 settembre piuttosto che offrire una serie diversa di orrori. “Come minimo, Cheney era alla pari di Bush ed è ampiamente riconosciuto come forse il vicepresidente più efficace della storia. Gli storici si esprimeranno in futuro. A questo punto, posso esprimere la mia percezione di qualcuno che aveva una certa conoscenza del funzionamento interno del suo ufficio, sebbene non abbia mai incontrato né parlato con lui. Ci siamo incontrati per caso un decennio o più dopo l’11 settembre, ma Cheney ha volutamente ignorato la mia mano tesa e mi è passato accanto. Era noto per un indebolimento cardiaco, ma dopo una nuova terapia è sopravvissuto un decennio in più del previsto, continuando a cacciare e pescare nel Wyoming. Diceva agli amici che il suo nuovo cuore a pompa elettronica funzionava bene, solo che ogni volta che entrava in cucina, la macchina del caffè si accendeva”. “Sapevo fin dall’inizio, dopo l’11 settembre, che un agente operativo di alto livello, un brillante agente veterano che conosceva bene il Medio Oriente era sottinteso che si trattasse di informazioni per la mia guida nelle attività della Casa Bianca, ma che all’epoca non dovevo pubblicare - che i temuti talebani, allora guidati dal Mullah Omar, avevano fatto sapere alla Casa Bianca tramite la Cia che non consideravano Osama bin Laden, il capo di Al Qaeda, un ospite intoccabile dopo l’11 settembre. L’America era quindi libera di vendicarsi di lui e di rinunciare a un’operazione pianificata contro i talebani e contro bin Laden, che presto sarebbe stato impossibile da localizzare. Bush e Cheney ignorarono l’offerta e la guerra ebbe inizio. Bin Laden non sarebbe stato trovato e assassinato fino a quasi un decennio dopo, quando un Navy Seal Team fu autorizzato a ucciderlo a vista dal presidente Barack Obama, il cui ricorso agli omicidi mirati di presunti terroristi all’e stero non è mai stato pienamente esplorato dai media”. Il giornalismo di Hersh durante la guerra del Vietnam alla fine degli anni '60 lo portò al New Yorker, poi al New York Times e poi di nuovo al New Yorker, il cui direttore David Remnick gli disse, dopo che il secondo aereo di linea si era schiantato contro il World Trade Center, che avrebbe trascorso i successivi anni della sua carriera a scrivere di quella che sarebbe diventata la guerra americana al terrorismo. Ed è grazie alle sue rivelazioni che oggi possiamo immaginare come si pianifichi a tavolino un conflitto con false flag e come lo si racconti da una parte e dall’altra. “Era chiaro fin dall’inizio che Cheney sarebbe stato l’uomo chiave di quella guerra, e ho fatto tutto ciò che un giornalista di un settimanale può fare per farmi strada lentamente. Nel corso degli anni di guerra al terrorismo ho trovato il modo di ottenere informazioni dall’ufficio del vicepresidente da coloro la cui lealtà alla Costituzione e il senso di proporzionalità politica e militare - e della verità - prevalevano su tutto il resto. Con le sue prime apparizioni nei talk show della domenica mattina e il suo schietto discorso sulla necessità di rivolgersi a quello che lui chiamava ’il lato oscuro’, Cheney espanse le operazioni della Cia, della Nsa e dell’intel ligence militare, sia in patria che all’estero, infrangendo i limiti costituzionali. Il Congresso, la stampa e l’opinione pubblica si schierarono a favore e approvarono le violazioni in modi che continuano ad avere un impatto ancora oggi”, anche grazie alle “ripetute bugie al riguardo da parte del Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, della Consigliera per la Sicurezza Nazionale Condoleezza Rice e del Generale dell’Esercito Tommy Franks, che era a capo del Comando Centrale degli Stati Uniti e gestiva le operazioni militari della coalizione in Afghanistan e Iraq”.

“Cheney e Rumsfeld erano direttamente coinvolti in tali azioni illegali, come ho ripetutamente riportato sul New Yorker. La tensione nella comunità dell’in telligence su ciò che era legale e ciò che non lo era arrivò al punto che nel 2007 un alto funzionario della Cia, recentemente in pensione, che lavorava mentre le regole stavano diventando sempre più rilassate, mi disse: ’Il problema è cosa costituisse l’appro vazione. I miei uomini litigavano continuamente su questo. Perché dovremmo mettere i nostri uomini sulla linea di fuoco da qualche parte lungo la strada? Se vuoi che uccida Joe Smith, dimmi semplicemente di uccidere Joe Smith. Se fossi il vicepresidente o il presidente, direi: Questo tizio, Smith, è un cattivo, ed è nell’interesse degli Stati Uniti che venga ucciso. Non lo dicono”.


Le “ripetute menzogne dell' amministrazione”(cit.Hersh) riguardo alle informazioni che pubblicava sulla rivista, lo hanno portato a ricevere telefonate al suo numero di casa da parte di persone interne che conoscevano la verità: “Chi ha integrità, ama il proprio Paese e sostiene l’esercito americano spesso si rivela essere lo stesso che non sopporta le bugie ufficiali”.

Charles McElween racconta come per i Millennial americani, la maggior parte dei quali si trovava negli anni formativi successivi all’11 settembre, “le battute di Cheney erano incantesimi quotidiani in realtà il rumore di fondo domestico dei notiziari via cavo alimentati dai Baby Boomer - di quel 2001 inquietante, plasmando la politica contemporanea, non da ultimo attraverso i conflitti di politica estera. “Era in un certo senso prevedibile che l’attore centrale nel sistema di errori e inversioni volute che era l’ammini strazione Bush si sarebbe rivelato il suo vicepresidente, Richard B. Cheney”, scrisse Joan Didion per la New York Review of Books nel 2006. Quell’anno, gli elettori americani di luoghi postindustriali punirono i repubblicani nelle elezioni congressuali sulla guerra in Iraq. Tra quegli americani c’erano i Millennials. La stessa generazione che due anni dopo avrebbe sostenuto la candidatura di Barack Obama. Forse l’eredità più significativa di Cheney è stata proprio l’espansione dei poteri per una posizione che non ha mai ricoperto personalmente: la presidenza Usa. Cheney ha usato gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 come pretesto per affermare un’autorità esecutiva vigorosa che oggi Trump ora amplifica e sfrutta per sfidare il sistema di pesi e contrappesi. Dick Cheney è stato vicepresidente sotto George W. Bush dal 2001 al 2009 ed è stato considerato uno dei vicepresidenti più potenti nella storia degli Stati Uniti. Le idee di Cheney furono formalizzate nella “teoria dell’esecutivo unitario”, che sosteneva come il presidente avrebbe dovuto avere il controllo totale e personale sull’intero potere esecutivo. Ciò elimina oggi di fatto l’indipen denza di una vasta gamma di istituzioni governative e pone milioni di dipendenti federali sotto l’autorità del presidente, che può assumere e licenziare a suo piacimento. Da potente forza conservatrice, Cheney espanse i poteri della vicepresidenza per promuovere questioni come la produzione di petrolio e gas e l’azione militare in Iraq. E i risultati sono oggi sotto gli occhi di tutti.

Raffaella Vitulano

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