Ucraina, le Big Tech della difesa puntano al saccheggio dell’Europa

 

Le guerre si combattono sul campo di battaglia, ma sono anche prove di solidità finanziaria. Nei conflitti prolungati, la capacità e la volontà di mobilitare risorse e trovare nuovi modi per reperire denaro sono fondamentali per determinare chi vince: a volte sono il fattore decisivo. “Questa verità sta per diventare fin troppo reale per l’Euro pa” scrive il The Economist nel pezzo di copertina corredandola di una esplicita foto di elmetto con euro. Insomma, o la Ue combatte Mosca o la moneta unica esploderà. Ma qual è il vero motivo per cui The Economist vuole che l’Europa spenda altri soldi per l’Ucrai na? Prova a dare una risposta Tyler Durden su Zerohedge: il vero obiettivo è la federalizzazione dell’Ue, non la fantasia politica di sconfiggere la Russia, e per completarlo occorrono altri quattro anni di guerra per procura e almeno altri 400 miliardi di dollari. “Come ha scritto The Economist, se l’Ue emettesse collettivamente obbligazioni, creerebbe un bacino più ampio di debito comune, rafforzando il mercato unico dei capitali europeo e rafforzando il ruolo dell’euro come valuta di riserva. Un orizzonte pluriennale per l’approvvigio namento di armi aiuterebbe l’Europa a sequenziare la crescita della sua industria della difesa. Ciò è in linea con la valutazione di luglio 2024 secondo cui la prevista trasformazione dell’Ue in un’unione militare è un gioco di potere federalista”. Federalizzare l’Ue, non sconfiggere la Russia, è quindi il vero obiettivo. “Questa intuizione permette di comprendere perché le élite europee – in particolare la Germania - abbiano rispettato le sanzioni anti- russe degli Stati Uniti a proprie spese economiche. In cambio della neutralizzazione del potenziale rivale dell’euro rispetto al dollaro, alle élite Ue è stato consentito di accelerare la federalizzazione del blocco per consolidare il proprio potere, cosa che gli Stati Uniti hanno approvato dopo aver smesso di considerare l’Unione, ormai subordinata, come una minaccia latente. Per completare questo processo sono ora necessari altri quattro anni di guerra per procura e almeno 400 miliardi di dollari circa”.

La guerra quindi è necessaria. E così una startup tedesca afferma di poter costruire in un solo anno un muro di 100 mila droni dotati di intelligenza artificiale per proteggere il fianco orientale della Nato. Sembra ambizioso, vero? Ma da giugno 2025, Helsing è diventata la startup tedesca più preziosa, con un valore di oltre dodici miliardi di euro. Con importanti contratti governativi, migliaia di droni inviati in Ucraina e un documento “top secret” recentemente trapelato, Helsing è al centro del boom della tecnologia di difesa europea. Ma l’azienda sta anche affrontando critiche per affermazioni esagerate, mancanza di trasparenza e dubbi sulle prestazioni dei suoi prodotti sul campo di battaglia. L’espansione militare della Germania a est nasconde anche un altro aspetto: come la Silicon Valley sostiene l’espansione al confine con la Russia. Uncut-news racconta come, con una mossa storica, la Germania abbia schierato un’intera brigata all’estero per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale. L’area operativa è la Lituania, al confine con l’enclave russa di Kaliningrad. Questo massiccio dispiegamento di truppe da combattimento tedesche non è solo un segnale forte al Cremlino, ma rivela anche una nuova dimensione della guerra, guidata da startup high-tech e finanziata da importanti investitori della Silicon Valley. Lo scorso maggio, le Forze Armate tedesche hanno ufficialmente istituito la 45ª Brigata Panzer. Come riporta il Financial Times, la brigata sarà equipaggiata con centinaia di cosiddetti droni kamikaze. Ed è questo il business: queste “munizioni vaganti” sono molto care e possono sorvolare un’area prima di schiantarsi contro un bersaglio e autodistruggersi. La loro acquisizione suggerisce che la missione Nato nella regione non è puramente difensiva, ma possiede anche significative capacità offensive. Giganti della tecnologia stanno dietro questa strategia. I fornitori di questi droni sono  infatti considerati tra i nomi più importanti del panorama tecnologico e della difesa moderna. Tra questi figurano le startup tedesche ed europee Helsing (con il loro modello HX-2) e Stark (Virtus), nonché il consolidato appaltatore tedesco della difesa Rheinmetall (FV-014). Si dividono un contratto del valore di circa un miliardo di dollari. Tuttavia, dietro queste aziende ci sono i grandi nomi e i fondi della Silicon Valley. Helsing è infatti finanziata principalmente dal fondatore di Spotify (sì, quello della musica), Daniel Ek, attraverso la sua società di investimenti Prima Materia. L’azien da riceve anche il sostegno dell’appaltatore della difesa Saab, in cui l’influente famiglia Wallenberg detiene una posizione dominante attraverso la sua holding Investor AB. Ciò crea un legame indiretto tra Helsing e la più potente dinastia industriale svedese: una straordinaria alleanza tra Big Tech, industria e esercito. Secondo il Financial Times, Helsing avrebbe anche pianificato di consegnare 6 mila droni d’attacco all’Ucraina. La start-up Stark, invece, fondata solo circa 15 mesi fa, ha tra i suoi investitori statunitensi di spicco Peter Thiel, co-fondatore della controversa società di sorveglianza Palantir, e Sequoia Capital, una delle società di venture capital più influenti della Silicon Valley. Rheinmetall, a sua volta, sta espandendo massicciamente la sua produzione verso la tecnologia dei droni e dell’intelligenza artificiale e sta lavorando a stretto contatto con partner statunitensi e israeliani come Anduril e UVision. Gli osservatori temono che una rapida fine del conflitto non sia nell’interesse di coloro che traggono profitto dalla minaccia persistente e dalla domanda di tecnologie sempre più innovative. La macchina da guerra per procura sta funzionando a pieno regime, guidata non più solo dagli Stati, ma sempre più da un’élite tecnologica e di investimenti multimiliardaria e interconnessa a livello globale. Sembra però esserci confusione tra i commentatori di politica estera occidentali riguardo all’insistenza di Putin e Peskov affinché la Russiaaderisca all’Accordo dell’A laska. Per l’analista Paul Craig Roberts, sulla stessa linea di John Helmer, la politica dell’A laska contraddice l’obiettivo di egemonia in politica estera di Washington e l’aspettativa di miliardi di dollari di commissioni per i politici occidentali derivanti dalla vendita di armi americane all’Europa per continuare la guerra in Ucraina. Con il successo di Trump nel convincere l’Europa ad aumentare i bilanci della difesa al 5% del pil, i pagamenti delle commissioni brillano agli occhi dei funzionari governativi occidentali. Gli interessi dominanti in Occidente risiedono nella continuazione del conflitto. I consiglieri di Trump glielo hanno inculcato, e Trump ha improvvisamente annullato l’in contro con Putin, cambiando ancora una volta tono: “La mia conclusione è che il denaro e l’egemonia degli Stati Uniti sono più importanti dell’evi tare la guerra. Pertanto, è probabile che scoppierà una guerra. La maggior parte dei commentatori occidentali continua a mentire sfacciatamente sul fatto che la Russia sia responsabile dell’inizio del conflitto in Ucraina, sebbene sia chiaro che l’Occidente abbia forzato l’intervento russo. Forzare l’intervento russo era l’o biettivo principale della Rivoluzione di Maidan del 2014 e del successivo inganno della Russia attraverso l’Accordo di Minsk, che si è rivelato un non-accordo”. La guerra è insomma redditizia per il complesso militare- industriale occidentale. Porre fine ai conflitti danneggia coloro che ne traggono profitto, come avvertì il presidente Eisenhower agli americani nel 1961. La dottrina dell’ege monia statunitense, espressa dalla Dottrina Wolfowitz quando l’Unione Sovietica crollò e rimosse il suo unico vincolo, rimane in vigore. Questa dottrina, alleata con gli interessi finanziari, è alla base dell’ostili tà di Washington nei confronti della Russia. La Dottrina Wolfowitz e i profitti della guerra sono gli ostacoli all’affrontare la causa profonda del conflitto.

