La guerra di Draghi con i falchi tedeschi segnò l’inizio delle polemiche sul Mes


La Germania è in recessione, sta perdendo il suo vantaggio competitivo, basato soprattutto sull’impoverimento degli altri paesi dell’Unione Europea. Come non bastasse, Berlino è ormai da tempo sotto pressione di Washington, che l’ aveva invitata a frenare i rapporti con la Russia e che la sta costringendo a ridurre la sua cooperazione economica con la Cina, “per motivi di sicurezza”. Gli interessi geopolitici di Washington divergono da anni con quelli di Berlino. Quelli di Berlino divergono da quelli italiani, in una Disunione europea senza precedenti. E in questa strettoia si inserisce il gran pasticcio del Meccanismo europeo di stabilità (Mes). L’approccio a pacchetto proposto della premier Meloni non è quello dei Trattati, né dei tedeschi, bensì quello dell’Fmi, nel quale le regole del patto di stabilità, il completamento dell’unione bancaria e i meccanismi di salvaguardia finanziaria vengano ridiscussi insieme. Sonoro rifiuto a ratificare solo il nuovo Mes. Ma bisognerebbe ricordare che in un suo famoso articolo sul Financial Times, neppure Mario Draghi citò mai il Mes, di cui conosceva la pericolosità sotto diversi aspetti - temporeggiando sapientemente anche sulla ratifica - dopo aver vinto davanti alla Corte di giustizia europea ben due battaglie processuali contro la Germania dei falchi, ostili al quantitative easing, strumento anti-crisi che nella sua struttura è antitetico al Mes. Correva il luglio 2012, quando da presidente della Bce Draghi pronunciò a Londra il celebre “whatever it takes to preserve euro”, annunciando che per salvare l’eurozona avrebbe lanciato il programma Omt (Outright monetary transactions), un programma di acquisti di titoli pubblici, poi mai stato utilizzato, che prevedeva l’acquisto selettivo di obbligazioni Bce per i paesi che soddisfassero le condizioni economiche dettate dall’Ue. I falchi tedeschi inarcarono le sopracciglia e non perdonarono Draghi, accusandolo di violare, con il lancio degli Omt, i trattati fondamentali della Bce e il divieto di finanziamento dei bilanci degli Stati. La Corte costituzionale tedesca sottopose il caso alla Corte di giustizia europea di Strasburgo (Cge). I tedeschi, fin da allora, tifavano per il corsetto costrittivo del Mes. Quei lacci e lacciuoli da stringere sempre più, verso l’asfis sia. L’italiano alla Bce li aveva sfidati, accogliendo una tradizione di respiro anglosassone piuttosto che un rigore calvinista. La Cge sentenziò che l’Omt prevede sì il ricorso al Mes e alle condizionalità, ma afferma che il richiamo al Mes è per la Bce una facoltà, non un obbligo. Un passaggio chiave che oggi dovremmo ricordare, piuttosto che buttarla nella caciara delle beghe interne; una guerra sotterranea iniziata nel 2012 tra la Germania e Mario Draghi, contrario all’attivazione del Mes con condizionalità, vale a dire riforme strutturali che strangolano il paese che lo richiede. Non che altri strumenti di contenimento siano leggeri, ma la bozza del novo Trattato Mes prevede addirittura l’irrigidimento delle condizioni per l’accesso alle linee precauzionali, così sottoponendo i futuri possibili debitori a condizioni assai più pesanti, trasformando il Mes in un Fondo d’investimento. Ma torniamo a Draghi che, due anni dopo, nel 2014, lanciò il Quantitative easing acquistando sul mercato secondario dosi massicce di titoli pubblici degli Stati in crisi dell’eurozona: altra denuncia dei falchi, che la Corte costituzionale tedesca fece propria e sottopose di nuovo alla Cge. Anche in quel caso la sentenza legittimò l’operato della Bce, e ne rafforzò il potere. Ad oggi, è solo la crisidelle banche tedesche a far riemergere uno strumento consunto, utilizzatoper massacrare la Grecia e vincolare Irlanda e Spagna. Anche oggi, piuttosto che dedicarsi al velenoso rialzo dei tassi, la Bce potrebbe dare respiro all’economia contenendo l’inflazione con altri strumenti. E questo proprio perché mediante un’abi le strategia difensiva, la Bce di Draghi ha lasciato ai successori una Banca centrale assolutamente legittimata a intervenire senza Mes, ma con strumenti non convenzionali, come il famoso bazooka. Non necessariamente uno sprovveduto o un fautore dell’Europa sociale, Draghi ha piuttosto applicato la strategia da manuale del buon liberista: privatizzare i profitti in tempo di “pace” (attraverso politiche di austerità a vantaggio del grande capitale) e socializzare le perdite in tempo di “guerra”, attraverso un’espansione della spesa pubblica - ovviamente a debito - per tenere a galla il grande capitale (banche in primis), esattamente come accaduto nel 2007-2009. La signora Christine Lagarde lo sa benissimo, e non può dire che “non è compito della Bce chiudere lo spread, ci sono altri strumenti per questo”, insistendo sul Mes. Nei suoi interventi, Lagarde allo Stato non fa il minimo cenno. L’F mi inserisce invece lo Stato nel ragionamento. Ma i Trattati ignorano gli Stati. Dunque, in punta di giurisprudenza avrebbe ragione Lagarde e torto l’Fmi. Poco incline a ricordare i titoli tossici detenuti dalla Bundesbank, Berlino evoca intanto la punizione del fallimento per i debitori, l’espia zione dei popoli. Davanti alla Corte costituzionale tedesca che giudicava la legittimità