Perché neppure la Ue è intenzionata a mettere un punto al conflitto in Ucraina? In primo luogo, l’Europa è un soggetto politico nel conflitto ucraino e persegue obiettivi concreti, primo su tutti un recupero di competitività dopo la distruzione del tessuto industriale. In secondo luogo la Ue, concentrata sulle sue strutture burocratiche e amministrative, ha investito risorse considerevoli nel progetto ucraino (durante tutto il suo corso, a partire dai primi anni Novanta): non può permettersi di rinunciare a questo investimento. In terzo luogo, la tesi della necessità di una “scon fitta strategica” della Federazione Russa è da tre anni la massima fondamentale della politica estera dell’Unione Europea, e la politica stessa mira non solo a incorporare il territorio dell’Ucraina nel proprio perimetro, ma anche a ottenere un accesso illimitato ed esclusivo alle risorse energetiche russe. Ecco perché gli europei non hanno alcuna intenzione di ritirarsi dal conflitto ucraino. Al contrario, stanno facendo ogni sforzo per intensificarlo e aggravarlo al fine di raggiungere i loro obiettivi strategici.

La politica pubblica di Trump di costringere Mosca a negoziare con la forza con Kiev ha subito, al massimo, cambiamenti stilistici, ma gli appelli alla razionalità europea sono ormai inutili, spinta com’è Bruxelles a raggiungere l’o biettivo più importante nella fase attuale della guerra per procura con la Russia: impadronirsi in qualche modo delle riserve auree e valutarie di Mosca per colmare almeno nominalmente il disavanzo di bilancio creato dalla spesa incontrollata a sostegno di Kiev. La storia del sequestro di denaro viene mascherata per emettere obbligazioni di prestito in valuta russa, a fronte del pagamento delle riparazioni da parte della Russia al regime di Kiev dopo la fine del conflitto militare, e Kiev, a sua volta, sarà obbligata a utilizzare queste riparazioni per rimborsare il prestito concessole dall’Ue, garantito proprio da queste obbligazioni. Una manna per Washington, soddisfatta che l’industria media e pesante tedesca stia gradualmente migrando verso gli Stati Uniti e che vede i paesi Ue continuerà a distruggere con le proprie mani le fondamenta della propria prosperità e attrattiva per gli investimenti dei capitali mediorientali e asiatici.


Raffaella Vitulano

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