del programma Omt, Draghi pose le due questioni cruciali rappresentate dai debiti insostenibili degli Stati e dalle perdite bancarie nell’eurozona - nella responsabilità della Bce di assicurare la stabilità finanziaria. Nei Trattati e nello Statuto di Bce, la stabilità dei prezzi tuttavia prevarrebbe sulla stabilità finanziaria. Due visioni su cui si scontrano da tempo due strategie opposte, quella tedesca e quella anglosassone; il Reich e l’Impero americano. L’Italia ha dimostrato come la pensa. Altrettanto la Germania, sin dai tempi della dichiarazione congiunta Merkel-Sarkozy del 2010: gli investitori privati devono pagare direttamente il costo del rischio assunto, sia che si tratti dell’ac quisto di titoli di Stati insolventi, sia di investimenti bancari. Niente più salvataggi pubblici. Nel mirino di Berlino, anche Varsavia, di cui tenta di ridurre la capacità di influenza americana per “coinvolgere la Russia in un dialogo sulla sicurezza”. La Germania non si fida di nessuno. Non è altrettanto limpida la posizione della Lagarde. C’è chi dice che stia facendo pressione sull’Italia per conto degli interessi di Davos e dei neocon (che non coincidono necessariamente con quelli americani), tentando di far implodere il sistema a favore dell’euro digitale. Sì, anche il dollaro esce favorito da un continuo rialzo del tasso base da parte di una Bce surrettiziamente consapevole di poter contare sul tesoretto bancario degli europei più virtuosi (gli italiani). Ma solo una visione neoconservatrice azzopperebbe l’economia europea a vantaggio delle élites dei mercati. L’I talia fa parte dell’Ue ma è schierata con gli anglosassoni e il Giappone, che hanno deciso di stroncare la cordata Russia, Cina, Germania, Francia. Pensiamo all’asse del North Stream, dove Parigi e Berlino erano alleate di Putin per un progetto geostrategico finalizzato a scalzare gli Usa dall’Euro pa e dal Mediterraneo. Nel presente, la solvibilità del debito la decidono intanto gli anglosassoni con le agenzie di rating: non escludiamo la caduta di una delle banche sistemiche francesi o tedesche (e quindi del sistema Davos). Roma insiste a chiedere l’ unione bancaria e fiscale e qui si scontra con l’ intransigenza della Germania, dato che probabilmente la riforma del Mes - alla luce di tutte queste considerazioni - è stata apparecchiata solo per conferire a tale organizzazione la legittimazione politica obiettivamente persa con le due sentenze della Cge. Al Mit di Boston, intanto, Draghi risponde a Berlino: all’Europa servono deficit elevati, salvare le banche, bilancio unico, vero riarmo. Una vera provocazione a Scholz. Molti dei princìpi di cui Davos è stato per anni il simbolo, come “globalizzazione, liberalismo, capitalismo di mercato, democrazia rappresentativa, sembrano essere sotto attacco” ha scritto il New York Times. Come ha notato l’Economist, inoltre, la pandemia è coincisa con una crisi gravissima della democrazia globale. Non tutti sono contenti di vedere l’él ite politica e imprenditoriale mondiale riunirsi nelle Alpi svizzere. L’evento è ormai aspramente criticato negli ultimi anni per essere estraneo, inefficace e irrilevante. Lo storico olandese Rutger Bregman ha chiarito il concetto: “Sembra di essere a una conferenza dei vigili del fuoco in cui a nessuno sia permesso parlare di acqua”. Viviamo in un mondo di regioni e blocchi contrapposti che hanno implicazioni di vasta portata sulle politiche internazionali e sull’economia globale. Una volta scemato il contrappeso del World Social Forum, le cui edizioni storiche si sono tenute a Porto Alegre e a Mumbay e che tanto richiamavano folle di sindacati e ong, lo strapotere indiscutibile delle multinazionali e delle lobbies ha poi fiaccato i governi, sminuendo i cittadini a meri consumatori globali, come avevano profetizzato il politologo Samuel Huntington e la Trilaterale nel saggio La crisi della Democrazia. La battaglia in corso non è tra Stati ma tra i vari poteri presenti negli Stati. Il Mes, del resto, esiste già dal 2012 per mano del governo Monti. Il 27 gennaio 2021 i Paesi dell’eurozona firmarono invece un’in tesa per riformare il Mes. L’ex presidente del Consiglio Draghi e il presidente Macron intervennero poi congiuntamente sul Financial Times il 23 dicembre 2021 linkando all’articolo un documento, Revising the European Fiscal Framework, redatto dal prof. Francesco Giavazzi. La revisione delle regole si basava su due pilastri: il superamento dell’obsoleto meccanismo patto di stabilità - Fiscal Compact; la costituzione di una Agenzia europea per la gestione del debito, che ne acquisterebbe parte dalla Bce e che ridurrebbe i costi dei tassi pagati per gli stati partecipanti creando un mercato di titoli privi di rischio. L’agenzia potrebbe identificarsi nel Mes e verrebbe chiesto ai singoli stati di versare quanto mancante (per l’Italia circa 111 mld.) per finanziare l’acquisto iniziale da parte del Mes del debito presso la Bce. I dubbi restano: ulteriore spesa per spostare il debito da un soggetto a un altro? I titoli emessi dal Mes sui mercati verrebbero acquistati dalla Bce che così potrebbe affermare di detenere titoli di emittente internazionale? E le condizionalità che fine farebbero?

Raffaella Vitulano




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